GRAZIANI, Antonio Maria
Nacque a Borgo San Sepolcro (oggi Sansepolcro), nell'alta valle del Tevere, il 23 ott. 1537 da Giulio e da Ludovica Sernada, entrambi di illustre famiglia. Ultimo di cinque fratelli, rimase orfano in tenera età. Si occupò della sua educazione il fratello maggiore, Luigi, che nel 1554 lo mandò a scuola da Giampiero Astemio in Friuli, dove il G. apprese ben presto il latino; in seguito studiò diritto civile a Padova, sotto Nicola Graziano Utinense.
A Roma, nel 1560, fu affidato alla protezione di Giovanni Francesco Commendone, futuro cardinale, che lo ebbe accanto fino alla sua morte, avvenuta alla fine del 1584. Grazie a Commendone il G. poté riprendere e perfezionare gli studi, con particolare riguardo per la filosofia, e stringere amicizia con il gruppo di letterati di cui facevano parte Annibal Caro, Giulio Poggiani e Guglielmo Sirleto. Di Commendone fu segretario, ne curò gli affari e lo accompagnò nelle sue missioni diplomatiche in Germania e in Polonia per conto di Pio IV e di Pio V.
Nel 1573 - con l'elezione di Enrico di Valois, duca d'Angiò, al trono polacco-, il G. si segnalò in un primo ufficio di rilievo: rimase in Polonia come vice legato al posto di Commendone, con lo scopo di controllare i protestanti durante l'interregno e mantenere i rapporti con il nuovo sovrano. Indirizzò a Enrico una lunga orazione articolata in due parti principali: la prima sui mali che avevano colpito lo Stato polacco e sulle misure necessarie per la soluzione della crisi; la seconda sulla posizione dei cattolici nella lotta contro il protestantesimo.
Il G. sosteneva che le sorti della Polonia, colpita dall'eresia e da una generale decadenza morale e politica, si sarebbero risollevate con provvedimenti intesi a rafforzare la Corona indirizzandola verso nuove imprese militari come la conquista della Moscovia, fiaccata dall'eterodossia e dall'inerzia politica. Nella scelta dei funzionari di governo il sovrano avrebbe dovuto prestare cura alla scelta di uomini degni e di buona cultura, soprattutto cattolici, per contribuire all'indebolimento delle sette ereticali e alla restaurazione del cattolicesimo (De scriptis invita Minerva…, I, p. XXXVIII n. 15).
I suggerimenti e l'esperienza del G. furono tenuti in grande considerazione da Enrico, che lo invitò a rimanere presso la sua corte. Il G. rifiutò e, terminata la missione, tornò a Roma per riprendere il suo lavoro di segretario di Commendone. Questi, nel 1581, trasferì al G., in segno di riconoscenza, la sua abbazia di Santa Croce, presso Sassoferrato, con un reddito annuo di 200 ducati.
Alla morte di Commendone (1584), cui il G. dedicò una biografia nella quale sono anche narrati gli avvenimenti più significativi del secolo e le vicende di quattro pontificati (De vita Ioannis Francisci Commendoni, cardinalis, libri quatuor, Parisiis 1647), fu nominato da Sisto V segretario delle lettere latine ed ebbe l'affidamento del giovane nipote del papa, Alessandro Peretti (il cardinal Montalto), che il G. affiancò nella difficile Legazione di Bologna. Secondo la ricostruzione di A. Mai, fu nel periodo del servizio per Sisto V che il G. scrisse la maggior parte delle sue opere (compresa una biografia del papa rimasta incompiuta) e delle epistole latine.
Nel 1587, in seguito alla morte di Stefano Báthory, fu incaricato da Sisto V di presentare alla congregazione per gli affari della Polonia, composta dai cardinali Alessandro Farnese, Giorgio Radziwiłł, Vincenzo Laureo e Decio Azzolini, il suo parere sulle condizioni del Regno polacco. In questa relazione il G., riprendendo i temi già espressi nell'orazione a Enrico, sottolineò l'importanza territoriale della Polonia, baluardo contro gli Stati protestanti, e la necessità di un coordinamento delle forze cattoliche per garantire la stabilità politica e militare del Regno.
