CONTI (Comes, Maioragius), Antonio Maria (Marcus Antonius)
Nacque a Mairago (prov. di Milano), il 26 ott. 1514 da Giuliano e Maddalena Conti.
Secondo la testimonianza del C., suo padre Giuliano "cognomen a loco sortitus est et Maioragius appellatur" (Orationes, X, p. 194). Sposando Maddalena Conti, la quale discendeva dagli stessi antenati (ibid., VIII, p. 141), Giuliano, abbandonato il proprio cognome, avrebbe assunto quello della moglie, i cui fratelli Giacomo e Luigi (ibid., X, p. 221) lo avevano latinizzato in "Comes" o "De Comitibus". Il C. ritornò all'antico, cognome paterno, riassumendolo nella forma latina di "Maioragius" (da Mairago), anche per evitare equivoci in cui erano incorsi il cugino Primo, scambiato da Erasmo per un nobile (ibid., pp. 221-22), e lui stesso, a cui l'editore lionese Sebastiano Grifio "tamquam alicui principi respondit" (ibid., p. 222), quando essi si erano annunciati sottoscrivendosi "Comes". Il nome di battesimo dei C. fu Antonio Maria, che egli mutò in seguito in Marco Antonio.
Del suo matrimonio non abbiamo notizia, ma dal fatto che sulla sua pietra tombale è menzionato "Bartolomaeus Comes uxoris frater" si deduce che il C. si sposò e probabilmente con una appartenente alla stessa famiglia della madre. I primi anni della vita del C. non furono lieti. La sua famiglia perdette i propri beni nelle continue guerre che sconvolgevano la Lombardia, e il padre Giuliano, fatto prigioniero, si salvò a stento fuggendo. Il C. intanto, compiuti i suoi primi studi nell'ambito familiare, andò a Como dove ebbe come maestro Primo Conti, figlio, a quanto sembra, di una zia paterna (nella prefazione al commento alla Retorica di Aristotele, 2 ediz., Venezia 1571, è detto che quest'opera fu pubblicata "a Primo Comite auctoris Amitino"; "consobrinus noster" è chiamato ancora dal C. in Orationes, X, p. 194), sotto la guida del quale approfondì la conoscenza del latino e del greco e delle due letterature. Passato a Milano, ne frequentò per cinque anni l'università ascoltando, oltre a quelle di Girolamo Cardano e Arunte Bataleo, le lezioni di Lancellotto Fagnani, maestro di eloquenza, e di Gerolamo Lauredano, che insegnava matematica. Alloggiava intanto in casa dello stesso Fagnani, da lui invocato come testimone della sua assidua applicazione allo studio, così intensa da mettere a repentaglio la propria salute; né le preghiere di parenti e amici valsero a farlo desistere, poiché, come egli afferma con evidente reminiscenza sallustiana, ardeva "incredibili gloriac cupiditate" (Orationes, X, p. 198). È probabile che - già durante il periodo degli studi universitari il C. tenesse lezioni pubbliche (collaborando eventualmente con il Fagnani), alternandole alle ricerche e alle meditazioni personali, ricordando lui stesso di non lasciar passare giorno "in quo non aut publice docerem, aut private mecum ipse meditarer, et vel scriberem vel declamarem" (ibid.). Il C. intendeva far rivivere l'antico costume delle declamazioni, ottima propedeutica, a suo modo di vedere, per chi volesse intraprendere la carriera dell'oratore politico: in un primo tempo diede privatamente istruzioni a scolari che faceva esercitare presso di sé, poi pensò di dedicarvicisi pubblicamente. Nel 1541 fece infatti stampare a Milano il suo primo discorso ufficiale, per le nozze di Filippo Sacchi, presidente del Senato milanese. In esso per la prima volta assunse pubblicamente il soprannome professionale di "Marcus Antonius Maioragius", cosa che gli valse un'accusa di empietà da cui si discolpò brillantemente, davanti al Senato, con l'orazione apologetica De mutatione nominis, ristampata di nuovo nel 1547.
