SAULI, Antonio Maria
– Nacque a Genova nel 1543 da Ottaviano e da Maria Giustiniani (L'Archivio della famiglia Sauli di Genova, 2020). La sua famiglia aveva assunto cospicui impegni finanziari legati alla Curia romana sin dalla fine del XV secolo, ma il padre non aveva lasciato la Dominante e nel 1556 era stato nominato senatore, cioè membro della massima magistratura della Repubblica, affiancata al doge e dotata di funzioni giurisdizionali e di governo. Anton Maria studiò nelle università di Bologna e Padova. Presso quest’ultima ottenne la laurea in diritto civile e canonico. Trasferitosi a Roma, ove trovò il cugino di secondo grado Giulio, chierico della Camera apostolica e visitatore delle carceri, Antonio Maria ottenne nel 1559 il titolo di referendario della Segnatura di grazia e della Segnatura di giustizia.
Dopo la metà di ottobre 1572, fu nominato nunzio a Napoli, ove arrivò nel successivo novembre.
Nella seconda metà del Cinquecento, a chi teneva quell’ufficio toccavano la sovrintendenza sul massiccio prelievo dal Regno delle entrate della fiscalità spirituale e la competenza sugli affari della locale collettoria, che esigeva spogli e decime, comprese quelle dell’Ordine di Malta (per il quale era in attività uno specifico esattore). Il nunzio doveva altresì vigilare sulle enclaves pontificie di Benevento e Pontecorvo e assicurare l’ordinaria esecuzione di bolle e decreti della Sede apostolica, che però l’autorità civile sottoponeva ad atti di placitazione. Non di rado, perciò, si ponevano alla sua attenzione veri e propri contrasti giurisdizionali, originati dalla rivalità fra i due fori.
Due casi si presentarono a Sauli praticamente all’avvio della sua nunziatura. Nel dicembre 1572, due canonici del duomo, un consanguineo dell’arcivescovo Mario Carafa (Giulio Cesare) e Francesco Antonio Santori, fratello del cardinale di S. Severina (Giulio), mentre passeggiavano a cavallo a Chiaia, erano stati arrestati: Carafa, infatti, era stato sorpreso con una frusta in mano nonostante i divieti e Santori lo aveva difeso con decisione. Ne era derivato uno «scandalo pubblico» di cui «parla[va] tutta la città» (Sauli a Tommaso Gallio, 13 dicembre 1572, in De Maio, 1973, p. 213), ricomposto con difficoltà. Quindi, nel febbraio 1573, un ladro era stato sorpreso nella chiesa di S. Lorenzo. Arrestato e incarcerato dagli esecutori della giustizia ecclesiastica, era stato liberato con un colpo di mano dei magistrati napoletani e velocemente giustiziato. L’arcivescovo non esitò a scomunicare il capitano che aveva operato l'arresto. Sauli ricevette da Roma l'ordine espresso del capo della Segreteria pontificia, Tolomeo Gallio, di sostenere energicamente le ragioni del presule nello scontro giurisdizionale, subito divampato ai più alti livelli. Anche in questo caso, ci vollero diversi mesi per giungere a un accordo, concluso soprattutto grazie al lavoro della diplomazia spagnola a Roma.
Più chiaramente visibile il peso dell’intervento di Sauli in un’altra occasione, il ricovero nel monastero di S. Patrizia della giovanissima amante di don Giovanni d’Austria, Diana Falangola, rimasta incinta. Infatti, fu proprio grazie alla mediazione del nunzio presso il viceré di Napoli, il cardinale Antoine Perrenot di Granvelle, che ella – dopo le iniziali resistenze – fu accettata dalle monache fino alla nascita della bambina, chiamata Giovanna d’Austria.
