GRANDI, Antonio Maria (al secolo Giovanni Battista)
Nacque a Vicenza il 12 maggio 1761 da Giulio e Maria Zanella. Già nel 1771 la famiglia lo inviò nel collegio dei barnabiti (chierici regolari di S. Paolo) di Udine, dove compì gli studi primari e secondari, e maturò una vocazione religiosa che lo portò, nell'estate 1777, a chiedere di essere ammesso nella congregazione. A Monza, dove il 28 ott. 1777 vestì l'abito col nome di Antonio Maria, il G. compì il periodo di noviziato, al termine del quale professò (29 ott. 1778). Inviato dai superiori nel collegio S. Alessandro di Milano vi rimase circa un anno per gli studi di filosofia, propedeutici a quelli di teologia. Qui ricevette dapprima la tonsura, poi i quattro ordini minori. È dell'autunno 1779 l'iscrizione del G. ai corsi teologici dell'Università di Pavia, dove nel 1784 conseguì il grado accademico con la conseguente promozione a suddiacono, poi a diacono.
Nel 1785 ottenne l'insegnamento di belle lettere nel collegio Longone di Milano, che tenne per due anni; nel frattempo fu ordinato sacerdote. Fu quindi nel collegio S. Vincenzo di Cremona (1787-89) come insegnante di matematica, poi nel collegio di S. Lucia a Bologna, prima come lettore di matematica e metafisica e, dal 1797 all'inverno 1799, di belle lettere. Non è chiaro se quest'ultimo cambiamento si collegasse ai mutamenti politici (Repubblica Cispadana, poi Cisalpina). Di certo il decennio felsineo dette al G. una certa fama, perlomeno nei circoli cittadini: divennero note le sue riserve sugli esiti più radicali della cultura illuministica, nonché la posizione assai critica sugli avvenimenti politici che dalla Francia stavano investendo l'Europa intera. In ambito prettamente teologico la prudenza che caratterizzava il suo punto di vista ebbe modo di manifestarsi con l'incarico, esercitato con rigore negli anni precedenti al 1797, di revisore provinciale delle opere dei confratelli.
Nel 1799 il G., avversario del nuovo ordine, preferì lasciare Bologna per riparare entro i confini asburgici, nella città natale di Vicenza. Qui, per celebrare le vittorie austro-russe nell'offensiva antifrancese della primavera di quell'anno, stampò la sua prima opera, una raccolta di poesie d'ispirazione classicheggiante (Per le gloriose vittorie delle armate imperiali. Canzoni).
Stabilizzatasi la situazione politica nella penisola, il 13 giugno 1801 partì per Roma chiamato dal preposto generale dei barnabiti, M. Alpruni, con il quale aveva consuetudine dagli anni giovanili. Entrò nella cancelleria della curia dell'Ordine, iniziando così una carriera di governo percorsa sotto la tutela di potenti protettori come i cardinali G.S. Gerdil, F.L. Fontana ed E. Consalvi, ai quali fu legato anche da un sodalizio intellettuale. Contemporaneamente esordì nella vita culturale romana, nell'ambito dell'Accademia di religione cattolica.
