MINUTOLI, Antonio
– Nacque a Lucca il 26 sett. 1531 da Buonaventura.
La sua casata era una tra le più importanti dell’ambito cittadino: resa «habile ad honores» nel lontano 1369, vantava, come egli stesso ricorda, ben 78 anziani, 4 gonfalonieri, un vescovo e un visconte (Libro di ricordi …, c. 192r).
Sostenuto economicamente dalla propria famiglia e da un sussidio della Repubblica lucchese, il M. compì gli studi di medicina a Padova, dove visse per sette anni, addottorandosi il 14 febbr. 1555. Questo evento costituì l’occasione per cominciare la registrazione di un diario che il M. tenne accuratamente per oltre mezzo secolo, fino a quando, ormai infermo e prossimo alla morte, delegò ai figli Iacopo e Buonaventura il compito di annotarlo.
Oltre alle vicende personali e professionali, nel diario sono riportate anche le cronache di alcuni avvenimenti politici, relativi soprattutto a paesi legati a Lucca da interessi mercantili, come le Fiandre o la Francia, o da ragioni politiche, come lo Stato della Chiesa o quello fiorentino, vicino scomodo e temuto.
Sin da giovane il M. aveva mostrato di possedere una predisposizione per gli incarichi pubblici. Nel 1555, per conto del Consiglio padovano, preoccupato dal prospettato spostamento delle lezioni universitarie a Venezia (dovuto al dilagare di una pestilenza), riuscì infatti a convincere il governo della Serenissima a far sì che «lo studio ritornasse» nella città euganea (ibid., c. 2r). Delle sue capacità si servì anche il governo lucchese. Nel 1566 infatti svolse alcune ambascerie per conto della Repubblica e due anni più tardi collaborò con l’ufficio delle Entrate.
Particolarmente delicato fu l’incarico affidatogli nel dicembre del 1571, quando, insieme con otto concittadini, venne prescelto per riferire in scriptis il proprio parere sul breve con il quale Pio V aveva chiesto a Lucca di entrare nella Lega santa contro i Turchi. In questa delicata circostanza, il M., che riporta per intero nel diario il discorso tenuto in Consiglio, dimostrò una grande abilità diplomatica, suggerendo di non intervenire militarmente ma di limitarsi a contribuire alla causa cristiana con una somma contenuta, viste le difficoltà finanziarie della Repubblica.
Il M. ebbe successivamente modo di ricoprire altre cariche elettive. Nel 1572 fece parte del Magistrato dei segretari del terziere di S. Salvatore. Tre anni più tardi, la guerra civile fra le fazioni nobiliari della vicina Genova per poco non coinvolse direttamente la Repubblica: Lucca, per non inimicarsi i fuoriusciti della nobiltà vecchia e per non privarsi dei propri soldati, non accolse infatti la richiesta genovese di spedire un contingente in Liguria. In quella circostanza il M. fu designato, insieme con cinque concittadini, a presiedere un ufficio che aveva il compito di vigilare e riferire al governo, preoccupato dagli eventi in corso, «quello paresse doversi fare per la cons[er]vatione» della libertà (ibid., c. 97v). Nel 1578, fu tra coloro che diressero una magistratura appositamente creata per la difesa del castello di Castiglione in Garfagnana, bramato dal duca Alfonso II d’Este.
Malgrado gli impegni politici, il M. svolse un’intensa attività professionale. Se nel 1556, anno del suo ritorno da Padova, anche a causa di una lunga malattia, fu scarsamente impegnato nell’esercizio della professione medica, a partire dall’anno successivo cominciò a percepire i primi regolari guadagni della sua carriera, ai quali, per tutto il 1557, sommò lo stipendio derivatogli dalla «lettura d[e] la Logica», (ibid., c. 3r).
Tra le caratteristiche principali del suo Libro di ricordi vi è la scrupolosa attenzione che egli rivolse all’amministrazione patrimoniale, la quale ci permette di ricostruire con precisione l’entità e la fonte delle sue principali entrate. Queste, oltre che dalle rendite dei vari terreni che ereditò, acquistò o incorporò in virtù dei suoi matrimoni, derivavano sostanzialmente dagli incarichi assunti in qualità di medico, che gli consentirono di vivere con un certo agio.
Ai proventi delle visite private egli aggiunse presto gli introiti ottenuti come dottore del monastero di S. Giovanetto, ai quali sommò quelli del monastero di S. Frediano (la zona dove anch’egli abitava), del capitolo dei frati di S. Romano e quelli più cospicui dell’ospedale della Misericordia. Della sua esperienza, oltre al patrizio Benedetto Buonvisi che lo volle come medico personale, si servirono anche numerosi ambasciatori e nobili stranieri che avevano scelto di curarsi nei bagni termali lucchesi e che non mancarono di esprimergli la propria riconoscenza.
