MARLIANI, Antonio
– Figlio di Alberto e fratello di Melchion, Marco, Sasso, Stefano e Maddalena, nacque presumibilmente nel primo quarto del XV secolo. Apparteneva a un’antica e nobile famiglia che, come narra Corio, accolse Francesco Sforza al suo ingresso in Milano il 26 febbr. 1450, anno in cui il M. fu nominato podestà e commissario di Cremona. Ricoprì inoltre la carica di maestro delle Entrate ordinarie dal 4 dic. 1467, di commissario e podestà di Savona dal 1° genn. 1475 per un anno e di consigliere segreto dall’ottobre 1475, dopo la morte del fratello Melchion.
La sua figura si inserisce a pieno titolo tra i protagonisti delle intricate vicende politiche, diplomatiche e militari che caratterizzarono la storia della città e del Ducato di Milano all’epoca di Galeazzo Maria Sforza e soprattutto, dopo l’assassinio di questo (26 dic. 1476), della duchessa Bona di Savoia, reggente durante la minorità del figlio Gian Galeazzo Maria, e al tempo di Ludovico il Moro.
Fautore della parte ghibellina, a più riprese ambasciatore degli Sforza a Venezia e a Roma, il M. fu più volte incaricato di missioni delicate, come quella di far spiare Bartolomeo Colleoni (1467), acerrimo nemico di Galeazzo Maria, compito che svolse con il genero Giovanni Beolco.
Nel dicembre 1481 Ludovico il Moro, reggente del Ducato per conto del nipote Gian Galeazzo Maria, diede l’incarico al M. e ad altri personaggi di spicco di cercare di convincere il condottiero Roberto Sanseverino, sospettato di connivenza con il Papato e con la Repubblica di Venezia, a tornare a Milano per ricevere il denaro che gli era dovuto e porre fine alle dicerie sul suo conto.
I reiterati rifiuti di Sanseverino, disposto a rinunciare al denaro e a servire Ludovico per un anno a proprie spese, piuttosto che tornare a Milano, dove temeva di essere incarcerato, se non ucciso, diedero inizio a un braccio di ferro tra il condottiero e Ludovico il Moro, entrambi inamovibili dalla propria posizione, ma anche estremamente attenti a non irritare l’avversario.
Ugualmente nel caso di Ascanio Sforza, che tramava con Venezia contro il marchese di Mantova Federico Gonzaga, alleato del Moro (1482), il M., con Pietro Pusterla, Giovanni Borromeo, Guidantonio Arcimboldi e altri insigni nomi della corte sforzesca, fu inviato a Trezzo per prendere accordi con Ascanio Sforza e condurlo a Milano.
Il Moro, quando aveva necessità di incassare, ricorreva al M. per la relazione parentale con Giovanni Beolco, facoltoso mercante milanese che aveva sposato sua figlia Mattea. Nel luglio 1482, quando le minacce che incombevano sul Ducato resero disperato il bisogno di denaro, Ludovico Sforza nominò otto incaricati per l’alienazione dei beni camerali e i dazi e tra loro c’era, ancora una volta, il Marliani.
Il M. era in ottimi rapporti anche con Federico Gonzaga, verso il quale Giovanni Beolco, per intercessione del M. stesso, si era dimostrato particolarmente servizievole, aiutandolo nella riscossione del denaro di cui Federico era creditore a Genova e accettando per suo conto lettere di cambio di notevolissimo importo (maggio 1482); in quel momento, con lo scoppio della «guerra del sale» contro Venezia e il Papato (2 maggio 1482), Federico necessitava di denaro per acquistare armi ma la recente ribellione di Genova agli Sforza (agosto 1478) ne rendeva più difficile l’esazione.
Il M. abitò prevalentemente a Milano, nella parrocchia di S. Michele subtus domum di Porta Orientale, nella casa (situata nell’odierna via Monte Napoleone e rimasta integra fino al 1778 quando G. Piermarini, per ordine del governo austriaco, ne distrusse la facciata quattrocentesca) in cui suo padre aveva accolto nel 1450 Francesco Sforza e dove risiedeva ancora nel luglio del 1477. Il 12 marzo 1482 si trasferì nella parrocchia di S. Giovanni in Conca a Porta Romana.
