MASSA, Antonio
– Nacque il 7 giugno 1500 a Gallese, antica località situata tra il Tevere e i monti Cimini, nell’attuale provincia di Viterbo.
Intraprese gli studi giuridici ed egli stesso informa, in una lettera al cardinale Alessandro Cesarini premessa al trattato De iudiciis bonae fidei (Roma, M. Tramezzino, 1540), di essere stato allievo di Guglielmo Pontani, titolare della cattedra di diritto civile nell’Università di Perugia. Conseguì il titolo di dottore in utroque iure, tuttavia nei documenti dello Studio umbro il suo nome non risulta né negli elenchi dei laureati né nei verbali degli esami per il conseguimento del dottorato, entrambi, peraltro, incompleti (Perugia, Arch. dell’Università, Acta doctorum, voll. II.C, IV.C, V.C, VI.C).
Trasferitosi a Roma, dove visse almeno dal 1529, il M. esercitò il notariato, essendo immatricolato dal 1532 nel collegio degli scrittori d’archivio della Curia romana. Tuttavia raccolse i maggiori successi nell’esercizio dell’avvocatura, affermandosi come «il primo procuratore di Roma» e «avocato principalissimo», secondo le definizioni, rispettivamente, di Michele Ghislieri e Lelio Torelli (Firpo - Marcatto, II, p. 1131 n. 18). Dal 1559 fu, insieme con Marcantonio Borghese e Pirro Taro, fra i difensori del cardinale Giovanni Morone, accusato di eresia dal tribunale del S. Uffizio.
Al M., con ogni probabilità, si deve «il più lungo e forse il più importante dei documenti difensivi elaborati dagli avvocati di Morone» (ibid., III, p. 82), quella Brevis informatio status causae et processus per officium Sanctae Inquisitionis contra reverendissimum dominum cardinalem Moronum agitati, redatta dopo la morte di Paolo IV, presumibilmente nei primi mesi del 1560 (edita ibid., III, pp. 366-401). Si tratta di un documento volto a dimostrare la nullità del procedimento intentato contro il cardinale Morone, avviato in mancanza di indizi o di infamia e non sostenuto da validi elementi di prova.
Nel 1560 il M. fu chiamato, ancora insieme con M. Borghese, a far parte del collegio di difesa di Giovanni, Carlo e Alfonso Carafa, rispettivamente nipoti e pronipote di Paolo IV, imprigionati e sottoposti a processo dal successore Pio IV. Presso l’Archivio segreto Vaticano (Fondo Borghese, Serie I, 130, cc. 62r-70r) si conserva copia di una memoria difensiva redatta dal M. per il giovane cardinale di Napoli, Alfonso, accusato, tra l’altro, di avere sottratto denaro, gioielli e altri oggetti di gran valore dalla camera del papa morente.
All’attività professionale il M. affiancò una produzione scientifica piuttosto nutrita.
È rimasta inedita fino al 1930 l’epistola De sententia regis Angliae super futuro concilio indirizzata a un certo «Iacobum de Orcherdeh» nel novembre 1537 (edita in Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistolarum, tractatuum nova collectio, XII, 1, Tractatuum pars prior, a cura di V. Schweitzer, Friburgi Brisgoviae 1930, pp. 159-166). Si tratta di una confutazione del libello con il quale il re d’Inghilterra Enrico VIII aveva reagito alla decisione di Paolo III di prorogare la data della convocazione del concilio. Secondo il M., la reale intenzione del sovrano inglese era impedire in qualunque modo che il concilio avesse luogo e, in subordine, approntare motivi di dissenso pretestuosi nell’eventualità che, una volta riunito, il concilio deliberasse contro di lui.
Di carattere più strettamente giuridico è un trattatello avente per oggetto la materia processuale, il De exceptionibus (Roma, A. Blado, 1535), titolo che l’editore M. Tramezzino, in occasione di una successiva edizione (in Legalia opuscula, Venezia 1549), mutò in quello di Praxis iudicialis, da lui ritenuto più congruo al contenuto dell’opera. Seguì un’introduzione allo studio delle Institutiones di Giustiniano, la Praeparatio in iuris civilis Institutiones redatta nel 1538, stando alla lettera dedicatoria all’amico Giacomo Cortesi, e pubblicata, secondo Del Re (1992, p. 24) che non indica né il luogo né l’editore, nel 1540: l’edizione nota è comunque quella nei Legalia opuscula, pubblicata da Tramezzino nel 1549. Lo stesso M., nella lettera dedicatoria all’amico Giacomo Cortesi, narra come, essendo stato chiamato a Verona dal vescovo Gian Matteo Giberti, ne avesse approfittato per recarsi a Bologna al fine di sottoporre il suo lavoro al prezioso giudizio di Andrea Alciato, ricevendone l’incitamento a darlo alle stampe (ibid., c. 24v). E proprio l’Alciato del De verborum significatione sembra essere richiamato dal passo dell’opera in cui il M., criticando Lorenzo Valla e gli altri detrattori di Accursio e Bartolo, rivendica la necessità di un linguaggio tecnico-giuridico (ibid., cc. 38v-39r).