Così si ricava dall'Argelati (col. 840), che conosce due stampe di questo discorso (1541 e 1547). Se tale notizia non è errata e le stampe furono due, cade senz'altro quanto è ripetuto costantemente dai biografi del C., dal Bayle al Tiraboschi al Cosenza, che egli abbia pronunciato l'orazione al suo ritorno da Ferrara e pubblicato nel 1547. Anche nel caso che l'Argelati si sia sbagliato, l'orazione si deve mettere in relazione con le invidie e le rivalità suscitate nell'ambiente accademico milanese, di cui si fecero interpreti gli accusatori ufficiali Fabio Lupo e Macrino Negri, di fronte alla rapida carriera universitaria dei Conti.
Grazie alla sua intensa attività didattica e alla stima dei suoi maestri, il C. ebbe, appena ventiseienne (1540 0 1541), la nomina a professore di eloquenza dell'università di Milano da parte dei curatori del Collegio, nonostante la forte concorrenza del più maturo ed esperto Mario Nizzoli (Reprehensiones, p. 3). Nel 1542 tutti i docenti vennero però congedati a causa della guerra che minacciava il Milanese. Il C. si ritirò a Ferrara, dove seguì i corsi di giurisprudenza di Andrea Alciato e quelli di filosofia di Vincenzo Maggi, legandosi d'amicizia inoltre al lessicografo e latinista Bartolomeo Ricci. Nel 1543 fece ritorno a Milano (Orationes, X, p. 190), sebbene una lettera dei Ricci al Nizzoli (Epist., p. 562) sembri alludere a un suo soggiorno triennale a Ferrara, e riprese il suo posto di professore di eloquenza, con maggior prestigio e accresciuto stipendio.
Sugli anni 1540-41 come inizio dell'attività accademica del C. non tutti sono d'accordo. Il Bayle (p. 922), accusandolo esplicitamente di non essere sincero nell'affermare di aver acceduto all'insegnamento universitario ventiseienne (Orationes, X, p. 198), ritiene invece che la data del primo incarico sia da spostare al 1543. Seguendo la ricostruzione del Pagani (M. Nizzoli e il suo lessico, p. 561), che unisce le due testimonianze delle Reprehensiones e di una lettera inviata dal C. al Ciceri (Marq. Gudii, p. 127), questi sarebbe stato nominato professore universitario nell'aprile del 1541. L'interruzione dei corsi accademici, secondo il Bayle, sarebbe da attribuire al 1544, anno della discesa in Lombardia del conte di Enghien, la permanenza del C. a Ferrara cadrebbe dal 1544 al 1545, anno in cui il C., tornato a Milano, sarebbe stato reintegrato nel suo ufficio. Questa ricostruzione sarebbe avvalorata dal fatto che l'Alciato iniziò le sue lezioni di diritto a Ferrara nel 1543 (il Viard, pp. 101-106, pone l'inizio dell'insegnamento dell'Alciato a Ferrara nel 1542), ma con lui il C. era già in contatto fin dal 1539, quando l'Alciato insegnava a Bologna. Una lettera del 24 dic. 1539 dell'Alciato al C. mostra che a lui quest'ultimo si era rivolto perché lo aiutasse nei suoi studi, cosa che il primo aveva promesso volentieri (Barni, pp. 176-77).
Durante la sua permanenza a Ferrara, il C. si decise, anche per l'insistenza degli amici, a pubblicare le sue Decisiones XXV (precedute da una prefazione datata 8 luglio 1543 a Francesco Sfondrato), opera con la quale intendeva confutare le critiche che il ferrarese Celio Calcagnini aveva mosso a Cicerone in altrettante proposizioni delle sue Disquisittones in libros officiorum M. Tullii (1541).
La stampa avvenne a Lione nel 1544, quando, a detta del C. stesso nella prefazione delle Reprehensiones (1549), l'opera era già pronta fin dal 1541, ma non era stata pubblicata sia per un senso di riguardo nei confronti del Calcagnini morente, sia per altri motivi che non ci sono ben chiari. La brillante confutazione delle tesi del Calcagnini procurò al C. la fama e il plauso dei letterati e degli studiosi più illustri. In seguito, il C. pubblicò nel 1546 ancora a Lione gli Antiparadoxon libri sex, un attacco contro Cicerone come filosofo.
