VENUSTI, Antonio Maria. –
Nacque a Grosio in Valtellina (anzi «de Castello Sancti Faustini», come egli stesso dichiarava sul frontespizio della sua Balneorum Burmiensium descriptio), nel 1528 o 1529. Non sono noti i nomi dei genitori.
Non si conosce il suo percorso formativo; sappiamo che fu la generosità della potente famiglia Dadda, protagonista della vita economica milanese, a consentire a Venusti, di nobile famiglia, ma sfavorito dalla morte precoce del padre, di dedicarsi agli studi. Egli poté così avere un rilievo nella vita culturale milanese, come attesta fra l’altro il suo ruolo di ‘maestro di belle lettere’ di Ludovico Settala prima che questi frequentasse le scuole dei gesuiti, aperte nel 1565.
Fu amico di letterati del suo tempo, fra cui Sigismondo Fogliani da Bormio, il friulano Francesco Robortello, l’erudito somasco Primo Conti. Tra i suoi molteplici interessi vi fu quello per la storia naturale, attestato dalla visita alla collezione di fossili del giurista Alessandro Archinto, nonché dalla frequentazione di Girolamo Figino, «intendente anatomista [...], pittore eccellentissimo de’ tempi nostri» (Discorso generale..., 1562, c. 107r). Non è cronologicamente definito un soggiorno di alcuni anni nell’isola di Creta.
I suoi primi tre scritti, stampati fra il 1560 e il 1562, risalgono alla fase precedente allo studio universitario della filosofia e della medicina ed esprimono il rapporto dell’autore con la vita sociale e culturale della Milano spagnola. L’Epistola qua vivus et oratio qua mortuus laudatur Augustinus Montalcinus (Milano, Antonius Antonianus, 1560), dedicata a Cristoforo da Padova, generale degli eremiti agostiniani, è datata Milano 1° dicembre 1559, e consta di due parti.
La prima, più breve (cc. 5r-9r), completata il 15 aprile dello stesso anno, fu scritta mentre Montalcino era ancora vivo e ne delinea le doti di predicatore più volte chiamato a Milano, per poi diventare priore del convento cittadino di S. Marco. La seconda parte, assai più estesa (cc. 10r-47v), enumera le tappe della biografia dell’agostiniano e la sua attività di insegnamento e di predicazione in varie città italiane allo scopo di combattere l’eresia. In proposito Venusti inserisce un giudizio su Lutero («nullum est enim monstri genus quod non longa aetas aliquando protulerit», c. 26r).
Presso lo stesso editore apparve il Discorso della mercantia quale premessa a una raccolta di testi sul mercato dei cambi, intitolata Compendio utilissimo di quelle cose le quali a nobili e christiani mercanti appartengono (Milano, Giovanni Antonio degli Antoni, 1561). Al Discorso seguiva un Trattato del cambio di Lione o di Bisenzone del teologo agostiniano Fabiano Chiavari, tradotto in volgare da Venusti.
Alla dedica dell’autore a Francesco Pecchio, datata Milano 10 agosto 1561, segue il testo del Discorso, che vuole dimostrare come la produzione di ricchezza attraverso il commercio consenta di conseguire onore e gloria come le armi e le lettere. L’esperienza delle repubbliche di Venezia, Genova e Lucca, oltre che di Siena, Firenze e della stessa Milano, dove l’essere nobili non confligge con l’essere mercanti, è una prova ulteriore dell’assunto. Anche i privilegi papali e gli statuti cittadini rafforzano nella gerarchia sociale la posizione del mercante, che acquista prestigio politico come consigliere di principi e di città «per la conversatione di varie genti e per l’esperientia di costumi diversi» (c. 11v).