Tra gli altri suoi beni vi erano alcuni edifici nella parrocchia di S. Stefano in Brolo a Porta Romana, altre proprietà a Premenugo (nei pressi di Milano), con botteghe e torchio per l’olio, il grande fondo di Acquabella (di ben 550 pertiche), nei Corpi santi fuori porta Tosa, e una quota del castello in rovina di Premenugo, condiviso con i nipoti, figli del fratello Melchion.
Il M. sposò Agnese Visconti, sorella di Elisabetta, moglie a sua volta di Cicco Simonetta. Ebbe un figlio e una figlia, entrambi illegittimi e successivamente legittimati: Mattea, avuta da una non meglio identificata Stefanina, e Giovan Francesco, nato da Caterina Vimercati e divenuto poi iuris utriusque doctor, maestro delle Entrate straordinarie, consigliere di giustizia e segreto e membro del Collegio dei 60 decurioni.
Per i suoi meriti il 13 ag. 1476 il M. ottenne da Galeazzo Maria Sforza l’esenzione dal pagamento dei dazi di pane, vino e carne della taverna di Settara, e il 9 genn. 1481 ebbe in dono da Gian Galeazzo Maria i proventi del dazio di pane, vino, carne e imbottato di Pavia.
L’atteggiamento del M. nei confronti del cognato Cicco Simonetta, sostenitore della reggente Bona di Savoia e del «duchetto» Gian Galeazzo Maria contro il Moro e fratelli, fu decisamente negativo: se nell’agosto 1479 aveva cercato di mettere pace tra Ludovico e il governo del Ducato, rappresentato da Cicco e Bona di Savoia, nel settembre, subito dopo la nomina del Moro a reggente, si adoperò con gli altri capi della fazione ghibellina per far incarcerare Simonetta, che fu decapitato nell’ottobre 1480.
Non sono noti né il luogo né la data della morte del M., da collocarsi dopo il 12 marzo 1482, quando fece il suo ultimo testamento.
Fece redigere almeno cinque testamenti (9 luglio 1464, 10 maggio 1472, 16 nov. 1476, 31 luglio 1477, 12 marzo 1482): negli ultimi appare ossessionato dal timore che la sua volontà di designare eredi universali il figlio e la figlia legittimati non venisse rispettata. Alla moglie Agnese destinò l’usufrutto dei beni destinati a Mattea. Nel testamento del 1464 nominò erede universale il padre, al quale destinò, insieme con tutti i suoi beni, anche i libri contabili, probabile segno di qualche attività commerciale svolta dal M. prima di dedicarsi completamente alla politica. Al figlio e alla figlia non ancora legittimati destinò rispettivamente 2500 e 1500 fiorini, raccomandando che Giovan Francesco fosse adeguatamente istruito «ad scolas tam gramatice quam alterius discipline moralis».
Il fratello Marco ricevette un importante incarico già il 21 giugno 1431, all’epoca di Filippo Maria Visconti. Il 25 giugno 1450 fu nominato capitano della Valtellina per un anno e il 25 ag. 1466 ottenne il suo incarico principale quando divenne castellano di Trezzo, la rocca più importante del Ducato in quanto baluardo fondamentale contro Venezia, nonché oggetto continuo delle mire di Bartolomeo Colleoni, residente nel non lontano castello di Malpaga. Nello svolgimento del suo compito sarebbe stato aiutato da 30 uomini fedelissimi, oltre che da due falegnami, un fabbro, uno spaccapietre, un maestro esperto nella fabbricazione e nella riparazione delle balestre e un altro in quella delle armi da fuoco.
Ormai anziano e malato, Marco fece testamento il 23 dic. 1474 nel castello di Trezzo dove sarebbe morto pochi giorni dopo. Nominò erede universale l’unico figlio, Francesco, destinando 2000 lire al fratello Antonio e 4000 lire ai nipoti figli del defunto Melchion, oltre ad alcuni lasciti minori. Tra gli eredi sarebbero poi sorte liti per i beni indivisi di Premenugo, comprendenti anche un castello in rovina, un frantoio e una bottega, e per i cospicui lasciti che Francesco aveva l’obbligo di versare allo zio e ai cugini.
Il fratello Melchion, nato nel 1408, fu personaggio di spicco all’epoca della Repubblica Ambrosiana (1447-50) e, soprattutto, nel momento di passaggio al governo di Francesco Sforza; il 1° febbr. 1448 fu nominato pretore di Como dai Capitani della Repubblica che lo dotarono anche del «mero e misto imperio» e della «gladii potestas», cioè della suprema potestà in materia civile e criminale sul territorio da amministrare.