Nel 1589 il G. andò a Milano per celebrare il matrimonio tra la contessa Margherita della Somaglia e Michele Peretti.
Dopo la morte di Sisto V (27 ag. 1590) rimase al fianco del cardinal Montalto, al quale offrì la sua collaborazione ed esperienza nei quattro conclavi che si succedettero nel giro di pochi anni.
Nell'ultimo di questi, quello del 30 genn. 1592, che seguì la morte di Innocenzo IX, fu eletto il cardinale Ippolito Aldobrandini, candidato dei Peretti. Dal nuovo pontefice, Clemente VIII, il G. fu nominato, il 17 febbr. 1592, vescovo di Amelia, dove risiedette per circa un triennio, provvedendo alla riorganizzazione della Chiesa e alla ristrutturazione del palazzo episcopale. Nel 1595 riunì un sinodo con il quale intese adeguare l'organizzazione della diocesi alle disposizioni tridentine.
Nel maggio dello stesso anno Clemente VIII lo inviò presso i principi di Urbino, Ferrara, Mantova, Torino, con l'incarico di comporre una Lega antiturca.
Dopo la caduta, nel 1594, della fortezza di Györ (Giavarino), il rischio dell'ulteriore avanzata turca rendeva indispensabile per il papa la costruzione della Lega. La missione del G. ebbe successo e ciò confermò la fiducia del pontefice verso di lui; nel febbraio del 1596, egli fu quindi designato nunzio apostolico a Venezia in sostituzione di Silvio Savelli, inviso alla Serenissima per la sua posizione filospagnola.
Spettava al G., secondo le istruzioni pontificie, ottenere dalla Serenissima una diminuzione del controllo del commercio e della navigazione nel mar Adriatico a vantaggio dei porti soggetti alla Chiesa, imporre la volontà di Clemente VIII nei riguardi dell'Indice dei libri proibiti, e infine persuadere la Repubblica a riprendere la lotta contro i Turchi.
Il godimento di un antico diritto di dominio sul mar Adriatico permetteva alla Repubblica di Venezia di procedere con estrema disinvoltura nella difesa dei propri monopoli commerciali, scoraggiando metodicamente le aspirazioni pontificie di rivalutare il porto di Ancona, con pesanti interventi daziari e con la persecuzione di ogni minima irregolarità di navigazione.
Le continue lamentele presentate in Senato dal G. sui danni e le confische subite dai sudditi della Chiesa a opera dei funzionari veneziani non trovavano soddisfazione da parte del governo veneziano. Né la presentazione di un lungo memoriale in cui il G. ricordava la Capitolazione di Giulio II stipulata nel 1510, con la quale la Repubblica aveva perso il monopolio del commercio adriatico, né la proposta di istituire un console che liberasse la nunziatura dalle incombenze legate al commercio e garantisse maggiore protezione ai sudditi della Chiesa, sciolsero il nodo della navigazione commerciale adriatica. Venezia non riconobbe la validità della Capitolazione e rifiutò l'istituzione del console per il timore che in tal modo un altro agente pontificio avrebbe sostenuto la politica pontificia a Venezia.
L'Indice clementino pubblicato nella primavera del 1596 conteneva un elemento nuovo: il paragrafo 6 della rubrica Stampa dell'Instructio imponeva ai librai l'obbligo di giurare davanti al vescovo o all'inquisitore che si sarebbero uniformati alle prescrizioni dell'Indice e che non avrebbero ammesso all'arte chiunque fosse sospettato d'eresia. La Serenissima non accettò questa imposizione perché ciò avrebbe significato la subordinazione di un'arte laica alla Sede apostolica e, contro i principî della giurisdizione secolare, la trasformazione dei librai in sudditi del pontefice. La Repubblica condizionò quindi la pubblicazione dell'Indice alla totale soppressione di questa norma.