Il Discorso generale intorno alla generatione, al nascimento de gli huomini, al breve corso della vita humana et al tempo (Venezia, Giovanni Griffio per Giovanni Battista Somasco, 1562), dedicato ai dieci figli di Erasmo Dadda, alterna un’esposizione delle fasi che scandiscono l’esistenza, dalla procreazione alla morte, a un largo repertorio di avvertimenti morali e di consigli pratici destinati a trasmettere ai lettori una coerente visione cristiana tale da regolare gli spazi della vita privata.
Le fonti esplicitate sono, oltre alla Politica, il De generatione animalium di Aristotele e i Problemata a lui attribuiti, Platone, Galeno e Ippocrate, i pensatori medievali e, più raramente, i contemporanei come Pietro Andrea Mattioli e Sperone Speroni. Nutrito appare il campione di casi desunti da informatori o attestati dall’esperienza diretta dello scrivente. Il libro dovette riscuotere un certo successo se cinquant’anni dopo un editore milanese decise, per le numerose richieste, di ristamparlo (Milano, Gio. Battista Bidelli, 1614).
Venusti frequentò la facoltà degli artisti dell’Università di Bologna dove conseguì la laurea in medicina il 9 ottobre 1566 e tenne la lettura di logica già per l’anno accademico 1565-66, quando vi insegnarono Ulisse Aldrovandi, Girolamo Cardano, il chirurgo Giulio Cesare Aranzi, il letterato Pompilio Amaseo e lo storico Carlo Sigonio. Venusti si dichiarò discepolo di Gabriele Falloppia, di Antonio Fracanzani, dello stesso Cardano e di Cesare Odone.
Tra gli scritti del periodo bolognese vi è l’Oratio nomine liberalium artium bononiensis Academiae, Bonon. habita ad Franciscum Crassum iurisconsultum... (Bologna, Alessandro Benacci, 1565), in cui viene tessuto l’elogio di Francesco Grassi, senatore milanese e governatore di Bologna, per aver riportato in città pace, sicurezza e abbondanza alimentare. La solenne orazione In Camilli Vizanii [...] Laudatio (Bologna, Giovanni Rossi, 1567) commemora Camillo Vizzani, fondatore dell’Accademia degli Oziosi e morto a soli ventiquattro anni. A una giornata (26 febbraio 1567) di discussioni filosofiche, teologiche e di scienza naturale nella stessa Accademia parteciparono, oltre a Vizzani, il medico Gaspare Tagliacozzi e Venusti, che discettò sull’utilità della virtù contemplativa e sull’anima intellettiva (Theoremata haec examinabuntur in Ociosorum Academia..., Bologna, Pellegrino Bonardi e Giovanni Antonio Fava, 1567).
È incerta la data della sua partenza da Bologna e della fase iniziale della sua attività sanitaria. Esercitò ‘in agro Tridentino’, consultato fra l’altro dai conti Thun a Caldes, e a Castel Beseno, e in seguito quale medico stipendiato a Trieste, ove la sua presenza è attestata dal 1571 al 1574, con spostamenti a Gorizia e a Duino per visite a pazienti illustri. A Passau risultava impegnato nella professione negli anni 1576-77; la sua assenza dagli Stati italiani è confermata dall’amico Sigismondo Fogliani, il quale nel 1579 annotò che Venusti «longe ab Italia discesseris» (c. 120r).
Il breve opuscolo De Andreae Volaterrani, theologi et oratoris optimi, laudibus epistola, pubblicato a Venezia da Giovanni Griffio nel 1567, ma licenziato dall’autore nel 1564, è dedicato al cardinale Giovanni Ricci e presenta un ritratto dell’agostiniano Andrea Ghetti, oggi noto per le sue opinioni sospette di eterodossia, mentre Venusti ne esalta le doti di predicatore (dottrina, linguaggio, gestualità) e lo ritrae come un combattente della vera fede cattolica impegnato nella lotta contro l’eresia «firmissimis rationibus et argumentis» (c. B.iiv).