Quindi, il nunzio iniziò a operare per la riforma delle diocesi del Regno: nel dicembre 1573 Gallio gli diede disposizioni circa l'ispezione della chiesa di Aversa. Nello stesso mese, Sauli inviò a Roma la sua relazione sui contrasti fra arcivescovo, clero e fedeli a Sorrento. L’anno seguente, il nunzio fu molto impegnato nel seguire, da Napoli, le vicende della guerra con i turchi. Egli costituiva un terminale importante sia per l’acquisizione di informazioni sui movimenti di navigli ottomani e barbareschi, sia per lo stimolo a mantenere elevato il livello di scontro, nonostante la defezione dei veneziani, che nel 1573 avevano raggiunto un accordo di pace con la Porta.
Ma Sauli era anche capace di analisi di spessore: nel luglio 1574, di fronte all’imminente spedizione turca per eliminare la presenza spagnola in Tunisia, scrisse a Roma che «pensare di soccorrere la Goletta sia quasi impossibile, ma che il vero soccorso sarebbe la diversione con armare molto bene di tutte le armate del Re 70 in 80 galere da cacciare et fuggire, come si suol dire, et di queste mandarne 35 in 40 in Levante et altretanto numero verso Alessandria d'Egitto, le quale impederiano le vittuaglie dell'armata, oltre molti danni et prede che ragionevolmente potrebbeno fare» (Sauli a Gallio, 7 luglio 1574, in Nunziature di Napoli, I, a cura di P. Villani, 1962, p. 295). Veder tradotti i propri consigli in azioni concrete, in quel contesto, non era risultato alla portata del nunzio: la Goletta e Tunisi furono perdute prima della fine dell’estate.
Sauli riuscì invece a intervenire in prima persona nella crisi politico-istituzionale aperta a Genova nel 1575 dal partito dei 'nuovi', fra i quali la sua famiglia era annoverata, allo scopo di ridefinire, allargandola, la partecipazione dell’élite cittadina al governo. Così, dapprima fece pressione su don Giovanni d’Austria, affinché al partito dei 'vecchi', capeggiato dai Doria, non fosse inviato da Napoli alcun soccorso navale spagnolo; poi, il 22 marzo 1575, si portò egli stesso nella Dominante, dove Gregorio XIII stava inviando il cardinale Giovanni Morone per contribuire a una pacificazione fra le fazioni in lotta. Fu una missione molto breve e interlocutoria: l’11 aprile, Sauli era già di rientro a Napoli. Continuò tuttavia a operare in favore dei mercanti della sua città natale: nella successiva estate, infatti, si fece tramite della loro preoccupazione per i sopraggiunti divieti di imbarcare grano dalla Sicilia.
Da ultimo, va notata l’attività del nunzio contro i banditi dello Stato ecclesiastico, usi sconfinare nel Regno di Napoli o addirittura portarsi sui litorali dello Stato spagnolo dei Presidi.
L’avviso della sua imminente sostituzione con Lorenzo Campeggi arrivò a Sauli alla fine di aprile 1577, insieme all’ordine di spedire a tutti i presuli del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia una copia della bolla In coena Domini. Rientrato a Roma, fu presto impegnato in un’altra missione di rilievo, quella di internunzio presso il cardinale Enrico di Portogallo, erede di re Sebastiano, caduto durante la battaglia di Alcazarquivir, l’anno precedente. L’obiettivo affidato a Sauli dalla Segreteria pontificia era quello di dissuadere il nuovo sovrano dall’idea di contrarre matrimonio e di fare invece pressioni perché si pervenisse alla nomina di un successore, capace di mantenere la pace, soprattutto con il vicino Regno spagnolo. Ma Sauli, già a quella data, appariva animato da nette simpatie per una soluzione della crisi successoria a vantaggio della Spagna. Così, egli non nascose la sua intenzione di incontrare Filippo II durante il cammino pur avendo ricevuto un ordine esplicito di non fare tappa alla corte del re.