Si tratta di un dialogo che pretende di esser stato tenuto nel giardino di casa Fagnani, alla periferia di Milano, a imitazione delle disputazioni filosofiche di Cicerone, ambientate a Tuscolo. Scopo del lavoro, indicato nel sottotitolo, è attaccare i sei paradossi che Cicerone esamina nei suoi Paradoxa Stoicorum ad Marcum Brutum con altrettanti discorsi, tenuti dai discepoli del C. (I, V, VI) e da tre maturi studiosi come il Cardano, Antonio e Francesco Conti, cugini dell'autore (II, III, IV). Il voltafaccia del C., che da propugnatore di Cicerone ne diventa accanito censore, né più né meno del vituperato Calcagnini, è stato spiegato dal Breen (The Antiparadoxon, pp. 40-41) ricorrendo all'autorità dell'Alciato, maestro dell'autore, al quale gli Antiparadoxon sono dedicati. Il punto di vista dell'Alciato, che in una lettera ad Erasmo concordava con quello espresso nel Ciceronianus, avrebbe operato come fattore di uno sviluppo nel senso critico sulla concezione del C., che del resto era un ciceroniano assai tiepido; forse anche la precedente veemenza contro le Disquisitiones dei Calcagnini finì col provocare nell'autore una reazione psicologica.
Nello stesso 1546 il C., realizzando il suo desiderio di riportare in vita le antiche scuole di declamazione, si fece promotore di una iniziativa culturale di grande risonanza, ossia la fondazione in Milano dell'Accademia dei Trasformati, che riuniva letterati e studiosi di antichità, probabilmente in casa di Lancellotto Fagnani, dove appunto il C. ambientò i suoi Antiparadoxon. L'Accademia pubblicò nel 1548 una raccolta di sonetti dei suoi soci, fra i quali quattro dello stesso C. che inutilmente si rivolse in un suo discorso al governatore di Milano, Alfonso d'Avalos, perché volesse istituire una pubblica biblioteca e promuovere una rinascita degli studi classici, precorrendo l'analoga iniziativa, coronata da successo, di Carlo Borromeo (Sassi, pp. XLVI s.). Intanto la pubblicazione degli Antiparadoxon aveva suscitato polemiche e contese nel campo dei fautori di Cicerone, quasi quanto quella delle Decisiones nel campo avverso. Contro il brusco cambiamento del C. insorse il latinista Mario Nizzoli, già suo concorrente alla cattedra milanese, che pure aveva plaudito alle Decisiones nel 1544, prima indirizzando al C. una specie di lettera aperta nel 1546 (Marq. Gudii, pp. 132 ss.), poi pubblicando nel 1548 un pamphlet polemico apparentemente contro le Disquisitiones del Calcagnini, in realtà diretto contro il C., le Defensiones aliquot locorumCiceronis.
Qui il Nizzoli prendeva apertamente posizione a favore dì Cicerone contro il platonismo del C., per il quale, nella linea tracciata da Pico della Mirandola, un retore non poteva riuscire buon filosofo. Il C. rispose al Nizzoli, che avrebbe ribadito in seguito nel De veris principiis (meglio conosciuto Come Antibarbarus philosophicus), pubblicato a Parma nel 1553, la sua tesi ciceroniana, che la filosofia deve essere rivolta alla generale intelligenza di tutti gli uomini per distaccarsi progressivamente dalla letargica ingerenza dell'aristotelismo nominalistico, con un opuscolo polemico intitolato Apologia (Venezia 1547), che provocò un'immediata ritorsione da parte del Nizzoli, la Antapologia (pubblicata probabilmente a Milano nel 1547-48, cfr. Vasoli, p. 609) con toni assai acri da ambedue i lati.
La polemica, ormai degenerata nell'invettiva e nell'insulto personale, si inasprì ulteriormente con la pubblicazione delle Reprehensiones contra Marium Nizolium, completate da una Recusatio omnium eorum quae Nizolius in decisiones Maioragii, tamquam male positas, notavit, con cui il C. intendeva replicare all'altro scritto del Nizzoli comparso (probabilmente a Venezia) nel 1548, le Defensiones aliquot locorum Ciceronis... contra disquisitiones C. Calcagnini.