I Consilia medica, pubblicati a Venezia (Francesco Ziletti, 1571), furono composti in vari momenti, ma terminati a Trieste, come Venusti scrive nella dedica a Carlo arciduca d’Austria. I Consilia, dedicati a pazienti di condizione prevalentemente elevata, seguono uno schema fisso: si espone la temperatio del malato, si descrivono cause e sintomi delle patologie, si prospetta la prognosi e infine si consiglia la terapia idonea. Largo lo spettro dei casi clinici affrontati e delle questioni medico-sanitarie discusse. Nelle pieghe del discorso si annidano dettagli della storia personale dell’autore, dal ricordo dei maestri alla notizia di aver partecipato a Bologna a pubbliche e private dissezioni. L’opera fu ripubblicata all’interno di una raccolta di Consilia medicinalia (Francoforte, Johann Sartorius, 1605).
Nella dedica a Baldassarre Dadda (1° maggio 1573) del Consilium de febre pestilenti (Venezia, Giovanni Battista Somasco, 1574) Venusti riconosce le benemerenze nei suoi riguardi di Baldassarre e del padre Erasmo. Come già nei Consilia del 1571, egli segue un metodo consolidato, trattando la denominazione della malattia, le cause, i sintomi e la terapia, segnalando la modificazione nel tempo dei segni distintivi, come la presenza di papulae o exhantemata (petecchie), ignoti agli antichi (cc. 5v, 7r, 10r), e mostrandosi a favore di un uso controllato del salasso. Fra i professionisti di fama del suo tempo Venusti attinse alle opere di Mattioli e di Cardano.
Nel Consilium de peste (Milano, Paolo Gottardo da Ponte, 1582) l’autore formula la definizione di peste, ne enumera le cause divine, naturali e umane, ne identifica le modalità di trasmissione, enuncia gli indizi che presagiscono l’epidemia (eclissi, mostri, comete ecc.). Tradizionali i farmaci e i rimedi suggeriti (triaca, mitridato, terra sigillata, bolo armeno, unicorno), mentre è sconsigliato il ricorso al salasso. Inoltre le misure precauzionali di ordine sanitario-morale comportano il divieto dell’attività sessuale, l’espulsione delle prostitute e la chiusura dei bagni pubblici. Tra le opere dei medici del suo tempo Venusti citava con apprezzamento gli scritti di Jean Fernel, Andrea Dudith, Girolamo Fracastoro e Girolamo Mercuriale, pur riservando qualche osservazione critica su specifiche posizioni dei due italiani.
Infine Venusti dedicava da Merano i Balneorum Burmiensium descriptio, natura et virtus (Innsbruck, Ionannes Agricola, 1584) al nobile boemo Adamus Gallus ‘Popellius’ (Popel zu Lobkovicz) gentiluomo di camera di Ferdinando d’Austria.
Inquadra il contesto territoriale della Valtellina, loda il carattere dei suoi abitanti, la purezza delle acque e la qualità dei vini. La maggior parte del testo si sofferma sulle terme di Bormio e sulla loro efficacia terapeutica. L’autore discute le cause controverse del calore delle acque sotterranee, citando in proposito un manoscritto trecentesco di Pietro da Tossignano, nonché il parere espresso dal medico imperiale Giulio Alessandrini nel suo De sanitate tuenda. Non mancano le critiche a studiosi contemporanei, come Falloppia o il medico Pietro Paolo Paravicino, accusato di non aver mai visitato di persona i bagni di Bormio.
Al testo seguiva, sempre di Venusti, un breve Consilium de ovorum avium natura, virtute ac usu nel quale l’autore combatte la diffusa opinione che il consumo delle uova fosse sconsigliabile. Per sostenere la sua tesi, egli disapprova passi di Aristotele, Galeno, Mattioli e Montano, e vi contrappone la sua esperienza in Italia e nelle «Germaniae provinciis quas ego multas peragravi» (p. 24).
Venusti risulta già coniugato quando si trovava a Passau.
Morì il 17 gennaio 1589 a Merano, dove si era trasferito per svolgere la sua attività, almeno a partire dal 1584.
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