MESSINEO, Antonio
– Nacque a Bronte (Catania) il 16 nov. 1897 da Francesco e Nunzia Bonsignore. Compiuti gli studi nella città natale, entrò diciottenne nel noviziato dei padri gesuiti a Bagheria, ma subito fu chiamato al fronte e partecipò come sergente di fanteria alla prima guerra mondiale. Completò la sua formazione religiosa, filosofica e teologica nella stessa Bagheria, a Chieri e infine a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana. Fu ordinato sacerdote nel 1930 e nel 1932 fu chiamato a far parte del collegio degli scrittori de La Civiltà cattolica, all’epoca diretta da p. E. Rosa. Ne fu redattore per ben quarantasei anni, fino alla vigilia della morte, e vi ricoprì un ruolo di primo piano, soprattutto negli anni del pontificato di PioXII (1939-1958).
Pur essendosi inizialmente interessato di storia delle religioni, il M. si orientò poi verso le problematiche sociali, politiche e giuridiche di cui approfondì costantemente –da una prospettiva filosofico-teologica – tanto i fondamenti teorici, quanto le implicazioni storiche più concrete e attuali, avvalendosi specialmente della rielaborazione del pensiero giuridico-politico di s. Tommaso operata dal confratello L. Taparelli d’Azeglio.
Alcuni dei primi articoli del M. nella Civiltà cattolica (La concezione dello Stato nel terzo Reich, 1934, vol. 2; La nuova religione della razza, ibid., vol. 3) sono dedicati alla confutazione delle dottrine nazionalsocialiste e di quelle fasciste, interpretate come forme di neopaganesimo e di «monismo sociale», cioè di assorbimento dell’individuo nella collettività. Nei volumi pubblicati negli anni della seconda guerra mondiale egli sviluppò l’argomento collocandolo in un più ampio contesto.
In Monismo sociale e persona umana (Roma 1943) il M. ricostruisce il passaggio dalle concezioni individualistico-atomistiche della società e dello Stato, prevalenti nell’età del liberalismo, alle concezioni organicistiche o monistiche, caratteristiche dei regimi totalitari, che riducono la persona umana a una semplice variabile dipendente del tutto sociale, della Nazione e infine dello Stato. Passando in rassegna le molte e diverse varianti teoriche di tale monismo sociale (sociologistica, psicologistica, mitico-rivoluzionaria, immanentistico-idealistica), il M. si sofferma sulle dottrine nazionalsocialiste qualificandole come «monismo biologico»: la totalità organica, nella quale l’individuo finisce per essere dissolto, assume in esse il volto concreto della razza e del sangue che, elevati dal piano biologico a quello ontologico e metafisico, si impongono come l’assoluto cui ogni realtà deve subordinarsi.
All’«onnipotenza dello Stato sovrano» il M. oppone da un lato la «necessità di rivalutare la persona umana, ridonandole la nobiltà e la dignità che ebbe da principio» (Persona umana e Stato, ibid. 1944, p. 9) e, dall’altro, l’urgenza di riscoprire i due capisaldi della concezione cristiana secondo la quale lo Stato non è un assoluto, ma «un ente essenzialmente relativo», perché dipendente – nel suo sorgere, nel suo permanere e nel suo progredire – dall’uomo (e ultimamente da Dio stesso, in quanto autore dell’umana natura); d’altro canto lo Stato non ha «un potere illimitato», ma è «essenzialmente limitato in ogni sua facoltà di agire» (Concezione cristiana dello Stato, ibid. 1944, p. 8). Limitato – e non solo quanto al tempo e alle circostanze – deve dunque considerarsi anche il potere di determinare le norme fondamentali della vita associata e le basi dell’ordinamento politico e giuridico dello Stato. Tale «potere costituente», infatti, non può in nessun caso esercitarsi a danno della giustizia, cioè dei diritti fondamentali della persona, della famiglia e delle diverse formazioni sociali, scrive il M. in un testo pubblicato proprio durante i lavori dell’Assemblea costituente (Il potere costituente, ibid. 1946). Ciò non gli impedisce di riconoscere nel popolo la sede primaria del potere in questione, fino a sostenere la necessità che sia il popolo stesso a ratificare tramite referendum la nuova costituzione italiana (tesi cui non mancò il sostegno di altri autorevoli studiosi, ma che non ebbe la meglio). Il M. intervenne sulle varie redazioni del testo costituzionale, e poi sulla sua versione finale, giudicata «non un capolavoro», ma soddisfacente per le formulazioni di principio e per la soluzione adottata su questioni cruciali come i rapporti Chiesa-Stato, la famiglia, la scuola. Riserve furono avanzate invece nei riguardi del regionalismo, considerato potenzialmente nemico dell’unità dello Stato (cfr. Il progetto di Costituzione della Repubblica italiana, in La Civiltà cattolica, 1947, vol. 1, pp. 449-458; La Costituzione della Repubblica italiana, ibid., 1948, vol. 2, pp. 595-607).