Il G. ne divenne membro nel 1802, quando la sua fama di letterato si era rinsaldata con la pubblicazione della traduzione di versi greci del futuro cardinale Fontana (Per l'applauditissima promozione alla sacra porpora del reverendissimo padre abbate don Michelangelo Lucchi benedettino della Congregazione cassinese, Roma 1801). Fu subito incaricato di fornire il testo di una cantata da eseguire all'avvio delle attività accademiche. Il testo (Cantata sagra da eseguirsi in occasione della riapertura dell'Accademia di religione cattolica, ibid. 1802), musicato da P. Giordani e ristampato con il titolo S. Dionigi Aeropagita (ibid. 1805 e 1816), fu il primo di quattro d'identica destinazione, tutti d'argomento sacro e tutti pubblicati a Roma: La conversione di s. Paolo (1806); La liberazione di s. Pietro dal carcered'Erode (1807; rist. ibid. 1818); Inno diMosè "Cantemus Domino" (1822). La cifra poetica classicheggiante, dapprima dominante, con il passare degli anni vi cede a un poetare sempre più libero e meno rigido. Ma l'attività accademica del G. non si esaurì in questo. Fu anche autore di memorie, lette nelle sedute settimanali in cui si articolava l'attività accademica annuale, delle quali solo due pubblicate (entrambe postume). La prima, letta nel 1802 e mirante a ribadire le argomentazioni cattoliche contro la religione naturale, fu pubblicata nell'agosto 1832 nel fascicolo 94 della Pragmatologia cattolica (pp. 101-119); la seconda, letta nel 1805 e intesa a difendere la possibilità dei miracoli in una natura regolata da leggi, fu stampata nel novembre 1846 nel fascicolo 2 de L'Amico cattolico (pp. 361-383). Le restanti, tra le quali due lette rispettivamente nel 1806 e nel 1807, tese a confutare i punti di vista di G.-L. Buffon, riaffermando la verità della cronologia biblica e l'invarianza delle specie animali e vegetali, rimasero inedite in un manoscritto descritto da G. Boffito (p. 272), che ora sembra perduto.
Gli anni d'impegno del G. nell'Accademia furono fecondi d'onori e incarichi. Il 12 dic. 1803 fu ascritto all'Arcadia col nome di Eucritio Caristio, e nel 1807 fu eletto procuratore generale del suo Ordine. Nello stesso anno gli fu affidata la lettura della teologia dogmatica e morale nel collegio primario della congregazione, presso la casa generalizia romana di S. Carlo ai Catinari. Delle competenze teologiche del G. resta traccia in due manoscritti, De locis theologicistractatus e In universam theologiampraefatio, conservati nell'Archivio del Centro studi dei padri barnabiti di Roma. Di lì a qualche tempo, però, gli avvenimenti politici gli assegnarono un ruolo più scomodo, nel quale, pur in condizioni difficilissime, fornì prova di grande abilità. Infatti, quando, nel 1810, dopo l'occupazione napoleonica di Roma, fu emanato il decreto di scioglimento degli ordini regolari, il G., ottenuto dal nuovo governo il permesso di risiedere a Roma, con un manipolo di confratelli e sotto mentite spoglie si adoperò per riannodare i legami tra gli ex aderenti all'Ordine e per difendere, per quanto possibile, le pertinenze dello stesso. La sua azione, assai efficace, fu premiata al ritorno di Pio VII: divenne nuovamente procuratore generale dei barnabiti, e nel periodo seguente fu impegnato in misura crescente in Curia. Nel 1816 divenne membro della congregazione dei Sacri Riti, e tre anni più tardi provicario generale del suo Ordine e segretario con diritto di voto della congregazione per gli Affari straordinari della Chiesa, ruolo nel quale collaborò strettamente con Consalvi.
Frattanto Pio VII e i collaboratori concepirono un vasto progetto di riorganizzazione dell'amministrazione pontificia, attestato in un motu proprio inedito del 6 luglio 1816, che includeva un piano di riforma di tutti i gradi dell'istruzione, compreso quello universitario. Allo scopo fu costituita una commissione cardinalizia, della quale il G. fu uno dei principali consultori. La sua attività in tale ambito, protrattasi fino al dicembre 1818, è stata studiata solo parzialmente e valutata in modo viziato in parte da pregiudizi e in parte da una discutibile utilizzazione delle fonti.
L'accusa di superficialità e inadeguatezza tecnica che ha investito due piani di studio che propose nel giugno 1817 per la facoltà legale e quella filosofica discende in buona parte da giudizi del segretario della commissione, mons. F. Bertazzoli, vicino al partito degli "zelanti" e avversario del G., legato al Consalvi e ai "politici". In realtà, almeno il piano della facoltà filosofica, conservato tra le carte del G. nel Centro studi dei barnabiti, fu più equilibrato di quanto sia apparso, pur se chiaramente caratterizzato dal punto di vista ideologico.
