BESOZZI, Antonio Mario
Nacque da una famiglia patrizia milanese, probabilmente nei primi anni del sec. XVI. Solo tre dati sono accertabili nella sua biografia fino alla metà del secolo: esule dallo Stato di Milano in seguito ad accusa di eresia, si stabilì a Locarno, donde intraprendeva viaggi conunerciali nel centro della Svizzera e nel nord d'Italia, si fece protestante, passò per un periodo non ben determinabile al servizio del conte Filiberto di Masserano.
Nei primi mesi dei 1544, quando il conte inviò il figlio Rodomonte a Zurigo per imparare il tedesco, lo fece accompagnare da un "giantilhomo mio che sta al governio del figliolo" (lettera di Masserano al Concilio di Zurigo datata 8 marzo).
Il Meyer (I, 174) ritiene che l'accenno si riferisca al B.: in un documento visto dallo storico svizzero che porta la data 1553 è reso noto che questi era stato l'amministratore del conte; e in una petizione indirizzata dal B. al Concilio di Zurigo nel 1567 egli dichiarerà che da giovane, prima e dopo il suo servizio sotto Masserano, "pagò a Zurigo per il suo pane e le necessità della vita".
Fu probabilmente durante il suo soggiorno zurighese (1544-1546) che culminò la sua apostasia dalla Chiesa romana. Appare da lettere scambiate dal 1546 in poi che il B., nei suoi viaggi d'affari, divenne il principale intermediario fra i riformatori di Zurigo, come l'ebraista Konad Pellikan, e l'anima del nascente movimento evangelico di Locamo, il maestro di scuola Giovanni Beccaria; e fu il B. a fornire a quest'ultimo volumi della Bibbia in volgare e libretti di propaganda antiromana e di teologia protestante.
Nel dicembre dei 1552 le città cattoliche della Confederazione svizzera ordinarono l'espulsione da Locamo di tre esuli religiosi italiani: Guamerio Castiglione, Gianantonio Viscardi e il Besozzi. Sembra che il conte di Masserano tentasse, invano, di proteggere quest'ultimo, che si trasferì a Chiavenna, dove incontrò moltissimi esuli italiani, fra i quali Francesco Negri, Paolo Gaddi e il pas tore dei paese, Agostino Mainardo. Durante i suoi viaggi il B. spesso fimse da intermediario tra loro e i riformatori di Zurigo. Il 25 sett. 1553 Pietro Paolo Vergerio da Coira comunicava al pastore di Zurigo, Enrico Bullinger, che aveva finito di tradurre in italiano il suo libretto Decoena Domini,e che il B. aveva reso in latino (per facilitarne la lettura al Bullinger) la prefazione del Vergerio.
Per due anni il B. si dedicò a proteggere gli interessi degli evangelici locarnesi e ne divenne il rappresentante presso Bullinger e le città svizzere protestanti. Il 31 marzo 1554 trasmise la prima petizione dei concittadini, e in maggio fu scelto come loro plenipotenziario ufficiale.
Due fattori, in particolare, impedirono alle città protestanti di adottare una posizione di pieno appoggio per i Locarnesi. In primo luogo, temevano che un atteggiamento rigido contro le pretese e le manovre delle città cattoliche avrebbe portato ad una nuova guerra di religione. Inoltre, a Zurigo e altrove correva voce che la fede degli evangelici locarnesi non fosse del tutto retta. Una delle maggiori preoccupazioni del B. fu la difesa dei suoi concittadini dall'accusa di anabattismo; con una calda lettera di raccomandazione per Bullinger da Mainardo (fine di maggio del 1554) egli si presentò a Zurigo per consegnare una confessione di fede (datata 6 giugno 1554) che avrebbe mostrato l'ortodossia della comunità locarnese: De Deo Triuno, de Christo incarnato, eiusque opere mediatorio & intercessione, de Iustificatione nostra & de Sacramentis.Successivamente, dopo il suo ritorno a Chiavenna, il B. dette notizia per lettera (13 ottobre) al pastore zurighese che i Locarnesi per testimoniare che non erano né anabattisti, né frati e suore scappati da conventi italiani, avevano battezzato dei neonati con l'aiuto di un pastore riformato ed avevano fatto una pubblica testimonianza di fede.