Allo scoppio della rivolta contro la Repubblica Ambrosiana a favore di Francesco Sforza, Melchion ebbe parte notevole nel sostegno agli insorti, ai quali portò rinforzi; convinse ad arrendersi Ambrogio Trivulzio, suo parente, arroccato a Porta Romana nel tentativo di un’ultima, disperata resistenza. Inviato presso Francesco Sforza per comunicargli la notizia della sua acclamazione, fece parte dei sei incaricati di trattare con lui le condizioni della resa il 26 febbr. 1450. Durante la cerimonia di insediamento di Francesco, fu lui a consegnargli il sigillo della città e le chiavi di Porta Orientale.
Nel 1466 il duca Galeazzo Maria riorganizzò l’ufficio delle biade, già di pertinenza della Camera straordinaria, e lo affidò, tra gli altri, ad alcuni membri del Consiglio segreto, tra i quali Melchion. Il 2 genn. 1469 Galeazzo Maria, per ricompensare i suoi molti meriti, lo fece consigliere segreto, anche se di fatto non pare partecipasse all’attività consiliare perché anziano o infermo. In quest’epoca un cancelliere del duca, Boschino d’Angera, affermava che Melchion «per le careze che Vostra Signoria gli fa vive in tanta superbia che pare essere un altro Cosimo de’ Medici in Firenze» (Leverotti, p. 23 n. 63).
Melchion ebbe tre figli: Ruggero (egli pure consigliere segreto dal 1481 al 1499 almeno), Corrado e Aluisio, e una figlia: Ambrogina. Morì a Milano nell’ottobre del 1475, nella casa di Porta Orientale, parrocchia S. Pietro all’Orto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Autografi, cart. 229, f. 41 (25 marzo 1466, 28 febbr. 1467, 15 apr. 1467, 20 giugno 1467, 20 apr. 1475); Fondo famiglie, cart. 113 (21 ag. 1472 e passim); Arch. notarile, 1134 (notaio Giacomo Rozzi, 23 dic. 1474; 2 genn. 1475); Fondo Riva Finolo, cart. 44; Arch. Sforzesco, Registri delle missive, reg. 2, missive 77, 1450 ag. 12; 162, 1450 ag. 23; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae commentarii, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 2, p. XII (per Melchion p. 338); Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca, II, a cura di I. Lazzarini, Roma 2000, p. 119 (per Melchion); VII, a cura di N. Covini, ibid. 1999, pp. 453 s.; pp. 322 s. (per Melchion); XII, a cura di G. Battioni, ibid. 2002, pp. 227, 229 s., 232, 238, 412, 437, 447, 452 s., 465, 542; G. Sitoni di Scozia, Theatrum equestris nobilitatis secundae Romae…, Mediolani 1706, p. 288; A. Colombo, L’ingresso di Francesco Sforza in Milano e l’inizio di un nuovo principato, in Arch. stor. lombardo, XXXII (1905), vol. I, pp. 327, 329, 334 s., 344; vol. II, pp. 57, 81, 83, 97; L. Fumi, La sfida del duca Galeazzo Maria a Bartolomeo Colleoni, ibid., XXXIX (1912), pp. 360-363; E. Casanova, Nobiltà lombarda. Genealogie, a cura di G. Bascapé, Milano 1930, s.v. Marliani, tav. V; C. Santoro, Gli Uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, pp. 13, 33, 65, 231; pp. 277, 601 (per Marco); pp. 10, 33, 231 (per Melchion); E. Resti, Documenti per la storia della Repubblica Ambrosiana, in Arch. stor. lombardo, LXXXI (1954), p. 261 (per Melchion); A.R. Natale, I diari di Cicco Simonetta, ibid., LXXXIII (1956), p. 78; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Torino 1978, pp. 1422 s., 1426; G.C. Bascapé, I palazzi della vecchia Milano, Milano 1986, ad ind.; F. Leverotti, «Governare a modo e stillo de’ signori…». Osservazioni in margine all’amministrazione della giustizia al tempo di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, Firenze 1994, pp. 23, 100, 102; p. 23 (per Marco); pp. 23, 50, 86-90 (per Melchion); N. Covini, L’esercito del duca. Organizzazione militare e istituzioni al tempo degli Sforza, Roma 1998, p. 216; p. 266 (per Marco); pp. 216, 237 s. (per Melchion).