CAPPELLO, Antonio Marino
Nacque a Venezia il 13 ott. 1590 da Antonio di Marino e da Moceniga di Nicolò Mocenigo.
Firmando egli le sue lettere solo come Antonio e chiamandosi pure Antonio i suoi fratelli è facile confonderlo con questi. Va tenuto ad ogni modo presente che è spesso detto Antonio (III); e, quanto ai fratelli, che Antonio (I) fu del Collegio dei dodici, della Quarantia ordinaria e criminal, del Collegio dei venti savi, sopraconsole, ufficiale alle Rason vecchie, auditor novissimo, commissario in campo, commissario in Terraferma, savio alla Mercanzia, provveditor "sopra i ori et monede", capo del Consiglio dei dieci; Antonio (II) fu savio agli Ordini, della Quarantia civil vechia, tra gli eletti "de respetto", al Collegio dei venti savi, del Collegio dei dodici, provveditor al cottimo di Londra, savio di Terraferma; Antonio (IV) fu del Collegio dei venti savi, "sindaco e zudese estraordinario"; Antonio (V), infine, divenne senatore e provveditore sopra l'Estimo di Brescia.
Personaggio discusso e discutibile, il C. merita un posto di un certo rilievo nella storia della marina veneziana, al servizio della quale dedicò gran parte della sua esistenza, scandita da un fitto succedersi di incarichi pubblici. Il 3luglio 1611 è eletto sopracomito di galera; il 21 sett. 1620camerlengo di Comun, ma rifiuta; il 5 giugno 1623 governatore "de galia grossa". Capitano del Golfo dal luglio del 1624 al maggio del 1626, fu quindi, dal giugno 1626 al marzo 1631, capitano delle galeazze; in tale periodo si colloca il clamoroso episodio avvenuto ad Alessandretta il 21 giugno 1628nel quale il C. fugò, così almeno si vantò, energicamente i vascelli inglesi comandati da Kenelm Digby (cui si deve una differente versione dell'episodio nella quale appare vittorioso), che pretendeva di impadronirsi di quattro mercantili francesi ivi stanziati. Audace gesto gradito alle autorità turche e caldamente elogiato dal Pregadi.
Nel corso della carica emergono tuttavia anche i lati negativi del C.: una malcelata insofferenza per i superiori, una certa impulsività che lo induce a volte a chiedere l'esonero dall'incarico o perché le sue lettere sono tenute in "poca stima" dal Senato o perché si vede negata la "bonificatione" del denaro versato pel recupero di unagaleazza naufragata in Puglia, un procedere a volte arbitrario nei confronti di chi gli era gerarchicamente sottoposto. Una animosità sconcertante e un indispettito risentimento più che criteri di equità caratterizzano ad esempio i provvedimenti da lui presi contro il governatore di galeazza Nicolò Querini, cui l'"animo alterato" del C. non poteva perdonare "pretese inobedienze".
Difetti e pregi che divengono ancor più evidenti durante il Provveditorato all'armata che il C. esercitò, praticamente, dall'aprile del 1638 all'aprile del 1641. Abile e coraggioso a un tempo quando blocca 16 galee tunisine e algerine che, spintesi sino a Cattaro, s'erano poi rifugiate, costrette da una tempesta, "sotto l'ombra del castello e della fortezza della Vallona", dal 2 luglio 1638sino al 7 agosto, giorno in cui, anticipando Bechir pascià mosso a liberarle, le cattura tutte "in poco più d'un'hora di combattimento... con mortalità di circa 20persone e poco più feriti". L'impresa, che valse al C. la "dignità di consigliere", venne esaltata come una grande vittoria, esempio probante del vantaggio conseguibile con un agire deciso: vivissime le felicitazioni inviate al doge da Urbano VIII, che vi scorgeva un sintomo di riscossa per tutta la Cristianità; il C., pel somasco Costantino de' Rossi, vescovo di Veglia, "Christiana liberavit aequora". Più caute, le autorità veneziane limitarono a una messa solenne le celebrazioni, troppo preoccupate delle reazioni della Porta: e in effetti solo il conflitto in corso con la Persia e l'abilità del bailo Luigi Contarini, in un primo tempo arrestato, evitarono una rottura definitiva.