Partì all’inizio di gennaio 1579, insieme ad Alessandro Frumenti, destinato a reggere ordinariamente la nunziatura lusitana e intanto incaricato di condurre negoziati in Spagna per bloccare la conclusione di una tregua con i turchi. Arrivò quindi nel successivo aprile. Rafforzato da una netta presa di posizione nello stesso senso da parte delle Cortes di Portogallo, il cardinale Enrico non poté che ripetere la sua richiesta al papa di una dispensa canonica per poter contrarre matrimonio. Sauli tornò in Italia senza aver ottenuto nulla. Ebbe nondimeno modo, avendo fatto tappa sulla via del ritorno presso la corte del Rey Prudente, di avvisare la corte pontificia della ferma decisione di Filippo II di procedere all’invasione del Portogallo.
Rientrato a Roma, restò in servizio in Curia – «praelatus aulicus (S. S.) vetus et honoratus» (Eubel, 1923, p. 273) – fino alla fine del pontificato Boncompagni. Eletto Sisto V, il 24 aprile 1585, Sauli fu chiamato per la prima volta a impegni di natura pastorale. Il 25 novembre dello stesso anno, infatti, fu eletto vescovo di Filadelfia (in partibus infidelium) e contemporaneamente coadiutore con diritto di successione dell’arcivescovo di Genova (in quel momento Cipriano Pallavicino), con obbligo però di ricevere prima gli ordini sacri.
Arrivato nel capoluogo ligure, egli diede subito impulso alla pubblicazione dei Decreta provincialis synodi Genuensis (Genuae, apud Hieronymum Bartolum, 1586). Quindi, defunto l’arcivescovo titolare, Sauli ricevette il pallio il 7 gennaio 1587. Si impegnò innanzi tutto nel rilancio dell’attività pastorale nelle parrocchie, compresa la riforma delle confraternite. A riguardo, egli fece stampare delle regole esemplate su quelle milanesi di Carlo Borromeo. Nel contempo, favoriva il potenziamento delle istituzioni caritative-assistenziali e il consolidamento funzionale del seminario per la formazione del clero.
Come suoi vicari operarono Clemente Politi (nel 1591 divenuto vescovo di Grosseto), Accursio Vandini e Nicolò Tucci. Quest’ultimo, qualificandosi come vicario generale dell’arcidiocesi, sottoscrisse gli atti del sinodo svoltosi nel settembre 1588. Lo stesso Sauli, invece, si incaricò di compiere la prima visita ad limina, nel medesimo anno.
Il 18 dicembre 1587 era stato creato cardinale, grazie al particolare appoggio del granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici. Ricevette il titolo di S. Vitale. Il 6 aprile dell’anno successivo, fu creato prefetto della congregazione cardinalizia competente sulla flotta di galere voluta da Sisto V. Rimase nell’incarico fino al maggio 1590, quando entrò nella congregazione degli affari di Francia, sconvolta dall’ultima fase delle guerre di religione.
Dopo la morte di Sisto V, Sauli era considerato un cardinale della fazione sistina. Ne fornisce una prova la sua opposizione al prelievo, proposto in Concistoro nel marzo 1591, di mezzo milione di scudi dal tesoro di Castel Sant’Angelo, riserva aurea costituita da papa Peretti. In breve tempo, però, egli mutò schieramento. Un documento dell’ottobre dello stesso anno lo annovera tra i porporati che avevano accettato una pensione da Filippo II (Distributione di pensioni di Spagna, chiamata da gli aversarij Smania per il Pontificato, in Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat., 1059, parte II, c. 311).
Lasciato il governo dell’arcidiocesi di Genova, durante il pontificato di Clemente VIII (1592-1605), la sua indubbia competenza nelle questioni interstatuali, come pure nelle materie finanziarie, suggerirono l’impiego di Sauli in molte congregazioni cardinalizie: per il Cerimoniale (1592), per i Vescovi e regolari (1592), di nuovo per gli affari di Francia (1593), per il finanziamento della guerra ai turchi in Ungheria (1594), per i problemi finanziari della S. Sede (1594), per l’anno santo (1599), per l’inondazione del Tevere (1599). Non si schierò sempre con gli Aldobrandini: nella questione della successione del Ducato di Ferrara, per esempio, era favorevole a trovare una soluzione d’accordo con gli Este.
