MONGHINI, Antonio
– Nacque a Ravenna il 5 marzo 1822 da Francesco e dalla contessa Lucia Gherardini.
Della sua famiglia si sa che era di condizioni agiate e che nonno e bisnonno paterni si erano distinti per le posizioni giacobine abbracciate negli anni della rivoluzione e poi della dominazione francese; dei suoi studi, invece, si ignora tutto. Risulta, però, che già in giovane età era occupato come amministratore camerale della provincia di Ravenna e che gli era stato assegnato l’appalto cointeressato del dazio consumo di Ravenna e Forlì: ciò significa che era dotato di buone competenze in campo finanziario. In politica il M. si fece notare per le sue idee avanzate se non addirittura repubblicane, tanto che un rapporto di polizia del 1843-44 lo segnalava come un «giovane incauto» datosi «in braccio totalmente agli scellerati», il che faceva temere una sua «pessima riuscita anche in danno dell’erario Sovrano» (Patrioti e legittimisti …).
Per manifestare pubblicamente il proprio orientamento il M. dovette attendere la fine del 1848, quando maturò la grave crisi dello Stato pontificio che precedette l’avvento della Repubblica Romana: fondatore con P. Uccellini e altri liberali del Circolo popolare ravennate, partecipò il 13 dicembre alla riunione forlivese dei circoli che si espresse a favore dell’istituzione di un’assemblea costituente con cui colmare il vuoto di potere causato dalla fuga del papa a Gaeta. Nelle successive elezioni per la Costituente repubblicana del 28 gennaio il M. fu eletto in rappresentanza del collegio cittadino. La giovane età – pochissimi in seno all’assemblea erano più giovani di lui – non gli impedì di compiere numerosi interventi sin dall’inizio delle discussioni: a parte il primo, che ebbe luogo l’8 febbr. 1849 e fu notato e applaudito per la determinazione con cui egli chiese che si proclamasse la Repubblica, si trattò quasi sempre di interventi in materia economico-finanziaria pronunziati per chiedere che non si facesse pagare ai cittadini il deprezzamento dei buoni del Tesoro emessi dalla Repubblica, o che si istituisse una banca nazionale di sconto con cui sostenere il commercio, o che si imponesse il prestito forzoso a famiglie detentrici di una rendita di almeno 2000 scudi.
Tra coloro che non apprezzarono la preparazione del M. ci fu un suo conterraneo, il moderato L.C. Farini, il quale, in una lettera privata a G. Pasolini, si beffò dei «farfalloni economici» da lui lanciati «con imperturbabilità rara» dalla tribuna, soggiungendo che a vedere il M. gli tornava alla memoria «ciò che i coetanei del nonno suo narravano sugli spiriti suoi repubblicani nel 1800» (Farini, 1914); più tardi nella storia dello Stato romano lo stesso Farini si soffermò sulla proposta – fatta dal M. in aula il 18 febbraio – di alleggerire il deficit statale con l’emissione di buoni del tesoro per 1.300.000 scudi e decretò che così facendo aveva perso del tutto «la reputazione facilmente acquistata di economista e finanziere» (Id., 1853).
Non parve pensarla allo stesso modo il triumvirato, che chiamò il M. a far parte di alcune importanti commissioni, tra le quali quella incaricata della liquidazione dell’amministrazione cointeressata dei Sali e l’altra istituita per dare indicazioni su come alleggerire la pressione sui cambi. Questo problema, in particolare, era da mettere in relazione anche con l’isolamento internazionale della Repubblica e fece sentire il suo peso quando il M. fu mandato in missione all’estero per tentare di piazzare nel modo più fruttuoso 284 cartelle di rendita consolidata al prezzo di 20 scudi l’una. Da Genova, dove aveva preso contatto con le banche e gli uomini della finanza (tra questi S. Balduino), il M. comunicò al triumvirato di aver dovuto rinunziare alla vendita a causa dell’eccessivo ribasso con cui era stata accolta la sua offerta. Invitato ripetutamente a tornare a Roma (l’ultimo sollecito gli fu inviato il 15 giugno), rispose che preferiva restare all’estero per timore di essere arrestato dai Francesi; e quando seppe che la Repubblica era caduta si affrettò a depositare i titoli presso un banchiere di Genova. Se sperava che la procedura della loro restituzione alla restaurata amministrazione delle finanze pontificie gli desse la possibilità di rimpatriare non tardò a restare deluso perché il 1° ott. 1849 gli fu consentito di tornare a Roma il tempo strettamente necessario per effettuare il discarico.
Si stabilì allora in Toscana, prima a Firenze e quindi a Livorno, dove all’inizio del gennaio 1855 fu arrestato durante un’operazione di polizia che portò in carcere una settantina di elementi sospettati di attività settaria. Detenuto per qualche mese a Firenze, al momento del rilascio ebbe prorogato il permesso di soggiorno per un anno, terminato il quale emigrò in Piemonte. Intanto il fallimento di un’azienda per la lavorazione del sughero da lui impiantata in Toscana lo costrinse a vendere la casa di Ravenna; gli restavano comunque alcune grosse proprietà terriere, dell’amministrazione delle quali aveva incaricato un cugino.
