MERENDA, Antonio
MERENDA, Antonio. – Nacque a Forlì il 1° ott. 1578 da Ludovico e da Clelia Dall’Aste, entrambi di antiche e nobili famiglie forlivesi.
Dopo aver studiato retorica e filosofia nella città natale e aver frequentato – con il nome di Arido – la locale Accademia dei Filergiti, proseguì la formazione presso l’Università di Pisa, dove si addottorò in utroque iure il 19 giugno 1608. Si trasferì quindi a Roma, favorito dalla presenza nella città dei familiari Vincenzo e Ippolito Merenda, noti uomini di legge legati alla cerchia dei Barberini. Come ricorda egli stesso, ebbe così modo di apprendere «iurisprudentiae practicae rudimenta», sia presso la Rota sia presso altri tribunali romani (Controversiarum iuris libri sex, IV, Pavia 1647, cc. n.n.).
Ben presto si diffuse la fama della sua abilità forense, non essendoci «causa alcuna anche astrusissima, che egli non patrocinasse trionfantemente» (Rosetti, p. 314), e nel 1611 Cosimo II de’ Medici lo volle come lettore di diritto civile presso l’Università di Pisa, insegnamento al quale associò, nel 1614, quello di diritto feudale. Presso l’Accademia pisana insegnò fino al 1624, unendo alla dottrina giuridica una riconosciuta integrità morale, qualità che lo portarono a rientrare tra i patentati del locale tribunale del S. Uffizio, per il quale espresse pareri e patrocinò cause. Nell’autunno del 1624 il cardinale Francesco Barberini, già suo protettore a Roma e ora governatore di Fermo, decise di dare maggiore lustro allo Studio fermano invitando il M. a ricoprire la cattedra mattutina di diritto civile.
Nel 1631 il M. lasciò Fermo, accettando l’insegnamento offertogli, nella stessa disciplina, dall’Università di Pavia, presso la quale trascorse un lungo periodo, denso di studi e di pubblicazioni. Nel settembre 1647 comunicò ai Conservatori di Forlì di essere stato chiamato a Bologna (cfr. Brandi) come titolare della cattedra pomeridiana di diritto civile nello Studio della città, nei cui rotuli è designato – a distinguerlo dagli altri docenti – come «eminentissimus» (Dallari, passim). Il 31 marzo 1649 l’inquisitore di Bologna Vincenzo Preti nominò il M. consultore del locale tribunale del S. Uffizio e il 24 maggio 1652 il Consiglio universitario gli rinnovò l’incarico di insegnamento per ulteriori sette anni, con uno stipendio annuo considerevole, «quadruplo o quintuplo di quello assegnato ai giuristi cittadini» (Costa). Alcuni repertori biografici riportano inoltre la notizia di una proposta di insegnamento rivoltagli nel 1655 dallo Studio di Padova.
Il M. morì a Bologna nel 1655.
B. Carrati indica come data di morte il 3 gennaio (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.913), mentre nei registri degli stipendi dei lettori dello Studio il nome del M. appare ancora nell’elenco relativo alle somme assegnate nel terzo trimestre del 1655 (Arch. di Stato di Bologna, Riformatori dello Studio, Quartironi degli stipendi, b. 49, anno 1655). Fu sepolto, sempre a Bologna, nella chiesa di S. Salvatore dei canonici regolari. Una lapide, apposta nel 1650 nell’aula dell’Archiginnasio riservata ai legisti (l’odierna sala dello Stabat Mater), ne ricorda – con le parole del priore della facoltà giuridica G.P. Nicelli – gli alti meriti accademici.
