FEDE (Fedi), Antonio Maria
Nacque a Pistoia, dove fu battezzato il 9 genn. 1649, da Innocenzo di Andrea e da Costanza di ser Annibale Domini.
Non si hanno notizie dei suoi anni giovanili, almeno fino alla frequenza dello Studio pisano, dove si laureò in utroque iure l'11 nov. 1664, come attestato dall'atto del notaio Matteo Maffeo. Poco dopo, il 9 genn. 1665, ottenne la "condotta" per Roma, dove avrebbe trascorso il resto della sua vita e dove contrasse matrimonio con Margherita Bianchi. A Roma inoltre iniziò ad esercitare la professione di procuratore ed ebbe modo di rendersi utile in varie cause del cardinale Leopoldo de' Medici, il quale, lo raccomandò al granduca di Toscana Cosimo III, di cui egli divenne col tempo l'uomo di fiducia presso la corte romana e poi per lunghi anni, dal 1693 al 1718, l'agente ufficiale, succedendo all'abate Giovanni Battista Mancini.
La frequentazione assidua della Curia romana gli procurò indubbiamente col tempo una sicura e approfondita esperienza, soprattutto nello svolgimento degli affari minori fra la corte granducale e quella romana, che egli mise al servizio non solo del granduca e della segreteria di Stato, ma anche degli altri membri della famiglia de' Medici.
Al cardinale Francesco Maria, ad esempio, oltre a dare minuti ragguagli degli avvenimenti principali che interessavano Roma, come lo svolgimento dei conclavi o il viaggio di Filippo V a Napoli nel 1702, forniva anche tutta una serie di servizi, adoperandosi per raccomandazioni o promozioni, e seguendo gli affari dell'Ordine vallombrosano, di cui il cardinale era protettore. E fu sempre il F. a seguire le pratiche per la rinuncia del cardinale al cappello, tra il 1708 e il 1709, avendo il granduca deciso di dar moglie al fratello, in un estremo e forse patetico tentativo di assicurare alla dinastia l'agognata discendenza. Così, dopo aver fatto egli stesso qualche indagine matrimoniale a Roma, quando venne deciso il matrimonio fra l'attempato Francesco Maria ed Eleonora Gonzaga di Guastalla, seguì presso la corte romana il complesso negoziato per la rinuncia al cardinalato e alle relative pensioni e benefici.
Scorrendo del resto il nutrito carteggio del F. con il granduca e la segreteria di Stato si ha una panoramica della politica ecclesiastica ufficiale della Toscana e in parte delle stesse inclinazioni e dell'atteggiamento religioso privato di Cosimo III, che trovò indubbiamente nel suo agente un fedele e convinto collaboratore tanto che il granduca gli conferì, il 6 luglio 1700, il titolo di conte per lui e la sua discendenza, come riconoscimento del servizio prestato "con somma diligenza" (cfr. Pratica segreta, f. 194).
L'attività del F. a Roma era certo assai complessa, occupandosi egli sia di problemi di politica ecclesiastica che di piccoli affari di ordinaria amministrazione, quali nomine, precedenze, raccomandazioni, materie beneficali o culto dei santi e delle loro reliquie, aspetti questi del resto molto seguiti dallo stesso granduca, tanto che a volte interi carteggi vennero dedicati al culto dei santi Cerbone e Cresci o alla canonizzazione "del servo di Dio Ippolito Galantini".
L'eccessivo ossequio verso i desideri del granduca, nonché quello mostrato verso vari cardinali, che pure gli valse l'intimità con i pontefici Innocenzo XII e Clemente XI, procurò al F. numerose critiche e satire a volte feroci. Così il letterato senese Girolamo Gigli, nel suo Gazzettino, lo soprannominò "il conte di Culagna", mentre lo storico R. Galluzzi, nella sua celebre storia della Toscana, ebbe per lui parole molto severe: "... non mancava a costui l'ipocrisia, la sfrontatezza, l'intrigo e l'adulazione per meritarsi la confidenza di Cosimo e sapendo alternare opportunamente l'orgoglio a un'apparente modestia guadagnossi la stima e l'opinione della Prelatura ..." (Galluzzi, p. 266).
Tuttavia il F. si occupò con una certa abilità e senza dubbio con successo anche di problemi più complessi, primo fra tutti di quello relativo alla tassazione dei beni ecclesiastici nel Granducato, avanzato a più riprese da Cosimo III. E in effetti, sia in occasione delle contribuzioni chieste dalla corte imperiale alla Toscana durante la guerra della Lega di Augusta, sia in quelle chieste per la guerra di successione spagnola, il F. ottenne dalla corte romana l'autorizzazione a tassare più volte tutti i beni ecclesiastici, le cui rendite erano stimate intorno a 1.000.000 di scudi l'anno, con notevoli benefici per le finanze granducali. E al riguardo il F. riuscì ad ottenere l'assenso della congregazione per l'Immunità ecclesiastica anche in altre occasioni: come nel 1701, quando il clero pisano venne obbligato a pagare 24.000 scudi per i lavori di mantenimento dell'Arno, o nel 1715, quando venne imposta una tassa straordinaria dalla Sanità, in occasione di una grave epizozia.
Il F. morì a Roma il 15 giugno 1718, nel palazzo mediceo di Campo Marzio, abituale residenza degli ambasciatori toscani, e venne sepolto nella contigua chiesa di S. Nicolò.
Fonti e Bibl.: Scarsi i riferimenti al F. in altri autori; tra questi si segnalano R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, VII, Livorno 1781, pp. 266 s.; G. Volpi, Acta graduum Academiae Pisanae, II, Pisa 1979, p. 312; G. Gigli, Il Gazzettino, a cura di P. Fanfani, Firenze 1861, passim.
Molto più ricca invece la documentazione conservata negli archivi: in Arch. di Stato di Pistoia, Priorista Franchi, vol. 9, cc. 64v, 65r, 68v; vol. 10, c. 116v, notizie biografiche sul F.; e in Arch. di Stato di Firenze, Carte Dei, f. 21, n. 27, notizie sulla famiglia; Ibid., Pratica segreta, f. 194, cc. 191rv, la patente con cui Cosimo III conferiva il titolo comitale al F. e alla sua famiglia (6 luglio 1700); e Ibid., Mss., 142, F. Settimanni, Memorie fiorentine, XV, c. 290r, la notizia della morte, con un breve giudizio sul Fede. Particolarmente nutrito il suo carteggio da Roma, contenuto nell'Arch. di Stato di Firenze in numerose filze del Mediceo del principato, di cui qui si segnalano in particolare le ff. 3666-3685 (1694-1717), con il carteggio del F. con Cosimo III; le ff. 3627-3628 e 3929-3935 (1696-1704), con lettere del F. a C. A. Gondi, segretario di Stato; le ff. 3896, 5710, 5713-5723 (1670-1710), con il carteggio con il card. Francesco Maria; infine le ff. 3569-3588 (1698-1717), con le istruzioni della segreteria di Stato al Fede.