La sua fama di medico non tardò a oltrepassare i confini della penisola italiana. Nel 1569 il M. ricevette un’allettante offerta dalla Repubblica di Ragusa che però decise di rifiutare, «parendomi p[er]icoloso il viaggio, et havendo cagione di contentarmi della patria mia» (ibid., c. 59v). Nel 1575, declinò il prestigioso incarico di ambasciatore presso la monarchia spagnola adducendo motivi di salute, così come, sedici anni più tardi, cercò di liberarsi dell’onere di essere stato scelto per svolgere il medesimo ruolo presso la S. Sede (il fatto poi non si concretizzò per la morte del pontefice Innocenzo IX). A Roma, in una delle sue rarissime uscite dal territorio patrio, il M. aveva comunque avuto modo di andare in occasione del giubileo del 1575, quando il Magnifico Consiglio generale lucchese organizzò un fastoso e imponente pellegrinaggio, che lo portò al cospetto del pontefice Gregorio XIII. Per il M., uomo devoto e timorato di Dio, fu un evento memorabile.
La sua religiosità emerge dalle pagine del diario, talvolta eccessivamente ostentata, altre volte mischiata alle superstizioni e alle credenze popolari tipiche dell’epoca (la fiducia nelle influenze astrali, l’esistenza delle streghe, le punizioni divine manifestate attraverso eccezionali intemperie, ecc.). Ben viva in lui fu poi la paura del demonio, ritenuto dal M. concausa della disgraziata sorte del fratello Paolino – «ugonotto per ispiration diabolica» (ibid, c. 83r) – che, residente a Lione per ragioni di mercatura, rimase vittima del furore religioso che scosse nel 1572 l’intera Francia.
Il sacro timore e l’intenso disprezzo che egli nutrì nei confronti dell’eresia – per lui inaccettabile così come qualsiasi altra minaccia all’ordine costituito – emergono chiaramente nel racconto degli eventi francesi, senza peraltro lasciare spazio a sentimenti di commiserazione nei confronti del fratello. Soltanto l’astio mostrato da papa Paolo IV nei confronti della Repubblica lucchese mosse il M., costantemente preoccupato per la sorte della libertà patria, a usare «parole di sdegno e di condanna nei confronti dello Stato Pontificio, senza però scalfire minimamente il suo fideismo religioso o diminuirlo nell’intrinseca sostanza» (Cipriani, 1979, p. 35). Ma al di là di questa presa di posizione e di qualche litigio con il fratello Girolamo – una cui più precisa testimonianza ci è stata negata dallo stesso M. che in più di un’occasione strappò, pentito e riconciliato, le carte alle quali aveva affidato il proprio malumore – egli si mostrò sempre un uomo devoto e mite.
Particolarmente dolce fu il sentimento che lo legò alla moglie Caterina di Guglielmo del Portico, che gli somigliava nella debole costituzione e che lo lasciò vedovo nel 1587 dopo una travagliata malattia. L’anno seguente si risposò con Chiara di Piero Sergiusti dalla quale non ebbe figli.
Il M. morì a Lucca verosimilmente nel 1610 e fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Francesco, a sue spese ampliata e ristrutturata.
Opere: Lucca, Biblioteca statale, Mss., 313: Libro di ricordi per me A. Minutoli, cominciato nel 1555; edizione: Antonio di Bonaventura Minutoli, Memorie di un medico lucchese (1555-1606), a cura di R. Ambrosini - A. Belegni, Lucca 1993. Del M. restano due interessanti scritti a carattere professionale: Avvertimenti sopra la preservatione dalla peste e Sommario della natura, et virtù de Bagni di Lucca. Il primo, pubblicato nel 1576 (Lucca, V. Busdraghi) grazie anche alla insistenza ammirata dell’anatomista Antonio Venturini, tratta della peste facendo perno sulla corruzione dell’aria, ritenuta all’epoca una tra le cause del morbo. Il testo offre numerosi medicamenti e consigli per evitare il contagio, lasciando anche affiorare altri temi, come quello degli influssi astrali e delle virtù curative di alcuni metalli preziosi, da polverizzare in qualche bevanda o più semplicemente da portare addosso. Il secondo, che si conserva manoscritto (Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Capponi, CCLXVIII, cc. 476-478, 1578), presenta invece le benefiche caratteristiche di cinque stabilimenti termali del territorio lucchese, descrivendone brevemente le singole peculiarità che dipendono, oltre che «dagl’elementi e minerali commisti», dall’inconoscibile «favore degl’influssi celesti» (c. 476).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Mss., 67: C. Minutoli, Notizie della famiglia Minutoli, cc. n.n. (sec. XVIII); P. Barsanti, Il pubblico insegnamento in Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII, Lucca 1905, p. 74; G. Cipriani, Il libro di ricordi di A. M. medico lucchese del Cinquecento, in Actum Luce. Rivista di studi lucchesi, VIII (1979), pp. 59-87; Id., Il trionfo della ragione. Salute e malattia nella Toscana dell’Età moderna, Firenze 2005, pp. 25-57.
F. Luti