MARINARI, Antonio
MARINARI (Marinario), Antonio. – Nacque a Grottaglie, presso Taranto, il 10 genn. 1605 da Antonio, dottore in utroque iure, e Stella De Electis. Pronipote di Antonio Marinario senior, il 16 luglio 1622 seguì le orme del prozio vestendo l’abito carmelitano nella diocesi di Taranto e fece professione il 20 luglio dell’anno successivo. Fu ordinato sacerdote l’8 apr. 1628 dal cardinale Francesco Boncompagni. Nel corso della sua vita il M. ricoprì numerosi incarichi di prestigio e responsabilità all’interno dell’Ordine di appartenenza: visitatore generale della Puglia per due volte, fu eletto padre provinciale della provincia romana il 18 maggio 1636.
Condusse studi in filosofia e teologia a Napoli e a Roma, risiedendo presso la chiesa di S. Maria in Traspontina. Qui il 3 maggio 1629 pronunciò un’orazione indirizzata a papa Urbano VIII per la canonizzazione di Andrea Corsini, carmelitano, vescovo di Fiesole nel XIV secolo. Nel medesimo anno l’Oratio pro beato Andrea Corsino Carmelita fu edita a Roma da G. Mascardi, il quale stampò anche quella pronunciata dal M. il 19 ott. 1629 presso la chiesa S. Maria in Transpontina in occasione del funerale del cardinale Giovanni Garzia Millini, protettore dell’Ordine e vescovo di Frascati (Oratio in amplissimo funere ill.mi card. Millini Carmelitarum protectoris, Romae 1629). Mascardi stampò nel 1631 anche il De fide, spe et charitate, opera discussa pubblicamente dal M. nella chiesa di S. Maria in Traspontina il 9 novembre di quell’anno. Il De fide rappresentò l’avvio di uno specifico interesse del M. per i temi soteriologici, con particolare attenzione per gli aspetti apologetici dell’ortodossia cattolica.
Il testo del M. che meglio rispecchia questo orientamento è In materia de gratia verus Augustinus, edito a Velletri nel 1669 da Pietro Guglielmo Cafasso in tre tomi (il terzo, in realtà, fu stampato a Roma nel 1679) con un’appendice dal titolo Ad doctrinam de gratia & libero arbitrio iuxta mentem Augustini edita a Roma nel 1682. Il trattato fu composto dal M. principalmente per confutare le dottrine sulla grazia e libero arbitrio esposte da Cornelis Jansen (Giansenio) nel suo Augustinus, seu Doctrina s. Augustini de humanae naturae sanitate, aegritudine, medicina adversus Pelagianos et Massilienses (Louvain 1640), che aveva ottenuto un incredibile successo di edizioni e diffusione. Il Verus Augustinus, pubblicato dopo la bolla Regiminis apostolici (1664) di Alessandro VII, sotto il cui pontificato si era acuito il contrasto con i giansenisti, andava a collocarsi all’interno della produzione teologica che a partire dalla bolla In eminenti di Urbano VIII (1643) aveva espresso posizioni di ferma condanna del giansenismo. Nella prima parte dell’opera il M. concentrò la sua attenzione sul tema della distinzione fra grazia efficace e grazia sufficiente allo scopo di conciliare la posizione di s. Agostino con quella di s. Tommaso d’Aquino, attraverso una disamina attenta delle opere di entrambi. In seconda istanza egli trattò delle cinque proposizioni eretiche, con le quali i teologi della Sorbona avevano condensato le teorie di Giansenio, condannate poi da Innocenzo X con la bolla Cum occasione (1653). Il tema principale affrontato dal M. fu quello del rapporto fra la grazia e il libero arbitrio, riaffermando l’opposizione alla visione giansenista della volontà umana determinata necessariamente dalla grazia divina. Il M. ripropose anche il topos presente nelle opere dei polemisti cattolici che accomunava le dottrine di Giansenio a quelle di Giovanni Calvino. Nell’appendice al Verus Augustinus egli tornò a trattare il tema della grazia, confutando le Institutiones Christianae religionis di Calvino. Una più recente interpretazione ha teso a mettere in luce nell’opera del M. una propensione alla dialettica nei confronti delle posizioni gianseniste, propria di quella parte delle gerarchie cattoliche «incline a soluzioni morbide», rappresentata in particolare dal cardinale Francesco Barberini (Stella, p. 48).
Il M. si era già interessato di questi argomenti fra il 1641 e il 1645, quando era stato professore di teologia morale presso la Sapienza di Roma (in particolare nel 1644-45 con il suo corso De gratia, iustificatione et merito). L’impegno presso lo Studium Urbis si protrasse per ventisette anni: fra il 1645 e il 1659 gli fu affidata la cattedra di logica (insegnamento tenuto anche nel 1640) e in seguito, dal 1659 al 1667, quella di metafisica.
In questo periodo fu stampato da Filippo Maria Mancini il suo Opusculum de opinione probabili (Roma 1666) «operetta» che, come lui stesso afferma nella dedica a papa Alessandro VII, «tratta della regola della morale e della coscienza» (c. 3r). Il testo si inserisce all’interno del dibattito sui sistemi morali, riguardo ai quali il papa aveva preso posizione opponendosi alle dottrine probabilistiche e favorendo il sistema probabiliorista adottato da alcuni ordini religiosi fra i quali i domenicani, i teatini e i carmelitani. Nel 1664 e nel 1665 anche il S. Uffizio si era pronunciato in materia, condannando alcune proposizioni lassiste di autori che professavano il probabilismo.
Nella prima parte dell’opuscolo il M. dimostra come nei casi dubbi non sia lecito per un soggetto, al fine di operare una scelta moralmente giustificabile, assumere l’opinione meno probabile, abbandonando quella più probabile anche se opposta. Con questa posizione il M. andava ad affiancarsi alla speculazione di Prospero Fagnani Boni, noto canonista schieratosi a favore del probabiliorismo con la sua dissertazione De opinioni probabili pubblicato a Roma nel 1665. Nel testo il M. si sofferma più di una volta a difendersi dall’accusa di essere troppo vicino alle posizioni rigoriste dei giansenisti e, forte dell’autorità di Fagnani, dedica la seconda parte dell’opera alla confutazione delle teorie di Juan Caramuel Lobkowitz, espresse nell’opera Apologema pro antiquissima et universalissima doctrina de probabilitate (Lyon 1663).
La vicinanza del M. agli ambienti curiali è dimostrata oltre che dall’impegno profuso nel difendere le posizioni della Chiesa, sia sul fronte della teologia morale, sia su quello della teologia dogmatica, anche dagli incarichi ricevuti. Egli fu nominato, il 10 marzo 1645, teologo ufficiale del cardinale Francesco Barberini nipote del papa Urbano VIII, noto per il mecenatismo e per i vasti interessi culturali, diventandone dopo il 1666 vice cancelliere e suffraganeo per la diocesi di Ostia e di Velletri. Il 13 febbr. 1667 ricevette da Alessandro VII la nomina a vescovo di Tagaste.
Il M. morì il 20 ag. 1684 a Velletri e fu sepolto nella locale chiesa dell’Ordine.
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