GALLO, Antonio Maria
Nacque a Osimo probabilmente il 18 ott. 1553 da Piero Stefano; il nome della madre è incerto: forse fu Cleofe da Sirolo, che in alcuni documenti appare come moglie del padre. Sembra che in gioventù volesse avviarsi alla professione di notaio. Rimase nella città natale almeno fino al 1574, anno in cui ricopriva l'ufficio di cancelliere della Compagnia della Ss. Pietà di Osimo. In data imprecisata entrò al servizio del cardinale Felice Peretti in qualità di coppiere.
Asceso al pontificato col nome di Sisto V, questi nominò già nello stesso 1585 il G. suo tesoriere privato, castellano di Ravenna e infine canonico della basilica vaticana. Il 30 ottobre o il 5 nov. 1586 il G. fu scelto come vescovo di Perugia. Il 16 novembre successivo venne creato cardinale del titolo di S. Agnese in Agone. La nomina suscitò forti critiche, compresa quella del gesuita Francisco de Toledo, in quanto si riteneva generalmente che il papa stesse introducendo nel Collegio cardinalizio un eccessivo numero di suoi servitori. Come vescovo di Perugia, il 15 apr. 1587 il G. riconsacrò la cattedrale, gesto resosi necessario in seguito agli importanti lavori di rifacimento che vi erano stati effettuati. Provvide inoltre all'ingrandimento del palazzo vescovile.
Poco dopo essere asceso alla dignità pontificia Sisto V, marchigiano di origine, volle coronare l'opera dei suoi predecessori in favore della S. Casa di Loreto elevando il centro abitato, fino a quel momento castello situato nel territorio di Recanati, al rango di città e di sede vescovile. Ciò avvenne con la bolla Pro excellenti praeminentia del 17 marzo 1586. Se la diocesi fu costituita senza problemi, secondo la prassi consueta, diverso fu il caso dell'amministrazione cittadina. Dopo che i Lauretani ebbero messo in opera alcuni incerti tentativi volti a produrre i necessari statuti, Sisto V il 22 ag. 1587 nominò il G. protettore di Loreto, affidandogli il compito di costituire in città una magistratura vera e propria. Il 26 ott. 1587 il G. riunì i cittadini di Loreto e ne scelse cinquantadue come consiglieri e rappresentanti della Comunità. Tra questi ne designò tredici, tra i più preparati, perché esercitassero l'ufficio di gonfalonieri; ordinò quindi che si procedesse all'elezione dei quattro magistrati, un gonfaloniere e tre consiglieri, che dovevano restare in carica per un bimestre.
Nei primi anni della sua protettoria, il G. seguì con interesse ed efficacia la costituzione della nuova città, dandole il suo appoggio nel contrasto con Recanati, restia a vedersi sottrarre parte del territorio e quindi delle entrate fiscali. Il 3 sett. 1589 venne incaricato dal papa di eseguire la delimitazione dei confini della città di Loreto, stabilita con un breve dell'11 agosto precedente, in cui le erano assegnati terreni sottratti a Recanati e a Castelfidardo. Il G. affidò il compito al governatore della Marca, Ottavio Bandini.
Sisto V aveva anche prospettato un adeguato sviluppo urbano di Loreto. Scartata la dispendiosa ipotesi di unirla anche urbanisticamente a Recanati, il 7 sett. 1587 il G. venne incaricato di presiedere i lavori di espansione di Loreto, parte nella pianura sottostante e parte in siti ricavati dal livellamento del monte Reale.
Di Loreto il G. continuò a interessarsi anche dopo la morte di Sisto V. All'inizio del pontificato di Clemente VIII Recanati ottenne dal papa la restituzione dei suoi territori passati a Loreto; tuttavia il G. si oppose e il 6 maggio 1594 ottenne la conferma dei confini stabiliti da Sisto V. A Loreto portò a compimento la facciata della basilica e istituì un Monte di pietà per il soccorso dei poveri. Negli anni successivi l'interesse del G. per Loreto, di cui conservò la carica di protettore fino alla morte, andò scemando, come apparve chiaramente quando si trattò di approvare in via definitiva gli statuti cittadini, approvazione ostacolata dal governatore della Marca, che rifiutava di consegnare il testo in suo possesso. Finché visse, il G. non fu in grado di superare tale ostruzionismo.
Il 15 genn. 1590 il G. fu nominato da Sisto V legato di Romagna, con l'incarico di ristabilire l'ordine pubblico in seguito all'improvvisa irruzione nella città di Faenza di un gruppo di facinorosi, che avevano provocato l'uccisione di alcune persone. Fece il suo ingresso a Ravenna il 20 genn. 1590 e rimase in carica fino al 20 luglio 1591.