Pel C. all'euforia del successo (cui s'aggiunge la cattura, il 16 sett. 1640, d'"un bergantino maltese di 10 banche armate" con 25 uomini d'equipaggio) subentrarono ben presto le amarezze e le umiliazioni: il cronico ritardo nell'arrivo delle paghe lo obbliga a sopperire "anco" con "quei pochi argenti" in suo possesso "per trovar qualche poca suma di denaro"; a lungo circola la voce che abbia "trafugate" le "robbe" delle navi catturate alla Valona e che vi fossero perciò "partite in banco girate" a suo "credito" di decine di migliaia di ducati ricavate, appunto dalle "robbe vendute". Si diceva pure avesse "mandate diverse botte piene di seta caricate sopra vasselli con creda di fuora via per finger che fossero di oglio".
Il C., che a sua volta non manca di dichiarare Piero Badoer, capitano della guardia di Candia, "debitor" di 500 ducati per "inobedienze", sollecita senza fortuna da Alvise Zorzi, provveditore generale e inquisitore nelle isole del Levante, un'indagine e un processo in merito a siffatte calunniose "intentioni". Anzi lo Zorzi lo fa imprigionare per circa 2 mesi nella primavera del 1641 a Corfù: senza alcuna sua "colpa" e "demerito", a detta del C., che lamenta il 29 maggio 1641 il duro trattamento inflittogli.
L'accusa principale mossagli dallo Zorzi era di mancata obbedienza, quasi di insubordinazione, ché, contro le sue disposizioni, "le galeazze", anziché venire a "disarmare" nell'inverno, s'erano attardate "per non abandonar la guardia di Sapienza".
Di nuovo a Venezia, il C. vigila, nel luglio-agosto 1643, come provveditore straordinario "in armada de qua de Dalmatia", sulle mosse dei "papalini" stanziati nel Ravennate. Eletto poi capitano delle navi armate destinate a Candia con gran quantità di denaro, viveri, munizioni e truppe, salpa il 1º maggio 1645 alla volta dell'isola. Giunto alla Suda il 30 maggio, il suo comportamento - da ricostruire più sulle informazioni degli altri comandanti veneti che del C., poiché, "privo di segretario e di zifra", le sue lettere al Senato furono rare e poco particolareggiate - fu, quanto meno, sconcertante. Per quanto sollecitato dal provveditore generale di Candia Andrea Corner dapprima con suggerimenti poi con tono sempre più imperioso di muovere a soccorso della Canea, sottoposta dal 23 giugno all'assedio turco, il C. evita di impegnarsi a fondo motivando la sua condotta colla necessità di non indebolire la difesa di Suda, a suo avviso vero "cuore del regno". E non soltanto non lo commuovono le rampogne del difensore della città, Andrea Navagero, ma non si ritiene nemmeno sottoposto gerarchicamente al Corner. D'altra parte a ciò lo incoraggiava l'ambiguità delle direttive senatorie e il decreto del 9 luglio che lo autorizzava ad operare "quel che più conoscerete esser proficuo al nostro servitio".
Ormai caduta la Canea in mano turca, il C. con mossa improvvisa e ingiustificata, abbandona il 27 agosto proprio la Suda, nelle cui acque era precedentemente con tanta ostinazione rimasto, e vi ritorna solo l'11 settembre dopo essersi congiunto con quattro vascelli provenienti da Zante. Il gesto suscitò lo sdegno del Corner e la riprovazione più severa da parte del Senato il quale, il 15 ottobre, ordinava al provveditore generale da mar Girolamo Morosini di provvedere alla "retentione" del C. e di "procurar sicura occasione che egli sia condotto in queste carceri".
Il C., che viene a sapere del provvedimento a suo carico da alcuni francescani di passaggio alla Suda, dichiara subito, il 15 novembre, l'intenzione di recarsi, non appena possibile, a Venezia per chiarire la sua posizione; ed esige "accuratissimo processo"; né chiede "perdono" o "pietà, ma rigorre e giustitia".
Si trasferisce a Corfù, e da qui, pur febbricitante, giunge in patria. Il 4 giugno 1646 "sponte si presenta alle prigioni degli avogadori e vi è rinchiuso sino al 21 settembre quando il Collegio criminal, sorteggiato dal doge perché si occupi di lui, ne decideva l'arresto a domicilio in attesa del processo che andava istruendo l'inquisitore in armata Marco Contarini. Ma per quanto il C. supplichi, non si giunge a un giudizio esplicito su di lui, un po' perché il Contarini è richiamato in patria prima di aver esaurito le indagini, un po', forse, perché la condotta del C. era stata, anche, il riflesso delle incertezze e delle contraddizioni insite nelle istruzioni del Pregadi, troppo spesso generiche e imprecise, tali da offrire il destro a differenti interpretazioni, da provocare lo scatenarsi dei più esiziali contrasti personali.