Il trattatello De iudiciis bonae fidei (Roma, M. Tramezzino, 1540) fu invece elaborato dal M. su sollecitazione del suo maestro Pontani, insoddisfatto delle opere scritte fino ad allora sull’argomento. Frutto dell’esperienza acquisita nell’esercizio dell’avvocatura presso la Curia romana è l’operetta De usu iudiciorum Palatii apostolici (ibid., A. Blado, 1542). Si tratta di una sorta di vademecum sotto forma di lettera scritta a un amico in procinto di trasferirsi a Roma e desideroso di intraprendervi la professione legale, nel quale il M. descrive il funzionamento e la prassi giudiziaria del tribunale della Sacra Rota.
Queste opere del M., insieme con una lettera indirizzata al giovane cardinale Ranuccio Farnese sulla necessità della iuris scientia per i principi della Chiesa, furono riunite dallo stampatore M. Tramezzino nei Legalia opuscula (Venezia 1549). Precedono le opere del M. alcuni versi a lui dedicati, tra i quali quelli dei poeti P. Corsi e F.M. Molza, nonché di A. Colocci, collezionista e mecenate, animatore della vita culturale romana e proprietario dei celebri Horti Sallustiani, di cui il M. fu anche esecutore testamentario (cfr. Fanelli).
La frequentazione da parte del M. dei circoli umanistici fiorenti nell’ambiente romano è testimoniata anche dalla sua amicizia con Marcantonio Flaminio (che gli dedicò un carme), letterato e sostenitore della dottrina valdesiana, familiare del vescovo Giberti, che seguì per un periodo a Verona, dove nel 1538 lo stesso M. fu chiamato dal prelato. Del Re (1992, pp. 11-13) propone come plausibile spiegazione del soggiorno veronese del M. la collaborazione alla redazione di quelle Costituzioni approntate da Giberti per la riforma della diocesi veronese e pubblicate nel 1542. Lo stesso autore, però, sottolinea come tale ipotesi non abbia al momento ricevuto conferma documentale.
Gli interessi umanistici del M. lo portarono, da un lato, a cimentarsi con la traduzione di sette opuscoli di Plutarco (Alcuni opuscoletti delle cose morali del divino Plutarco, in questa nostra lingua nuovamente tradotti, Vinegia, M. Tramezzino, 1543), dall’altro lato a ricostruire la storia della sua terra d’origine, Gallese, da lui identificata con l’antica città di Faleria, sulla base delle testimonianze di Strabone e di altri autori classici (De origine et rebus Faliscorum liber, Roma, A. Blado, 1546).
Del resto il M. conservò sempre uno stretto legame con il paese che gli aveva dato i natali, svolgendo la funzione di procuratore della Comunità nella città di Roma. Nel 1554 gli fu anche chiesto di redigere alcuni capitoli riguardanti l’amministrazione comunale, che furono inseriti nel primo libro degli statuti di Gallese con il titolo De modo regendi et administrandi res publicas, proventusque et introitus nostrae magnificae Communitatis affictandi (in Statuta civitatis Gallesii, Gallese, A. Colaldi, 1576).
La produzione giuridica del M. si intensificò a partire dalla metà del secolo.
Con il De exercitatione iurisperitorum (Roma, V. e L. Dorico, 1550), diviso in tre libri e destinato agli studenti di diritto, il M. «si sforza di fornire ai suoi giovani lettori strumenti dialettici e metodologici di interpretazione validi tanto per gli studi quanto per l’esercizio della professione legale» (Conte, p. 70).
Nel volume Ad formulam cameralis obligationis liber (ibid., V. e L. Dorico, 1553), il M. affronta il tema dell’obbligazione in forma Camerae apostolicae, «una particolare formula notarile che sulla base del riconoscimento del debito da parte del soggetto passivo […] autorizzava il creditore a sollecitare l’esecuzione in caso di inadempimento secondo una procedura più rapida» (Campitelli, p. 135). Tale procedura prevedeva l’esecuzione «tam in anima et fama», tramite scomunica, «quam in persona», mentre l’esecuzione sui beni temporali del debitore era ammessa solo nel caso in cui gli altri rimedi non avessero conseguito risultato. Il M. ne propose una nuova formula, che, però, non sembra essere stata recepita nella prassi. La sua opera, invece, ebbe varie edizioni, tra le quali quelle, commentate e ampliate con l’aggiunta della giurisprudenza rotale in materia, di Silvestro Zacchia e del nipote Lanfranco (rispettivamente De obligatione camerali resolutiones…, ibid. 1615 e Lucubrationes ad Gallesium de obligatione camerali…, ibid. 1647).