Per il M. le esigenze della giustizia devono improntare non solo la vita interna dello Stato, ma anche le relazioni tra gli Stati.
Il problema, che egli aveva già affrontato negli anni Trenta in rapporto al fenomeno specifico del colonialismo (Giustizia ed espansione coloniale, Roma 1937), fu trattato sistematicamente negli anni della seconda guerra mondiale, come poi nel dopoguerra, «pigliando a guida l’insegnamento di Pio XII, dal quale ricaveremo le tesi più fondamentali e generali, da inquadrare prima entro il movimento ideologico del tempo presente, per farne brillare maggiormente la luce di verità, che da esse si diparte, e poi svolgerne ampiamente i motivi razionali, sui quali solidamente riposano» (Il diritto internazionale nella dottrina cattolica, ibid. 1942, p. 21). Si sviluppano in piena coerenza con tale dichiarazione di intenti le riflessioni contenute nell’ampio volume appena citato, ma anche in altri testi, come Spazio vitale e grande spazio (ibid. 1942) – in cui si contesta la politica di potenza delle grandi Nazioni e si afferma il diritto all’esistenza anche per i piccoli Stati –, o in scritti più agili, come La pace internazionale (ibid. 1945) e L’ordine internazionale nel pensiero di Pio XII (ibid. 1945). Proprio su questi temi insistono le due relazioni tenute dal M., in anni cruciali, alle Settimane sociali dei cattolici italiani nel 1945, con «Fonte del potere costituente», e nel 1948, con «La sovranità statale e l’ordine internazionale».
Negli anni successivi, quelli della ricostruzione, tra i motivi che maggiormente ricorrono negli scritti del M. vi fu indubbiamente quello del comunismo e dei pericoli che esso avrebbe rappresentato per l’Italia.
Se già nell’immediato dopoguerra egli aveva espresso il timore che le potenze uscite vincitrici dalla guerra finissero per abbandonare l’Italia al controllo sovietico (cfr. Le incognite della ricostruzione europea, in La Civiltà cattolica, 1945, vol. 3, pp. 3-12; Pace senza giustizia, ibid., 1947, vol. 1, pp. 353-358), negli anni seguenti il M. fu al fianco di p. G. Martegani, allora appunto direttore della Civiltà cattolica, nel perseguire un disegno di alleanza tra settori del mondo cattolico – e della stessa Democrazia cristiana (DC) – e partiti e movimenti «di destra»: disegno, peraltro, non condiviso da altri redattori (come p. A. Brucculeri), ma radicato in un’insoddisfazione diffusa, e tutt’altro che estranea allo stesso Pio XII, nei riguardi del centrismo di A. De Gasperi, giudicato troppo incline al compromesso e troppo tiepidamente impegnato a fermentare con il lievito cristiano la vita sociale. Tali riserve non impedirono che la vittoria della DC di De Gasperi nelle elezioni del 18 apr. 1948 assumesse agli occhi del M. il valore di una scelta epocale del popolo italiano «per la civiltà occidentale e per la pacifica collaborazione delle nazioni», di cui il Papato viene considerato il sicuro presidio (L’ora dell’Italia, ibid., 1948, vol. 2, pp. 225-231); analogamente, la rottura dell’unità sindacale, che si consumò nei mesi successivi, gli apparve come la chiara attestazione dell’impossibilità di una collaborazione tra marxisti e cattolici (Le lezioni dell’odio e della violenza, ibid., vol. 3, pp. 225-232); e la sconfitta subita nelle elezioni politiche del 1953 dai partiti laici, al governo con la DC, venne salutata come espressione del fallimento della politica centrista e della necessità per i democristiani di ricercare altrove – nei monarchici, si suggerisce, in quanto «cattolici e rispettosi della Chiesa» – alleati affidabili (Dopo le elezioni politiche del 7 giugno, ibid., 1953, vol. 3, pp. 9 s.).
Alla metà degli anni Cinquanta, cioè nell’ambito di un quadro ecclesiale e politico che andava largamente mutando – alla crisi del «progetto clerico-moderato» sostenuto dal M. faceva seguito, infatti, la crisi dello stesso centrismo degasperiano – appartengono due suoi contributi che fecero molto discutere.
Il primo (I cattolici e la vita politica, ibid., 1954, vol. 2, pp. 3-15), verosimilmente commissionato e riveduto dallo stesso Pio XII, riguarda la questione dell’identità del partito cattolico e trae spunto dalla rivendicazione degasperiana dell’autonomia di esso dall’autorità ecclesiastica. Non è tale autonomia che di per sé fa problema – osserva il M. –, ma non si può negare che il partito in questione sia composto soprattutto da cattolici, che «hanno ideali propri da far valere e da attuare, nella misura del possibile, nella loro azione politica». Il secondo, che suscitò aspre polemiche, è quello diretto contro J. Maritain (L’umanesimo integrale, ibid., 1956, vol. 3, pp. 449-463). Al riguardo va rilevato che, se il M. giunse ad accusare il filosofo francese – cui peraltro si era in precedenza ampiamente ispirato – di «naturalismo integrale», fu forse più che per effettive divergenze teoretiche per il timore che il maritainismo, con la sua pur cauta valorizzazione di talune istanze proprie del marxismo, potesse giovare a un’intesa tra la DC e il Partito socialista italiano (PSI), all’epoca peraltro ancora robustamente radicato sul terreno dell’anticlericalismo e dell’ateismo.