Se c'era chi riteneva il C., come attesta il Nani, "reo d'ogni male", altri tuttavia erano più indulgenti; il Brusoni tende a scagionarlo del mancato aiuto alla Canea e ascrive ad "opinione" non a "mala volontà", i suoi errori. Alcuni anzi lo reputavano vittima di un'ingiustizia: Bernardo Morosini, ad esempio, il 13 apr. 1648, scrivendo "di nave in fazza di Dardanelli", si augura venga assegnato al C. il "commando supremo", ché era un vero peccato rimanessero per "fatale disgratia... otiosi" i suoi "talenti"; e un anonimo "capitano", già sottoposto del C., promuovendo la stampa di Copia della supplica presentata in Venetia all'Eccellentissimo Collegio (Siena 1651), ove il C. chiedeva per l'ennesima volta "giustitia", si diceva convinto che un regolare processo lo avrebbe liberato dall'ingiusta accusa, sì da permettergli di riprendere le armi "a distruttione dell'Infedeli Ottomani che al solo" suo "nome atteriscono".
Il C. comunque non venne accontentato: non lo si volle assolvere o condannare. Unica sanzione motivata a suo carico fu l'addebito di oltre 5.000 ducati per un anticipo di paga "alli capitani inglesi e fiamenghi" tumultuanti.
Morì così amareggiato il 29 ag. 1656 nella sua villa di campagna nei pressi di Legnago. Dall'inventario dei beni steso il 16 dic. 1656, ad istanza dei fratelli Antonio (II) e Antonio (IV), risulta possessore di un palazzo a Venezia ricco di quadri e interessato all'acquisto di terreni, specie nel biennio 1643-44.
Fonti e Bibl.: Le lettere inviate dal C. nel corso dei suoi incarichi in mare in Arch. di Stato di Venezia, Senato. Lettere dai provveditori da terra e da mar, filze 251, 251 bis, 1216, 1217, 1271, 1324, 1368-1374; Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro nascite, 56/VI, c. 55v; le carte relative all'abbandono della Suda, al carcere e al domicilio obbligatorio del C., Ibid., Avogaria di Comun. Miscell. Penal, busta 190, n. 27; Ibid., Giudici di petizion. Inventari, 366/45; Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cicogna 1140/7: Gli applausi del Zante all'il.mo... C. ... per la conquista delle galie barbaresche; G.Dondini, Venetus de classe piratica triumphus, Romae 1638; C. De Rubeis [de' Rossi], Poemata, Venetiis 1644, pp. 2429; B. Nani, Istoria della Repubbl. veneta, in Degli istorici delle cose ven., Venezia 1720, VIII, pp. 399, 601-605; IX, pp. 40, 51 s., 60-64; G. Brusoni, Historia dell'ultimaguerra tra Veneziani e Turchi..., Bologna 1674, pp. 13 s., 27 s., 45, 51, 53; I libri commemoriali della Rep. di Venezia,Regesti, a cura di R. Predelli, VII, Venezia 1907, pp. 190, 193; Calendar of State papers ... relating to English affairs existing in the archives... of Venice…, a cura di A. B. Hinds, London 1916-1923, XXI, pp. 18-594 passim; XXIV, pp. 444, 446; A. Bulifon, Giornalidi Napoli..., a cura di N. Cortese, I, Napoli 1932, pp. 171 s.; K. Digby, Viaggio piratesco nel Mediterraneo 1627-1629, a cura di V. Gabrieli, Milano 1972, pp. 174-184 passim, 207 n. 36, 210 n. 43; E. A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, p. 392 n. 2972; A. Medin, La storia della Repubblica di Venezia nella poesia, Milano 1904, pp. 318, 546 n., 614; L. Boschetto, Come fu aperta la guerra di Candia, in Ateneo veneto, XXXV(1912), pp. 28, 133, 138-140, 144, 152 ss., 158; A. Valori, Condottieri e generali del Seicento, Roma 1943, p. 68; V. Gabrieli, Sir Kenelm Digby…, Roma 1957, p. 52 s.; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia venez. del Seicento, in La civiltà veneziana nell'età barocca, Firenze 1959, pp. 285, 288; Storia del mondo moderno, IV, Milano 1971, pp. 745 s.