La stampa delle Reprehensiones fu assai travagliata. Finite di scrivere all'inizio del 1548, gli editori basilensi Oporino e Isengrino, stampatori di fiducia dei C., non furono subito disposti a pubblicarle, per non alimentare una polemica che coinvolgeva due dei migliori studiosi dell'epoca. Anche Bartolomeo Ricci, amico comune dei C. e del Nizzoli, espresse nella citata lettera dei gennaio 1548 a quest'ultimo il suo dispiacere per quella infausta polemica, e ancora nell'estate si proponeva di conciliare i contendenti (Epist., pp. 561-62). Alla fine, grazie all'intelligente mediazione di Francesco Ciceri, professore all'università di Milano e uomo di fiducia del C. (nella cui casa abitò dal 1548 al 1551), le Reprehensiones furono pubblicate senza il nome dello stampatore e con falsa data di Milano nell'ottobre 1549 (Pagani, Le polemiche, p. 653).
Il Nizzoli non raccolse l'ultima sfida e la polemica si esaurì da sola. li C. intanto attendeva con forte impegno ai suoi studi di retorica e filosofia, senza trascurare l'insegnamento universitario. Verso il 1550 compose due brevi trattati, che si inseriscono nel quadro dei dibattito cinquecentesco sull'estetica, il De arte poetica e il De eloquentia, pubblicati nel 1582 a Venezia con le Orationes et praefationes.
Nel primo si fa l'apologia della poesia e si respinge il bando platonico con argomenti di derivazione aristotelica (Poet., 1447, B1). La poesia deve avere una funzione educativa primaria, ripete tuttavia il C. con Platone: si possono trovare in ogni poeta le più sante massime, poiché poeti "buoni" sono anche uomini "buoni" e precettori di vita, e inoltre s. Agostino, s. Gerolamo, s. Ambrogio furono grandi lettori di poesia e citarono i poeti. A questo punto si inserisce bene la distinzione implicita nell'affermazione dei C., che la poesia è superflua o indesiderabile come mezzo per realizzare la giustizia relativamente all'ambito dello Stato platonico, osservazione, come nota il Weinberg (1961, p. 51), piuttosto rara nel Cinquecento. Il C., ritornando sull'argomento nelle Explanationosde arte rhetorical (Venetiis 1572), spiegherà il senso particolare in cui Platone usa "imitazione" per descrivere la rappresentazione di cose con parole (p. 347) e citerà lo Ione sulla divinità della poesia (p. 381). Queste osservazioni sono nel contesto di un commento ad Aristotele dove sono altresì frequenti i riferimenti ad Orazio, e dimostrano, nel complesso, la natura eciettica della posizione rappresentata dal C. nei confronti della teoria platonica. I principi esposti in questo trattato trovano applicazione pratica nelle "praelectiones" a Omero e Virgilio, visti dal C. come maestri, che insegnarono agli uomini ogni scienza, il primo valendosi dei miti, il secondo della sua incredibile erudizione e di uno stile incomparabile. Nel De eloquentia il C. difende la retorica, che è valutata come apportatrice di incivilimento materiale e morale, secondo una nota interpretazione isocrateo-ciceroniana (Weinberg, 1970, pp. 662-65). I due trattati gli valsero una lettera da parte di Annibal Caro "sovra i difetti dello scrivere", che fu pubbligata a Venezia nel 1561.
Che verso il 1550 il C. fosse elevato a qualche dignità ecclesiastica è un'ipotesi che il Tiraboschi (p. 1501) fa sulla scorta di una lettera di Andrea Camozzi a Francesco Ciceri (Marq. Gudii, p. 118). Il C. morì, ancora giovane, a Milano il 4 aprile del 1555, stremato, come dicono i suoi biografi, dall'intensità con cui egli aveva atteso alle ricerche erudite. Fu sepolto sotto il portico della basilica di S. Ambrogio in Milano. e una lapide mortuaria ancora ricorda i quattordici a i della sua attività accademica.
Dopo la sua morte furono pubblicate morte opere, rimaste inedite nelle sue carte o ricavate dalle sue lezioni universitarie, da cui si vede che il C. non si limitò alle indagini di pura crudizione, filologiche, filosofiche, antiquarie, alle traduzioni, commenti, parafrasi, ma si dedicò anche estemporaneamente alla poesia, sia in latino sia in volgare (Giraldi, p. 82). Disperse in codici, miscellanee, epistolari altrui, si leggono inoltre molte delle sue lettere. Un suo discendente, Adriano Conti, pubblicò a Milano nel 1656 una Vita di Marc'Antonio Maioraggio, utilizzando materiale inedito.