La prospettiva dell’«apertura a sinistra» –ormai all’ordine del giorno per la nuova segreteria democristiana, retta da A. Fanfani, e tuttavia ancora contrastata da più parti, in primo luogo dalle stesse gerarchie vaticane – trovò nel M. un intransigente oppositore, sia sul piano dottrinale sia su quello pratico (cfr. Può il socialismo essere democratico?, ibid., 1957, vol. 3, pp. 337-349; Riflessioni sulla sinistra, ibid., 1958, vol. 4, pp. 3-13).
In realtà non mancarono contatti esplorativi del M. con esponenti di rilievo del socialismo italiano, dovuti forse anche al fatto che, a partire dalla rimozione di Martegani, sempre nel 1954, e all’avvento alla direzione del padre C. Gliozzo, estraneo all’indirizzo clerico-moderato fin lì prevalente nell’ambito della redazione e in maggiore sintonia con la S. Sede, proprio il M. si trovò oramai ai margini all’interno del collegio degli scrittori della rivista.
Di fatto d’allora in poi il ruolo svolto dal M. appare assai meno marcato di quello dei precedenti decenni.
In effetti, i papi succeduti a Pio XII (morto il 9 ott. 1958), Giovanni XXIII e Paolo VI, furono indubbiamente meno propensi ad attribuire alla Chiesa un peso politico diretto negli eventi in particolare italiani e furono piuttosto inclini a sottolinearne la missione eminentemente religiosa e di respiro universale.
Il M. proseguì comunque la sua collaborazione con La Civiltà cattolica, anche se sembrano intensificarsi i suoi impegni «esterni» alla vita della rivista.
Nel 1959, subito dopo la morte di don L. Sturzo, il M. venne chiamato a far parte del consiglio di amministrazione dell’Istituto a questo intitolato, per i cui borsisti tenne alcuni corsi che riordinò personalmente e raccolse sotto il titolo di «Filosofia politica e sociale», in vista di un’eventuale pubblicazione, peraltro finora non concretata. Verso la fine degli anni Sessanta fu inviato quale rappresentante della S.Sede alla conferenza di Vienna sul diritto dei trattati (marzo-maggio 1968 e aprile-maggio 1969). Inoltre, nell’ultima fase della sua vita, collaborò assiduamente alla rivista Idea, fondata da mons. P. Barbieri.
Il M. morì a Roma il 9 maggio 1978.
La produzione del M. consta soprattutto degli oltre 400 scritti, apparsi nell’arco di quasi mezzo secolo nella Civiltà cattolica, dei quali si può ricavare un elenco completo attraverso gli indici analitici pubblicati periodicamente dalla redazione della rivista. Fra i volumi del M., oltre a quelli già citati nel testo si ricordano ancora (tutti editi a Roma se non diversamente indicato): La Nazione, 1942; Il problema delle minoranze nazionali, 1945; I diritti della persona, 1944; Autorità e libertà, 1945; fra i contributi a opere collettive: Libertà e socialità nel pensiero di A. Rosmini, in La problematica politico-sociale nel pensiero di A. Rosmini, 1955, pp. 41-55; Il p. Luigi Taparelli d’Azeglio, in I cattolici italiani dall’800 ad oggi, Brescia 1964, ad indicem.
Fonti e Bibl.: Scarsi sono gli scritti specificamente dedicati al M.; per un profilo dell’uomo, del sacerdote e dello studioso, oltre che per alcune utili indicazioni, si veda: D. Mondrone, Ricordo del padre A. M., in La Civiltà cattolica, 1978, vol. 2, pp. 468-473. Si veda ancora: G. Campanini, Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, s.v. e G. Venneri - P.O. Ferrara, Alcide De Gasperi and A. M.: a spiritual idea of politics and a pragmatic idea of religion?, in Religion, State and society, XXXVII (2009), pp. 115-129. Frequenti sono i richiami al pensiero e all’azione del M. negli studi variamente dedicati ai rapporti tra cattolici e società italiana nel Novecento; fra i più recenti, si considerino in particolare: A. Giovagnoli, Il partito italiano. La Democrazia cristiana dal 1942 al 1994, Roma-Bari 1996, ad ind.; G. De Rosa, «La Civiltà cattolica»: 150 anni a servizio della Chiesa (1850-1999), Roma 1999, ad ind.; G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983), Brescia 2003, ad ind.; A. Riccardi, Pio XII e Alcide De Gasperi. Una storia segreta, Roma-Bari 2003, ad ind.; R. Sani, «La Civiltà cattolica» e la politica italiana nel secondo dopoguerra (1945-1958), Milano 2004, ad indicem.
E. Botto