Tra il 1625 e il 1655 il M. diede alle stampe diverse opere, destinate ad assicurargli considerevole fama, ma anche a suscitare non poche polemiche. Nel 1625 apparvero a Venezia i Controversiarum iuris libri sex, dedicati al cardinale Francesco Barberini e ai Priori di Fermo. Il M. vi discute e risolve luoghi ambigui e oscuri della dottrina del diritto civile, con una particolare attenzione – non dimentico del proprio esercizio della professione legale – ai casi dubbi che potevano occorrere nella pratica giuridica. Tra il 1638 e il 1639 furono stampati a Pavia il secondo e il terzo tomo dell’opera, mentre il quarto vide la luce solo nel 1647. In quest’ultimo volume, dedicato non più al Senato di Milano come i due precedenti ma al duca di Parma e Piacenza Ranuccio Farnese, il M. discute oltre milletrecento dubbi, riprendendo molte delle questioni affrontate nelle lezioni tenute presso lo Studio pavese. Il tomo è corredato di un ampio indice dell’intera opera, allestito dal nipote del M., Giuliano, figlio del fratello Fabrizio. Le Controversiae iuris, ampiamente citate nella letteratura giuridica del XVII e XVIII secolo, ebbero notevole fortuna editoriale. Il primo volume fu ristampato nel 1626 a Francoforte, mentre dell’intera opera si ebbe nel 1660 una nuova edizione a Venezia, con l’aggiunta di materiale inedito. Ne sono infine note alcune edizioni settecentesche, come la veneziana del 1706, stampata da G.G. Hertz, e quella edita con il titolo Controversiarum iuris libri XXIV a Bruxelles tra il 1745 e il 1746, a cura di J.M. van Langendonck.
Particolare risonanza ebbe la controversia Cambia nundinalia, inserita nel IV tomo delle Controversiae iuris, ma già edita in forma autonoma con il titolo di De cambio nundinali tractatus (Pavia 1645). Il M. discute della liceità, anche teologica, delle pratiche in uso nel mercato dei cambi in netto contrasto con chi legittimava il commercio del denaro. L’opera suscitò vivaci reazioni, dando origine a uno scambio polemico con il genovese Giovanni Domenico Peri, che nel 1651 inserì nel trattato I frutti d’albaro (Genova 1651) la corrispondenza intercorsa a riguardo con il Merenda. Altrettanto aspra fu la discussione che si aprì con Raffaele Della Torre, autore di quel Tractatus de cambiis più volte criticato dal M., critiche alle quali Della Torre replicò con le Reiectiones, redargutiones, vendicationes… ad tractatum suum de cambiis adversus A. Merendam… (Genova 1655).
Sempre nel periodo pavese il M. si inserì nella discussione antiastrologica seguita alla bolla di condanna Inscrutabilis, emanata nel 1631 da Urbano VIII Barberini, dando alle stampe La destrutione de’ fondamenti dell’astrologia giudiciaria (Roma 1640), nella quale confutò puntualmente – come recita il frontespizio – la possibilità di predire attraverso la lettura degli astri «dignità, ricchezze, sanità, overo malattie del corpo, & altri successi accidentali». Si tratta dell’unica opera del M. redatta in lingua italiana, una scelta motivata dall’esigenza di rivolgersi, come si legge nella dedicatoria all’arcivescovo di Fermo G.B. Rinuccini, anche «à quegli, che dall’opere di Theologia, e Filosofia stanno lontani». Il breve trattato ebbe una certa diffusione, suscitando per esempio l’interesse di Marin Mersenne, che nel 1645 ne acquistò una copia per la propria biblioteca (cfr. M. Mersenne, Correspondance, XIII, 1644-1645, a cura di C. de Waard - A. Beaulieu, Paris 1977, p. 538).
Nel 1655 apparve a Bologna (forse postuma, sebbene nulla nel volume permetta di appurarlo con sicurezza) la Disputationis de consilio, minime dando extra casus regulae ex duobus malis, iuxta opinionem specificantem probabiliter actum pro licito… pars prima, dedicata a Preti, ora commissario del S. Uffizio romano, e corredata di un indice curato dal nipote del M., Giuseppe, fratello del già ricordato Giuliano. In questa opera il M., che già nelle Controversiae iuris aveva affrontato il nodo tra verità, verosimiglianza e probabilità nel diritto, prese netta posizione contro il probabilismo, in anni in cui tale teoria era oggetto di discussioni in seno al S. Uffizio. Il M. attaccò con particolare virulenza A. Escobar y Mendoza e altri gesuiti, accusati di sostenere opinioni lassiste e probabiliste. La reazione della Compagnia non si fece attendere, e nel giugno del 1657 l’opera fu denunciata alla congregazione dell’Indice. Tra il 1659 e il 1661 fu data lettura di tre diverse censure, tutte concordi sul fatto che il De consilio necessitasse di una rigorosa espurgazione, in particolare dei tanti luoghi in cui il M., per confutare il probabilismo, attaccava in modo ingiurioso i gesuiti, arrogandosi quale laico un’autorità che poteva essere esercitata solo dal supremo tribunale ecclesiastico. Il 13 nov. 1661 fu emanato il decreto di proibizione dell’opera, con la formula «donec corrigatur», e il 13 luglio 1663 i nipoti Giuliano e Giuseppe – anch’essi lettori di diritto presso lo Studio bolognese – si rivolsero alla congregazione perché si procedesse alla espurgazione, poi approvata il 20 novembre dello stesso anno con un decreto che disponeva la stampa di un’edizione emendata, autorizzandone così la circolazione perché «in tutto il libro non c’è altro male se non che è pieno di maledicenze contro la Compagnia» (Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Index, Protocolli, III, c. 137r). Non sembra però che le correzioni siano state comunicate agli istanti, e il 30 apr. 1697 fu il figlio di Giuseppe, Fabrizio Merenda, a rinnovare la supplica «affine si possa ristampare, e successivamte permetterli l’impressione del secondo Tomo nella med[esi]ma Opera, con quella revisione, o corretione che a questo Sac. Tribunale più piacerà» (ibid., c. 170r). Non è però nota alcuna nuova edizione dell’opera, né si hanno notizie di una sua seconda parte, probabilmente rimasta manoscritta e in mano agli eredi. Nel 1647 il M. aveva inoltre annunciato, nelle pagine preliminari del IV tomo delle Controversiae iuris, la prossima pubblicazione presso un tipografo veneziano di un «grande responsorum volumen». Anche di questa opera, rimasta inedita, manca qualsiasi traccia.