Dopo una lunga e serrata trattativa condotta a vari livelli, il G., timoroso che le opposizioni veneziane ritardassero l'introduzione dell'Indice anche negli altri Stati, sottoscrisse gli emendamenti veneziani. L'Indice apparve come un "concordato" tra i due governi: fu depennato l'articolo del giuramento, fu annullata la possibilità dell'autorità religiosa di aggiungere ulteriori proibizioni alle opere già pubblicate e fu abolito l'obbligo della consegna dei libri al S. Uffizio.
Tra le questioni importanti che rendevano complicate le relazioni tra Roma e Venezia vi erano inoltre i conflitti di giurisdizione dei tribunali. Il G. ebbe quindi il compito di tutelare l'attività dei tribunali ecclesiastici, costretti spesso a subire l'ingerenza di quelli civili.
Durante il pontificato di Clemente VIII la diplomazia pontificia si impegnò attivamente presso le corti europee per organizzare una lega contro il Turco, il cui fulcro doveva essere formato dalla S. Sede, dalla Spagna e da Venezia.
In considerazione delle guerre di religione che la Spagna stava sostenendo in Francia, il pontefice rivolse particolare attenzione all'adesione di Venezia alla Lega antiturca. Il progetto non era condiviso dalla Repubblica per la diffidenza che essa nutriva nei confronti della Spagna e per il timore di compromettere la sua potenza e i suoi commerci nel Mediterraneo. Le argomentazioni del G. - che insisteva sull'opportunità di una guerra contro un nemico ritenuto ormai debole e disunito, e la promessa di cedere a Venezia Clissa, "fortezza di molta considerazione in Dalmazia" appartenuta ai Turchi e caduta in mano uscocca -, non convinsero il governo veneto. La Repubblica rifiutò di entrare in guerra e, con lo scopo di mettere a tacere per sempre la propaganda antiturca, che si sospettava alimentata da Roma, vietò nel proprio territorio la pubblicazione dell'Ottomano, modesta opera di Lazzaro Soranzo che esaltava il ruolo della Chiesa nella lotta contro l'Infedele.
Verso la metà del 1598, il G., stanco e sofferente di gotta, ottenne l'esonero dal suo incarico. Prima di abbandonare la città indirizzò al suo successore, Offredo Offredi, una lettera nella quale espose le sue riflessioni sui molteplici aspetti della nunziatura veneziana.
Il G. si ritirò quindi ad Amelia per dedicarsi esclusivamente all'attività episcopale. In quella città morì il 16 marzo 1611.
Opere. Oltre alle opere già menzionate, il G. scrisse un'autobiografia, De scriptis invita Minerva ad Aloysium fratrem libri XX…, I-II, a cura di G. Lagomarsini, Florentiae 1745-46. La sua opera De bello Cyprio libri quinque, Romae 1624 - pubblicata postuma dal nipote Carlo e lodata per l'eleganza dello stile da un endecasillabo composto dall'amico Agostino Venier (De scriptis…, I, pp. LIII-LIV) - fu scritta in occasione della perdita veneziana dell'isola di Cipro. In De casibus virorum illustrium…, Lutetiae Parisiorum 1680 (pubblicata anche con il titolo Theatrum historicum de virtutibus et vitiis illustrium virorum et foeminarum eorumdemque casibus maximam partem funestis, Francofurti 1681, tradotta in italiano da L. Coleschi, Sansepolcro 1881, estratto dall'opera Vita e avventura del cardinal Reginaldo Polo inglese, prima versione italiana, Genova 1856) il G. affronta la caduta degli uomini più significativi del suo tempo. Il sinodo di Amelia è in DiocesanaSynodus Amerina ab Antonio Maria episcopo habita MDXCV, Venetiis, apud Ioannem Antonium Rampazettum, 1597; in appendice Vitae sanctorum Amerinae Ecclesiae patronum. Il De vita Ioannis Francisci Commendoni ebbe numerose edizioni italiane (come De vita Ioannis Francisci Commendoni cardinalis liber quatuor accessere vitae Petri Bembi et Gasperis Contarini cardinalium, Patavii 1685; Ad cardinalem Commendonum de Iulio Poggiano atque eius Latinis litteris epistula, a cura di G. Lagomarsini, Romae 1756) e francesi, tradotte da E. Flechier, Parisiis 1690, ibid. 1695. Si ricorda inoltre De Ioanne Hereclide despota, Vallachorum principe, libri tres, et de Iacobo Didascolo, Ioannis fratre, liber unus, Varsaviae 1579.