Allorché fu decisa l'espulsione di oltre cento famiglie evangeliche locamesi, il B. accettò l'invito del Mainardo di stabilirsi con la sua a Chiavenna. Nello stesso tempo si fece nominare curatore dei beni che gli esuli avrebbero abbandonato a Locamo. Per più di un anno il B. e la moglie (aveva da poco sposato una vedova locamese, Chiara Orelli) rimasero a Chiavenna, mentre la maggior parte degli esuli si stabilì a Zurigo. Il primo registro della nuova comunità locarnese a Zurigo (1556) segnalava tre famiglie che ancora rimanevano nella Rezia: Besozzi, Bodetto e Viscardi. Ma da un secondo censimento (1557) si apprende che quattro italiani allora a Zurigo, Lodovico Ronco, Guamerio Castiglione, Andrea Cevio e il B., avevano organizzato un a grande impresa commerciale: facevano viaggi a Venezia e Milano dove compravano stoffe, seta, ecc., che poi vendevano a Zurigo. Sembra, però, che il B. esercitasse anche l'usura, poiché quando vari mercanti, compresi i suoi soci, furono ammessi in una corporazione di commercianti in stoffe, egli non fu incluso.
Nel maggio del 1562 morì a Zurigo Lelio Sozzini. Il B. deve essere stato fra i suoi intimi perché fu lui a comunicare la notizia al nipote Fausto. Nel corso dello stesso anno figura a Basilea dove troviamo il suo nome ("Antonius Marius Mediolanensis") fra gli iscritti all'università durante il rettorato di Simone Sulzer.
L'anno seguente le vecchie preoccupazioni degli Zurighesi sull'ortodossia degli evangelici italiani furono risvegliate da un fatto clamoroso. Noncurante della censura di Zurigo, il vecchio pastore della comunità italiana, Bernardino Ochino, fece pubblicare clandestinamente a Basilea i suoi Dialogi XXX, che suscitarono una profonda reazione per il tono spiritualistico, la critica alla dottrina della predestinazione e per un'ambigua discussione sui meriti della poligamia. La sua espulsione da Zurigo fu severamente eseguita in pieno inverno.
Poco più di un anno dopo, dichiarato colpevole di simili errori dottrinali, toccò anche al B. di prendere la via dell'esilio. Sembra che la sua espulsione fosse derivata da una discussione da lui tenuta con altri mercanti fra i quali il fiorentino Michele Pulliano alla fiera di Zurzach nell'autunno del 1564.
Dopo il suo ritorno a Strasburgo il Pulliano s'informò sul conto del B. da un locarnese, certo Bartolomeo Verzasca, ìmballatore, che lo conosceva da quindici anni. La notizia della scandalosa conversazione di Zurzach era pervenuta agli orecchi di un ginevrino, Nicolas Denis, chiamato Le Fex, che si era recato senza esitazione all'osteria "Zum Schlüssel" dove B. abitualmente pranzava. Dopo una discussione il B. si sentì accusare di servetianesimo. Il ginevrino diede avviso delle idee del B. a due suoi conoscenti zurighesi che le resero note al Senato della loro città. Quando finalmente il milanese fu messo di fronte a queste accuse, tentò di negarle allegando che nelle conversazioni di Zurzach aveva parlato in italiano e ovviamente i suoi ascoltatori l'avevano capito male. Il Senato invitò Le Fex a Zurigo, ove egli presentò undici capi d'accusa ed ottenne permesso di andare a Strasburgo per raccogliere le deposizioni del Pulliano e del Verzasca. I due italiani si mostrarono molto reticenti a incolpare il B., ma Le Fex trovò altre prove contro di lui a Ginevra, Zurzach e Iverdon.
Resi noti i risultati delle indagini condotte, il Senato fece imprigionare il B. ed invitò Bullinger ad esaminare i capi d'accusa. Nel processo il B. fu accusato di arianesimo, di pelagianesimo e fu imputato di aver aderito alle dottrine di Ochino recentemente condannate nei Dialogi XXX. I ministri zurighesi ammisero che le discolpe e la confessione di fede offerte all'ultimo momento dal B. mitigavano leggermente le accuse a suo carico. Ma, d'altro canto, sapevano che servetiani, davidiani (la setta dell'olandese Davide Joris) ed altri eretici avevano un articolo in comune: che non si dovesse fare aperta confessione di fede quando si viveva sotto la protezione di autorità politiche ed ecclesiastiche che professavano una fede diversa; ed era al di là di ogni dubbio che, ripetutamente, egli aveva ospitato in casa sua servetiani ferventi: come il fratello di Lelio Sozzini, Camillo, che abitò in casa dei B. tra il 1563 e il 1564.
Finalmente fu decisa l'espulsione del B. da Zurigo. Forse perché le testimonianze contro di lui erano in parte fondate su dicerie, o perché sua moglie, della stimatissima famiglia Orelli, presentò una commovente difesa del marito al Concilio della città; forse anche in virtù dell'attività svolta da lui nel passato per conto degli evangelici locamesi il decreto d'espulsione fu leggermente attenuato.