Si trovava da qualche mese a Torino quando nell’estate del 1857 l’amico G. Pasolini approfittò del viaggio del papa nelle Legazioni per presentargli una supplica volta a ottenere la grazia per il M., a favore del quale intervenne anche il cardinale C. Falconieri. Nell’apprendere che Pio IX aveva autorizzato il suo rimpatrio per un periodo di sei mesi il M. si precipitò a Bologna per gettarsi ai piedi del papa e implorarne il perdono: il gesto gli procurò un soggiorno a Roma che durò fino al 1861, ma gli alienò per sempre le simpatie dei repubblicani che gli divennero anche più ostili quando, verso il 1859, il M. aderì alla soluzione monarchico-unitaria con Vittorio Emanuele II.
Tuttavia il ritorno a Ravenna all’inizio del 1861 gli aprì molte prospettive: il 28 luglio con l’elezione al Consiglio comunale, poco dopo con l’ingresso nella deputazione provinciale e con la direzione della filiale cittadina della Banca nazionale, nel 1863 con la nomina a consigliere e poi a presidente della Camera di commercio. Si precisava intanto il suo pensiero economico. Per quanto scettico sul futuro industriale dell’Italia, stavano a cuore al M. sia il tema dello sviluppo mediante il completamento delle infrastrutture (Di una strada ferrata di congiungimento del Mediterraneo coll’Adriatico, Firenze 1861), sia l’unificazione del sistema bancario che propugnò in quattro articoli per un foglio locale, L’Adriatico, poi ripresi nell’opuscolo Sul progetto d’una banca unica d’Italia (Ravenna 1863).
Le fortune del M. sembravano prosperare sia sul piano privato, con la grande tenuta di Gambellara, sia su quello pubblico, quando nella tarda serata del 3 genn. 1865 fu vittima di un attentato, una coltellata alla schiena dalla quale si riprese rapidamente e che fu il primo di una serie di colpi analoghi messi a segno, talvolta con esito mortale, contro personalità ritenute responsabili del disagio cittadino da una banda, i cosiddetti «accoltellatori di Ravenna», composta in prevalenza di repubblicani ed ex garibaldini. Quello della ritorsione contro gli «odiosi incettatori di grano» (Bassi Angelini, p. 115) fu il principale movente di questa forma deviata di lotta politica, messo in luce dal processo del 1874, tre anni dopo la cattura di tutti i componenti della banda.
Per sicurezza il M. si spostò a Firenze per dirigere la sede locale della Banca nazionale. Conoscendo da tempo l’ambiente non gli fu difficile inserirsi nel mondo della finanza, assai attivo dopo l’inizio dei lavori per il trasferimento della capitale. Prese così a collaborare con il banchiere genovese D. Balduino, amministratore delegato del Credito mobiliare e uomo molto vicino alla consorteria toscana, sostenendone con alcuni articoli nella Nazione – fra fine giugno e inizio luglio 1868 – il progetto di convenzione con il Comune di Firenze. Al centro delle sue riflessioni entrò il problema del capitalismo finanziario e del ruolo che lo Stato doveva assumersi per promuoverlo con interventi di carattere fiscale, per esempio contraendo le tasse di bollo e registro e rinunziando alle imposte sull’entrata e sul vino; in alternativa proponeva che si introducesse un’imposta sulle professioni e la tassa sul macinato, che si gravasse di più sui fondi rustici urbani, si abbassasse il tasso di sconto e si finanziasse l’industria agraria (opuscoli su Le Finanze italiane davanti al Parlamento il 5 dic. 1865, Firenze 1865; Le Finanze e il credito italiano, ibid. 1866; Le Finanze, il credito e la fortuna pubblica in Italia: pensieri e proposte, ibid. 1867). Nel 1868 alcuni articoli del M. a favore della creazione di una Società anonima per la Regia Cointeressata dei tabacchi – un grosso affare, poi andato in porto, cui era interessato il Credito mobiliare appoggiato da altri investitori toscani e stranieri – lo videro polemizzare aspramente con Francesco Ferrara.
Il M. morì a Ravenna il 2 genn. 1875 e fu seppellito nella tenuta di Gambellara.
Fonti e Bibl.: L.C. Farini, Lo Stato romano: dall’anno 1815 al 1850, III, Firenze 1853, p. 236; P. Uccellini, Memorie di un vecchio carbonaro ravegnano, Roma 1898, ad ind.; Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di Federico Comandini e di altri patrioti del tempo, a cura di A. Comandini, Bologna 1899, p. 144; Le assemblee del Risorgimento, Roma 1911, III, pp. 88, 110, 135 s., 266, 286-290, 388, 419, 425, 514 s., 520, 524-526, 556-558, 572, 578 s., 743; IV, pp. 247, 393; L.C. Farini, Epistolario, a cura di L. Rava, III, Bologna 1914, p. 36; A. Serena Monghini, Francesco Serena giacobino ravennate e A. M. deputato alla Costituente romana, Bologna 1930; Patrioti e legittimisti delle Romagne nei registri e nelle memorie della polizia (1832-1845), a cura di G. Maioli - P. Zama, Roma 1935, pp. 93 s.; D. Demarco, Una rivoluzione sociale. La Repubblica romana del 1849, Napoli 1944, pp. 78, 108, 157, 222; R.P. Coppini, L’opera politica di Cambray-Digny sindaco di Firenze capitale e ministro delle Finanze, Roma 1975, ad ind.; C. Bassi Angelini, Gli «accoltellatori» a Ravenna (1865-1875). Un processo costruito, Ravenna 1983, pp. 25-27, 71 s., 86-91, 103 s., 109 s., 114 s., 198; Storia di Ravenna, V, L’età risorgimentale e contemporanea, a cura di L. Lotti, Venezia 1996, ad ind.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (A.M. Ghisalberti).