Nel trattato Contra usum duelli (ibid., V. Dorico, 1554), il M. prese decisamente posizione contro coloro che sostenevano la legittimità del duello d’onore. Quest’ultimo, che egli distingueva nettamente dal duello giudiziario, doveva essere considerato arbitrario, poiché spettava unicamente alla giustizia ordinaria e al principe vendicare le offese arrecate ai cittadini. L’opera del M. conobbe un notevole successo e l’anno successivo fu tradotta in italiano e con l’aggiunta di una lettera di A. Stellino, in cui erano ribadite le ragioni dell’autore (Contra l’uso del duello, Venetia, M. Tramezzino, 1555).
Del 1555 è anche l’operetta De re frumentaria (Roma, A. Blado), dedicata a Vitellozzo Vitelli, designato da Paolo IV alla presidenza dell’Annona, mentre negli anni seguenti furono pubblicati un breve trattatello sulla diserzione (De transfugis, ibid., V. Dorico, 1556), nonché uno studio sull’usura (De usuris, ibid., V. Dorico, 1557).
In qualità di canonista e patronus causarum, nel 1556 il M. fu inserito nella commissione di cardinali, alti prelati, magistrati, esperti di diritto e teologi, costituita da Paolo IV per la riforma della Chiesa. Inoltre il pontefice, nell’ottobre del 1557, chiamò il M. a far parte, insieme con gli uditori rotali F. Accoramboni e G. Oradini, di una commissione incaricata di esaminare le Institutiones iuris canonici di G.P. Lancellotti in vista di una loro pubblicazione e nel 1568 di una commissione di censura di opere giuridiche (Savelli).
Dei primi anni Sessanta sono gli ultimi due lavori del M. dati alle stampe: le Informationes atque allegationes pro dominis abbatibus ex Congregatione Cassinensi, in causa praecedentiae in sacra oecumenica Synodo Tridentina (Venezia, G. Ziletti, 1562) e il De annatis sermo (Roma, A. Blado, 1563), dedicato al cardinale Carlo Borromeo, nel quale erano esaminate l’origine e la natura delle imposte dovute alla Camera apostolica dai possessori di benefici ecclesiastici minori. Scopo dell’autore era dimostrare la legittimità di tali tributi in un momento in cui questi erano messi in discussione e da più parti considerati assimilabili ad atti di simonia.
Al M. si deve anche, secondo quanto risulta dall’edizione del 1593, la traduzione dal latino del Breve trattato… del modo di pregare Iddio, opera dell’inglese John Fisher, vescovo di Rochester (Venezia, A. Orero, 1593). Inoltre, un’annotazione manoscritta, apposta sul verso del frontespizio dell’esemplare conservato nella Biblioteca Vallicelliana di Roma, attribuisce al M. anche l’anonimo Numerus et tituli cardinalium, archiepiscoporum et episcoporum Christianorum. Taxae et valor beneficiorum Regni Galliae, cum taxis Cancellariae apostolicae, necnon Sacrae Poenitentiariae itidem apostolicae… (Parigi, G. Du Pré, 1545), proveniente dalla biblioteca del cardinale Silvio Antoniano. Tuttavia, un’ulteriore annotazione sul primo foglio del volumetto limita la paternità del M. alla sola parte relativa alle imposte dovute alla Cancelleria apostolica.
Le opere del M. ebbero una notevole diffusione, testimoniata dalle numerose edizioni, non solo italiane, che si succedettero fino al XVII secolo, mentre i trattati De exercitatione iurisperitorum e De iudiciis bonae fidei, nonché quelli sull’obbligazione camerale e sul duello furono inseriti nei Tractatus universi iuris (Venezia 1583-86, rispettivamente I, cc. 168v-181v; III, parte 1ª, cc. 101v-105r; VI, parte 2ª, cc. 349r-365v; XII, cc. 313v-321v). Dalle opere, il M. risulta un giurista che, se da un lato era pienamente partecipe della temperie umanistica, dall’altro si rivela «seguace e promotore del paradigma dialettico delle scienze giuridiche» (Conte, p. 84). Le frequenti citazioni di autori classici si accompagnano a una costante attenzione alle esigenze della prassi giudiziaria, mentre l’apprezzamento per Bartolo e per Felino Sandei si affianca a una critica spietata nei confronti di Baldo, autore ritenuto dal M. privo di eleganza ed erudizione, nonché confuso, contraddittorio e, in definitiva, inaffidabile.