La notizia della decisione presa contro il B. dovette interessare anche la Curia romana. In un dispaccio datato da Corno, il 23 genn. 1565, il nunzio Giovanni Antonio Volpe metteva al corrente Carlo Borromeo: "In Zurico habita… un Mario Besozzo dello Stato di Milano fuoruscito per heresia. Costui fu accusato questo decembre al senato di Zurico per heretico perché havesse detto che Christo era morto per suoi proprii peccati, et non per redimere Phumana generatione; che un Giorgio David, Holando, l'ossa del quale furono bruciate 10 anni fa in Basilea, era il vero Messia; ch'esso Mario per esser della stirpe di David era impeccabile. Ma perché l'accusatione non fu ben provata, salvò la vita. Ma percioché non confessava et teneva la predestinatione a modo de Zuricani et accettava in un'certo modo il libero arbitrio, fu sbandito da Zurico et dal paese. Sicché si può vedere chi abandona la via della verità, la quale è unica, in qual selva d'errori si lascia trasportare".
Il B. si stabilì a Basilea e sembra che fosse accolto cordialmente. Gli fu accordata la direzione di un'impresa per il commercio della seta. Il B., che il 5 luglio 1564 sembra avesse firmato un contratto per la traduzione del Commentario di Lutero all'epistola ai Galati per la tipografia di Urach (Tubinga), durante un viaggio Mi Francia scrisse una lettera "da Lijone alli 12 aprile del 66" al rettore dell'università di Basilea, Teodoro Zwinger, il successore di Sebastiano Castellione alla cattedra di greco.
Il B. si lamentava di non aver mai ricevuto dall'università, benché gli fosse stato promesso, un certilicato d'accreditamento. Desiderava molto ottenerlo, perché era sua intenzione "di vivere et morire buon svizzero e far mentire li temerari quali hanno detto chegli voleva tornare al papato". Si era incontrato con un vecchio amico, l'aristotelico milanese Francesco Vimercatis le cui opere secondo il B. avrebbero dovuto essere stampate a Basilea "perché mi è parso che la cosa sia molto necessaria, utile et honesta…, che nel mio giudicio tutto è nulla senza la filosofia morale et naturale per fare uomini dotti". La lettera termina con il rammarico che un'edizione di Machiavelli sia apparsa a Basilea: "Sono sforzato agionger questi duo versi, acciò V. S. con li nostri.Signori cognoscano l'affetto dell'animo mio verso quella Repubblica. Ho visto stampare pochi libri in tre anni che io sono stato costì che mi siano piaciuti, ma uno fra tutti mi è dispiaciuto qual hora pur stampa il nostro Perna che è Phystoria del Machiavelli latina…".
Questa lettera è l'ultima notizia sicura che possediamo sul Besozzi. Ignoriamo la data e il luogo della sua morte. Secondo il Weisz morì a Basilea poco dopo aveme avuta la cittadinanza (1567).
Fonti e Bibl.: Lettere del B. in F. Meyer. Die evangelische Gemeinde in Locarno.I. Zurigo 1836, pp. 300, 309, 373, 341, 398; riferimenti al B. in T. Schiess, Bullingers Korrespondenz mit den Graubündnern,3 voll., Basilea 1904-06, passim:la lettera allo Zwinger si conserva a Basilea, Universitätsbibliothek, Fr. Gryn.I.15. 39 a. Per la confessione De Deo Triuno,cfr. Tempe Helvetica,IV(1739), p. 154. La traduzione latina della prefazione del Vergerio è nello Staatsarchiv di Zurigo, Bd. E II 365, cc. 173 a. La fonte per le discussioni di Zurzach è la deposizione di Pulfiano trasmessa a Zurigo dalle autorità di Strasburgo, conservata nello Staatsarchiv di Zurigo, Abt. A. 350. I. Altri documenti relativi al processo del B. in Meyer, Dieevangelische Gemeinde,II, pp. 395-400.
Utilissima discussione in D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento.Firenze 1939, pp. 275-83; Id., Italiani a Basilea e a Zurigo nel Cinquecento,Roma-Bellinzona 1947, pp. 46 ss.; H. G. Wackernagel, Die Matrikel der Universitdt,Basel,II,Basilea 1956, p. 144; K. Fry, Giovanni Antonio Volpe Nunzius in der Schweiz,I,Firenze 1935, p. 371; L. Weisz, Die wirtschaftliche Bedeutung der Tessiner Gläubensflüchtlinge für die deutsche Schweiz,in Zwingliana, X(1955), passim;B. Zimmermann, Ein unbekannter Brief Stephan Consul Isterreichers an Herzog Christoph von Württemberg,in Jahrbuch der Gesellschaft für die Geschichte des Protestantismus im ehemaligen Oesterreich,60 (1939), pp. 186-89. Non c'è conferma dei supposto rapporto del B. con la setta davidiana, in R. Bainton, David Joris. Wiedertäufer und Kämpfer für Toleranz im 16. Jahrhundert,Lipsia 1937.