Fonti e Bibl.: L’Archivio di Stato di Forlì conserva copia dell’inventario dell’Archivio Colombani-Merenda – ritirato nel 1982 e attualmente non consultabile –, dal quale risulta la presenza in quell’archivio di numerose «scritture di argomento legale» del Merenda. Arch. di Stato di Bologna, Assunteria di Studio, Requisiti dei lettori, b. 47, f. 19; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.913: B. Carrati, Li morti sì nobili che civili… della città di Bologna… estratti dalli libri parrochiali, pp. 259 s.; Pisa, Arch. della Curia arcivescovile, Fondo Inquisizione, filza I.924; Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, S.O., Decreta, 1649, c. 33v (nomina a consultore a Bologna); Index, Protocolli, KK, cc. 117r-143v; LL, cc. 199r-231v; III, cc. 136r-137v, 170; I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, a cura di E. Dallari, II, Bologna 1889, pp. 452-480; Acta graduum Academiae Pisanae, a cura di G. Volpi, II, Pisa 1980, n. 100454; G.M. König, Bibliotheca vetus et nova, in qua… scriptorum…, Altdorfii 1678, p. 534; G.V. Marchesi, Memorie storiche dell’Accademia de’ Filergiti della città di Forlì, Forlì 1722, pp. 158-160; Id., Vitae virorum illustrium Foroliviensium, Forolivii 1726, pp. 178-181; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, II, Pisis 1792, pp. 88, 222-224; P. Bonoli, Storia di Forlì, II, Forlì 1826, p. 467; G. Rosetti, Vite degli uomini illustri forlivesi, Forlì 1858, pp. 311-320; V. Curi, L’Università degli studi di Fermo, Ancona 1880, p. 96; L. Moriani, Influenza esercitata dall’Università di Pavia negli studii della giurisprudenza civile, Pavia 1891, p. 3; B. Brandi, Notizie intorno a Guillelmus De Cunio, Roma 1892, p. 64; E. Costa, Contributi alla storia dello Studio bolognese durante il secolo XVII, in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, Bologna 1912, p. 30; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, VI, New York 1941, p. 177; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi, e moderni della famosa Università di Bologna, Bologna 1947, p. 209; C. Calcaterra. Alma mater studiorum, Bologna 1948, p. 210; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, II, Milano 1952, p. 153; R. De Roover, L’évolution de la lettre de change, XIVe-XVIIIe siècles, Paris 1953, pp. 79 s.; P. Vaccari, Storia della Università di Pavia, Pavia 1957, p. 145; A. Tagliaferri, I ceti dirigenti in Italia in Età moderna e contemporanea, Udine 1984, p. 233; Storia dell’Università di Pisa, I, 1343-1737, Pisa 1993, pp. 525, 548, 551, 554; J.M. De Bujanda, Index librorum prohibitorum, XI, Montréal-Genéve 2002, p. 611; A. Prosperi, L’Inquisizione romana. Letture e ricerche, Roma 2003, pp. 290-292 n. 74; P. Stella, Il giansenismo in Italia, I, Roma 2006, pp. 9, 76, 78 s., 248.