Fra le opere inedite del C. si ricordano: Milano, Bibl. Ambrosiana, A 114 inf.: "praefatio" alla Historia Mediolanensis di B. Arluno; Ibid., Bibl. Trivulziana, cod. 1141: lettere; Modena, Bibl. Estense, Est. Lat. 174: lettere a A. Musa Brasavola (1547); Est. Lat. 794: lettere (1550). Vedi inoltre: P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 279, 361, 382.
Oltre a quelle di cui si è tenuto conto nel corso della trattazione, bisogna ricordare le seguenti opere a stampa: Oratio in aleatores (scrittura legale), Mediolani 1541; Panegyricus Io. Angolo Arcimboldo Archiepiscopo Mediolanensi, ibid. 1550 (orazione tenuta in occasione dell'investitura dell'Aricimboldi ad arcivescovo di Milano: G. M. Mazzucchelli, Gli scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, p. 964 n. 1); Epistola ad I. Moronum Cardinalem, ibid. 1553; In duos Aristotelis libros de genatione et interitu paraphrasis, Basileae 1554; In quatuor Aristotelis libros de Coelo paraphrasis, ibid. 1554; Commentarius in dialogum seu librum primum de Oratore, ibid. 1552-1555 (dedicato al protofisico milanese Ambrogio Cavenaghi); 2 ediz., Venetiis 1587; Commentarius in Oratorem Ciceronis, Basileae (forse 1560); De senatu romano, Mediolani 1561 (l'epoca di stesura si ricava dalla prefazione-lettera a P. Conti, dat. 13 sett. 1549); Epistolicarum quaestionum libri II, ibid. 1563 (trenta saggi di varia letteratura, ad. esempio, sull'origine delle lacrime, sul senso di vergogna, sui nomi propri, su perché gli innamorati siano considerati pazzi: ogni lettera è indirizzata a un contemporaneo); Luti encomium et Magdalenae Comitis matris suae mortuae laudatio, ibid. 1566 (riedito Leyden 1623, '38, '44; Neumagen 1666, '76; trad. francese di C. F. X. Mercier, Eloge de la boue, Paris 1788); In tres Aristotelis libros de arte rhetorica, quos ipse Latinos fecit, explanationes, Venetiis 1571 (rist. Francofurti 1588). Le note del C. confluirono in altre edizioni, fino a quella di Cambridge del 1728. Stando a una insinuazione di Natale Conti (Myth., p. 959), il C. avrebbe approfittato dei lavori aristotelici di Pier Vettori; Orationes, praefationes et dialogus de eloquentia, Venetiis 1582; rist. Monasterii 1599; Lipsiae 1600, 1606; Coloniae Agrippinae 1614, '19; Lipsiae 1628, '31 con note di V. Hartung (da cui si cita); Commentarius in dialogum de partitione oratoria, Venetiis 1586-87; Dissertatio in qua plurimae vitiosae locutiones Gaudentii Merulae notantar, Ultraiecti 1664; Philochrysus sive de laudibus auri, Oratio apologetica contra G. Merulam, ibid. 1666; ristampato a Lubecca e Kiel nel 1690, e Amburgo nel 1698 (l'Oratio furipubblicata anche nelle Deliciae epistolicae di J. P. Kohl, pp. 310-352: il Merula aveva scritto un dialogo in cui il C. era accusato di aver disprezzato. Cicerone e Terenzio: Thorndike, p. 547); pref. a P. F. Spinola, Davidis Regis et Vatis Psalmi... latinis versibus expressi, Basileae 1558 (contiene epigrammi allo Spinola ed endecasillabi latini in lode della sua opera). Altre poesie latine del C., fra cui un elogio di G. Cardano, sono ricordate dall'Argelati, col. 842.