Fonti e Bibl.: L'archivio di famiglia, contenente molti documenti sul G., è ora a Vada, presso Livorno (cfr. M. Corsini, La biblioteca e l'archivio Graziani di Vada, in Rara volumina, VII [2000], pp. 127-140); Arch. segreto Vaticano, Fondo Veneto, 32, cc. 25-244, 247-400; 33, cc. 6-171; 41 (anno 1596); Fondo Pio, 23, cc. 35r-82v; Roma, Biblioteca Corsiniana, Mss., 33.G.7 (6 marzo 1596 - 6 ott. 1597); 33.G.8 (6 ott. 1597 - 12 dic. 1598); 40.F.29 (30 apr. 1596 - 8 luglio 1598); P. Berti, Catalogo delle pergamene e dei manoscritti già spettanti alla famiglia Graziani di Città di Castello…, Firenze 1864; G. Mazzatinti, Gli archivi della storia d'Italia, Rocca San Casciano 1904; Nuntiaturberichte aus Deutschland, VI, Nuntius Biglia. Commendone als Legat bei Kaiser MaximilianII, a cura di I.P. Dengel, Wien 1939; VIII, Nuntius G. Delfino und Kardinallegat G.F. Commendone, a cura di J. Rainer, Graz-Köln 1967, ad ind.; K. Jaitner, Instructiones pontificum Romanorum: die Hauptinstruktionen Clemens VIII…, II, Tübingen 1984, pp. 427-433 (con bibliografia); Nicius Erythraeus [G.V. Rossi], Pinacotheca…, I, Coloniae 1645, p. 189; F. Buonamici, De claris pontificiarum epistolarum scriptoribus ad Benedictum XIV, Romae 1753, p. 261; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, pp. 61-63; Spicilegium Romanum, VIII, a cura di A. Mai, Romae 1842; P. Amat di San Filippo, Bibliografia dei viaggiatori italiani colla biografia delle loro opere, Roma 1882, pp. 309 s.; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, pp. 300-303; M. Brunetti, Schermaglie veneto-pontificie prima dell'Interdetto. Leonardo Donà avanti il dogato, in Paolo Sarpi e i suoi tempi: studi storici, Città di Castello 1923, pp. 119-142; Id., Le istruzioni di un nunzio pontificio a Venezia al suo successore. Studi storici in onore di Camillo Manfroni, Padova 1925, pp. 369-379; L. von Pastor, Storia dei papi, IX, Roma 1928; X, ad indices; P.F. Grandler, L'Inquisizione romana e l'editoria a Venezia 1540-1605, Roma 1983, pp. 366, 369, 378; S. Andretta, Clemente VIII e la Repubblica di S. Marco: conflittualità e tatticismo, in Das Papsttum, die Christenheit und die Staaten Europas 1592-1605. Forschungen zu den Hauptinstruktionen Clemens' VIII, Tübingen 1987, pp. 77-104; M. Marsili, La ripresa della guerra contro l'Infedele e le trattative per la lega antiturca nei dispacci di monsignor A.M. G., nunzio apostolico a Venezia (1596-1598), in Atti e memorie della Società dalmata di storia patria, n.s., IV (1992), 15, pp. 69-95; Id., Battaglia giurisdizionale a Venezia per l'applicazione dell'Indice clementino, in Cultura e scuola, 1993, n. 127, pp. 98-106; Id., Intorno alla Sacca di Goro: diritto e contese sul finire del Cinquecento, in Il Carrobbio, XXIV (1998), pp. 105-115; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, p. 81.