Nel conclave seguito alla morte di Clemente VIII, fra la metà di marzo e il 2 aprile 1605, per la prima volta Sauli comparve fra i soggetti papabili. Eletto Paolo V, egli tornò agli incarichi di Curia. Fu compreso nella congregazione di Germania (1605), ancora in quella dei Vescovi e regolari, come pure in quella – straordinaria – per i conflitti di giurisdizione in Sardegna (1607). Ricoprì altresì l’incarico di protettore della Confraternita di S. Giovanni Battista dei Genovesi.
Morto Paolo V il 28 gennaio 1621, Sauli entrò in conclave. Anche in questo caso, egli fu indicato come possibile futuro papa. Frustrate le sue speranze ed eletto Gregorio XV (1621-23), nondimeno, egli ebbe ancora un ruolo di spicco. Il 14 gennaio 1622, infatti, il suo palazzo romano in Campo Marzio ospitò la prima seduta della neonata congregazione de Propaganda Fide, della quale Sauli era il membro più anziano. Anche in seguito, fino all’inaugurazione dell’omonimo palazzo nel rione Colonna, le riunioni prive della presenza del pontefice si sarebbero tenute nello stesso edificio.
Sauli possedeva anche una vigna fuori porta Pinciana. Qui fece edificare un casino (attuale sede della Casa del cinema di Roma), decorato dal pittore Tarquinio Ligustri. Esso era a disposizione anche del suo 'familiare' Antonio Manfroni, un personaggio sinistro, secondo i contemporanei, con fortissima influenza sullo stesso Sauli. Il suo testamento, datato 2 agosto 1623, disponeva appunto il passaggio a lui della citata proprietà.
Morì a Roma il 24 agosto 1623. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Popolo, dove grazie a un suo lascito fu rinnovato l’altare maggiore. Più tardi, il corpo fu traslato a Genova. Nella sua lunga carriera di porporato aveva mutato più volte titolo: S. Maria in Trastevere (1603), Albano (1607), Sabina (1611), Porto (1615), Ostia e Velletri (1620).
Fonti e Bibl.: Nunziature di Napoli, I, a cura di P. Villani, Roma 1962, pp. 144-471; Le Istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici. 1605-1621, a cura di S. Giordano, Tübingen 2003, ad indicem.
C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Monasterii 1923, pp. 52, 215, 273; L. Von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, IX-XIII, Roma 1929-31, ad ind.; R. De Maio, Riforme e miti della Riforma del Cinquecento, Napoli 1973, ad ind.; Ch. Weber, Genealogien zur Papstgeschichte, II, Stuttgart 1999, p. 851; L’Archivio della famiglia Sauli di Genova. Inventario, a cura di M. Bologna, Genova 2000, p. 637, https://www.storiapatriagenova.it/Docs/Biblioteca_Digitale/SB/396b22c37e8bbc6c44c30828fc127900/b8edf47b71480fd8771995be2fedad35.pdfS. (17 novembre 2020); S. Andretta, La Curia romana e la questione portoghese, in Religione, cultura e politica nell'Europa dell'età moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici, a cura di C. Ossola [et al.], Firenze 2003, pp. 215, 219; M.T. Fattori, Clemente VIII e il Sacro Collegio 1592-1605, Stuttgart 2004, ad ind.; R. Carloni, La Casina delle Rose a Roma nel XVII e XVIII secolo: una residenza "di delizie" del cardinal A.M. S. e del suo familiare Antonio Manfroni e gli affreschi di Tarquinio Ligustri, in Bollettino d'arte, 2009, vol. 94, pp. 119-144; W. Reinhard, Paul V Borghese (1605-1621): Mikropolitische Papstgeschichte, Stuttgart 2009, ad ind.; G. Brunelli, La “santa impresa”. Le crociate del papa in Ungheria (1595-1601), Roma 2018, p. 41.