Fonti e Bibl.: Marquardi Gudii et doctorum ad eum epistolae, Ultraiecti 1697, pp. 118, 121-123, 127, 132-138 (lettera del Nizzoli al C.), 164, 166; J. P. Kohi, Deliciae epistolicae, Lipsiae 1731, pp. 1-96 (prefaz. del Kohl "de vita scriptisque Maioragii"), pp. I-XXXIV (epistola di E. Kapp "ad editorem", che dà una lista completa di tutte le opere dei C.); B. Ricci, Epistolae, II, Patavii 1747, pp. 561-62; F. Ciceri, Epistol. libri XII, Mediolani 1782, passim; G. L. Barni, Le lettere di A. Alciato giureconsulto, Firenze 1953, pp. 176-77, n. 110; L. G. Giraldi, De poetis nostrorum temporum, Lipsiae 1894, p. 82; P. F. Spinola, Opera, Epigr., II, Venetiis 1563, pp. 35, 54; C. Gesner, Bibl. initituta et collecta, Tiguri 1583, p. 546; N. Conti, Mythologiae libri decem, Francofurti 1584, pp. 959-960; G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, I, Venezia 1647, p. 164; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, pp. 409-411; P. Bayle, Dict. historique et critique, II, Roterodami 1715, pp. 921-023; A. M. Quirini, Specimen variae literaturae, II, Brixiae 1739, p. 257; J. P. Niceron, Mémoires pour servir à l'histoire des hommes illustres dans la Rèpublique des lettres avec un catal. raisonné de leurs ouvrages, XLI, Paris 1744, pp. 276-285; Ph. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 839-843 (s. v. Maioragius), coll. 838-39 (s. v. Adrianus M.); I. A. Sassi, Hist. literario-typographyca Mediolanensis, Mediolani 1745, pp. 51, XLVI-XLVII, CCCCXXII; O. Paltrinieri, Notizie intorno alla vita di primo dei Conte... a cui si aggiungono... il dialogo di M. A. Maioragio intitolato "Primus Comes, seu de eloquentia", Romae 1805; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VII, 2, Firenze 1812, pp. 1500-1503; Th. F. Dibdin, An introduction to the knowledge of rare and valuable editions of the Greek and Latin Classics, I, London 1827, p. 444;G. Corniani, Isecoli della lett. ital. dopo il suo Risorgimento, II, Torino 1855, pp. 507-508; A. F. Didot, Alde Manuce et l'hellénisme à Venise, Paris 1875, p. 4;G. Pagani, M. Nizzoli e il suo lessico ciceroniano, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, classe di scienze morali, s. 5, II (1893), pp. 561-62; Id., Le polemiche letterarie di M. Nizzoli, ibid., pp. 632-655; Id., M. Nizzolifilosofo, ibid., p. 718;F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s. d., p. 470; J. E. Sandys, A History of classical scholarship, II, Cambridge 1908, pp. 146-147;P. Paschini, Un umanista disgraziato nel Cinquecento: P. F. Spinola, in Nuovo Arch. veneto, s. 3, XXXVII (1919), pp. 69-75, 98, 100, 174-75; P. E. Viard, André Alciat, Paris 1926, pp. 101-106, 167-68; M. Maylender, Storia delle Accad. d'Italia, V, Bologna 1930, pp. 338-340;L. Thorndike, A History of magic and experimental Science, V, New York 1941, p. 547;G. Margiotta, Le origini ital. de la querelle des anciens et des modernes, Roma 1953, pp. 146-147; M. Nizolio, De veris principiis, a cura di Q. Breen, Roma 1956 (specialm. le pp. XV-XLIX); Q. Breen, The Antiparadoxon of Marcantonius Maioragius, in Studies in the Renaissance, V (1958), pp. 37-48; Id., Nizolius' Defensiones... contra Disquisitiones C. Calcagnini, in Rinascimento, VI (1955), pp. 195-208; G. Saitta, Ilpensiero ital. nell'Umanesimo e nel Rinascimento, II, Firenze 1961, pp. 495-96; B. Weinberg, A History of literary Criticism in the Italian Renaissance, I, London 1961, pp. 48, 51, 58, 267-69, 424-426; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1965, pp. 75-76; C. Vasoli, La dialettica e la retorica dell'Umanesima, Milano 1968, pp. 607-629; B. Weinberg; Trattati di poetica e retorica del 500, II, Bari 1970, pp. 129-139 (De arte Poetica, oratio XXIV, cc. 144-148 dell'ediz. veneta del 1582), 143-161 (De eloquentia, cc. 203-210 dell'ediz. veneta), 662-666 (commento); W. Moretti-R. Barilli, Il Cinquecento, Bari 1973, p. 511; M. E. Cosenza, Dict. of the Ital. Humanists, II, pp. 2081-2083.