Dopo la morte (il 27 ag. 1590) del pontefice suo protettore, il G. partecipò ai tre conclavi successivi. Nel 1590 è annoverato tra i venticinque cardinali nominati da Sisto V, i quali formavano un gruppo abbastanza compatto nel conclave da cui uscì eletto Urbano VII. Nei due successivi era contato tra i cardinali filospagnoli, in quanto riceveva una pensione dalla Spagna, oppure tra i partigiani del cardinal Montalto, Alessandro Peretti, pronipote del defunto Sisto V.
Il 19 luglio 1591 il G. fu trasferito da Perugia alla sede di Osimo, nella quale entrò solennemente il 15 agosto.
Tra i primi provvedimenti emanati, il 30 settembre fece ritirare tutti i permessi di confessare, tanto ai chierici secolari quanto ai regolari, subordinando la nuova concessione a un esame effettuato dal vicario generale e dagli esaminatori deputati. Nel luglio del 1592, con l'apertura della visita pastorale, da lui personalmente condotta in molte parrocchie della diocesi, si prefisse di mettere in pratica il dettato dei decreti tridentini. Impose al capitolo della cattedrale di compilare entro sei mesi uno statuto che egli stesso avrebbe poi confermato nel 1595 e ordinò ai parroci di tenere i tre libri dei battesimi, dei defunti e dei matrimoni celebrati. Il 20 luglio fondò e dotò il seminario, riunendovi i seminaristi, che in precedenza vivevano nelle proprie case, e ordinò la composizione del suo regolamento, da lui stesso promulgato il 7 ott. 1597.
Con un editto del 13 genn. 1593 il G. impose ai parroci la residenza, entro il termine perentorio di quindici giorni. Ugualmente vigilò sull'applicazione del decreto tridentino riguardante la stretta clausura nei monasteri femminili, con le successive interpretazioni in senso restrittivo, anche se a più riprese permise alle monache bisognose di uscire per la questua. Lo stesso anno, a conclusione della visita, il G. indisse il suo primo sinodo diocesano, con il compito di consolidare i decreti recentemente emanati.
A partire da questo momento, la visita alla diocesi e la riunione del sinodo divennero relativamente frequenti. Durante il suo governo furono celebrati dieci sinodi diocesani, generalmente il 23 settembre, nei quali venivano anche rinnovati gli ufficiali diocesani, e venne effettuata diverse volte la visita alla diocesi da parte dei successivi vicari generali, dato che il G. risiedeva spesso a Roma. Non mancarono resistenze del clero: al sinodo convocato a Cingoli nel 1596 molti beneficiati non parteciparono. Tuttavia esso rimase uno degli strumenti principali per il rinnovamento della diocesi: nella quinta assise celebrata nel 1602 venne proibita la consultazione degli indovini, furono date le norme per la provvisione delle parrocchie e per l'osservanza regolare nei monasteri femminili.
L'azione riformatrice promossa dal G. nella sua diocesi, che effettivamente significò una promozione del culto e dell'osservanza dei canoni, fu sufficientemente intensa durante i primi anni del suo episcopato, mentre andò scemando negli anni successivi. Essa sarebbe potuta essere stata più efficace se il vescovo avesse fissato la residenza in diocesi con maggiore frequenza, invece di affidare il compito di governarla ai vicari generali. Inoltre egli non andò esente dai difetti del nepotismo, giungendo a utilizzare i beni della Chiesa a vantaggio della sua famiglia: nel 1608 istituì in favore del primogenito maschio di suo fratello e dei di lui successori una considerevole rendita sul castello di Monte Gallo e costruì a Osimo un palazzo per la sua famiglia.
A partire dal 1605 il G. fece parte dei cardinali vescovi; sempre conservando la diocesi di Osimo, ricevette le sedi di Frascati (1° giugno 1605), Palestrina (28 maggio 1608), Porto e Santa Rufina (17 ag. 1611), Ostia e Velletri (16 sett. 1615), diocesi che gli conferiva automaticamente la dignità di decano del Sacro Collegio. Nonostante ciò, non ebbe mai un reale influsso in Curia. Ricoprì inoltre le cariche di prefetto della congregazione dei Vescovi e regolari, dei Riti, delle Acque e strade e fu protettore dell'Ordine di S. Gerolamo. Nel 1618 celebrò un sinodo per la diocesi di Ostia e vi introdusse i padri somaschi.
Avendo sempre condotto un tenore di vita modesto, il G. accumulò una notevole fortuna, che gli permise di lasciare ai nipoti una consistente eredità.
Morì a Roma il 30 marzo 1620. I funerali si svolsero nella chiesa del Gesù e il suo corpo venne tumulato in S. Maria in Aracoeli.
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