Nell'estate 1820 il G. fu nominato consultore delle congregazioni dell'Indice e del S. Uffizio; dovette quindi occuparsi del cosiddetto caso Settele, dal quale, com'è noto, sortì la definizione in senso positivo della questione della compatibilità tra eliocentrismo e fede cattolica. Il caso nacque dalla richiesta d'imprimatur avanzata da G. Settele per il secondo volume dei suoi Elementi d'ottica e di astronomia (Roma 1821), nel quale sosteneva la verità del copernicanesimo. Un primo parere negativo espresso nel genn. 1820 dal maestro del Sacro Palazzo, il domenicano P. Anfossi, anacronistico in quanto fin dal 1757 la congregazione dell'Indice aveva deciso di rimuovere la formula generale di condanna delle opere copernicane dall'Index librorum prohibitorum, provocò un clamore internazionale che consigliò al S. Uffizio di riesaminare l'intera questione. Il G. fornì due pareri, uno in data 9 ag. 1820 e l'altro nel novembre dello stesso anno, sostenendo con sottigliezza che le difficoltà, d'ordine teologico-scritturale ma conseguenti dalle limitate conoscenze fisiche e astronomiche degli inizi del XVII secolo, che avevano portato alla proibizione del 1616 erano ormai cadute, in virtù delle successive scoperte.
Negli stessi mesi in cui si occupava della questione copernicana il G. fu anche membro d'una commissione voluta dal papa per esaminare la causa d'invenzione del corpo di s. Francesco d'Assisi (il suo "voto" in materia fu pubblicato in Brevi e distinte notizie sull'invenzione e verificazione del santo corpo del serafico patriarca s. Francesco, ibid. 1820, p. 67). Negli ultimi anni il G. scrisse De vita et scriptisMariani Fontanae (ibid. 1822) e un ElogiumF.L. Fontanae (ibid. 1822), di cui fornì anche una versione italiana (pubblicata postuma come premessa alle Operette divote di F.L. Fontana, Roma 1823). Del card. Fontana, preposto generale dei barnabiti, fu erede fiduciario, e questo favorì, al momento della morte di quello, il 27 marzo 1822, la nomina del G. a vicario generale dell'Ordine, avvenuta con rescritto pontificio. Tuttavia il G. esercitò questa carica solo per pochi mesi: morì infatti a Roma il 6 nov. 1822.
Fonti e Bibl.: L'Archivio del Centro studi dei padri barnabiti a Roma conserva, oltre all'epistolario del G. (Aa.3) e le lettere del cardinale Fontana a lui (Arm. 4, cart. 6, n. 9 e Arm. 8, cart. 4), anche attestati e onorificenze (Y.g.4), l'autografo del De vita etscriptis M. Fontanae (Y.f.3), i due trattati teologici citati, rilegati in volume con altri di G. Lambruschini (Y.f.2), nonché i piani di studio per le università pontificie (Arm. 8, cart. 9, e Arm. 9, cart. 1) e uno stampato dal titolo Argomenti da trattarsi nell'Accademia di religione cattolica negli anni1802 1803 1804 1805, riguardante le conferenze a lui assegnate (XVI-93-173). Per le opere, v. G. Boffito, Scrittori barnabiti, II, Firenze 1933, pp. 266-272. Inoltre: Delle lettere del padre Antonio Cesari, Firenze 1846, I, pp. 263-272; II, pp. 330-393; G. Piantoni, Elogio storico del reverendissimo padre don A.M. G., Roma 1858, pp. 330-393; O. Premoli, Storia dei barnabiti dal 1700 al 1825, Roma 1925, pp. 491 ss.; A. Gemelli - D.S. Vismara, La riforma degli studi universitari negli Stati pontifici,1816-1824, Milano 1933, pp. 99, 117-121, 154 s., 161-166, 169 s.; A. Piolanti, L'Accademia di religione cattolica, Città del Vaticano 1977, ad ind.; J. Vernacchia-Galli, L'Archiginnasio romano secondo il diario del prof. GiuseppeSettele, 1810-1836, Roma 1984, ad ind.; P. Maffei, Giuseppe Settele,il suo diario e la questione galileiana, Foligno 1987, pp. 336-345; W. Brandmüller - E.J. Greipl, Copernico, Galilei e la Chiesa. Fine dellacontroversia (1820), Firenze 1992, pp. 80-83, 90-92, 294-298, 386-393.