Divenuto cittadino romano nel 1540, il M. rivestì ruoli nell’amministrazione del Comune capitolino. Fu eletto più volte sindaco: nel 1556 dei Maestri di strade, nel 1559 del Bargello e nel 1560 dei Conservatori. Nel 1558 fu uno dei quattro riformatori della Sapienza, mentre nel primo trimestre del 1562 ricoprì la carica di primo conservatore. L’anno seguente fu designato con P. Taro e I. Salviani a presiedere all’amministrazione della Stamperia del Popolo romano, incarico dal quale si dimise il 22 marzo 1568, forse per ragioni di salute. Infine, nel 1567 fu chiamato a far parte di una commissione di diciotto membri incaricata di procedere a una revisione degli statuti di Roma.
Il M. morì a Roma il 17 maggio 1568 e fu sepolto nella chiesa di S. Pietro in Montorio. Lasciò la moglie, Clemenza Tani, con la quale aveva avuto nove figli. Tra questi Matteo e Baldovino, notai, e Taddeo, che fu abbreviatore della Cancelleria apostolica e referendario di giustizia.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Fondo Borghese, Serie I, 130, cc. 62r-70r, 113r-117r, 134r-140v; Conc. Trid., 79, cc. 44v, 47v, 53v, 79v, 80v, 89r, 90v, 96r; Biblioteca apost. Vaticana, Borg. lat., 61, cc. 99r-100r, 113r-117v, 119r-122r, 241r-242v, 247r-248v; 284; Roma, Arch. stor. Capitolino, Notarile, Sez. I, vol. 464; Camera Capitolina, Cred. I, t. 3, c. 81v; t. 17, cc. 63v-64r, 65r-66r; t.20, cc. 98v, 157v; t.21, cc. 38v, 144v ss.; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone. Ed. critica, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, II, Il processo d’accusa, Roma 1984, pp. 1130 s., 1133, 1135; III, I documenti difensivi, ibid. 1985, pp. 23, 25, 30, 34, 36 s., 80-83, 332-335, 366-401; G.P. Lancellotti, Institutiones iuris canonici…, Venetiis 1570, cc. 261v-262v; M. Flaminio, Carmina…, Patavii 1743, p. 139; F.M. Renazzi, Storia dell’Università di Roma, II, Roma 1804, p. 249; O. Scalvanti, Notizie e documenti inediti sulla vita di Gio. Paolo Lancellotti giureconsulto perugino del secolo XVI, in Annali della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Perugia, n.s., IX (1899), pp. 233, 235; R. Ancel, La disgrâce et le procès de Carafa, in Revue bénédictine, XXVI (1909), pp. 190, 202; A. Pugliese, Annate e mezz’annate nel diritto canonico, in Studi di storia e diritto in onore di Carlo Calisse, Milano 1940, II, pp. 121 s., 164; F. Barberi, Paolo Manuzio e la Stamperia del Popolo romano (1561-1570), Roma 1942, pp. 50, 55, 57, 62, 174, 178, 181 s., 184; M. Maroni Lumbroso, Il monumento anepigrafo in S. Pietro in Montorio, in Almanacco dei bibliotecari italiani, XV (1966), pp. 124-126; T. Amayden, La storia delle famiglie romane con note ed aggiunte del comm. Carlo Augusto Bertini, Bologna 1967, II, pp. 63 s.; A. Campitelli, Precetto di guarentigia e formule di esecuzione parata nei documenti italiani del secolo XIII, Milano 1970, pp. 135-137, 141; V. Fanelli, Ricerche su Angelo Colocci e la Roma cinquecentesca, Città del Vaticano 1979, p. 14 n. 13; M.L. San Martini Barrovecchio, Il collegio degli scrittori dell’Archivio della Curia romana e il suo ufficio notarile (secoli XVI-XIX), in Studi in onore di Leopoldo Sandri, Roma 1983, III, p. 871; E. Conte, Accademie studentesche a Roma nel Cinquecento, Roma 1985, pp. 70-72, 83 s., 144 n. 2; N. Del Re, Luca Peto giureconsulto e magistrato capitolino (1512-1581), in Scritti in onore di Filippo Caraffa, Anagni 1986, p. 320 n. 33; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, Brescia 1987, I, pp. 377 s.; N. Del Re, Una lapide e un sepolcro rivendicati, in Strenna dei romanisti, L (1989), pp. 161-164, 171; Id., A. M. da Gallese. Giurista e letterato (1500-1568), Napoli 1992; M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone e il suo processo d’eresia, Bologna 1992, pp. 338 s.; R. Savelli, La censura dei libri di diritto..., in A Ennio Cortese, Roma 2001, III, p. 247, n. 96; M. Cavina, Il duello giudiziario per punto d’onore, Torino 2003, ad ind.; Id., Il sangue dell’onore, Storia del duello, Roma-Bari 2005, pp. 70, 104 s., 207, 220.