MADDALENA, Antonio
Nacque ad Adria, presso Rovigo, il 1 marzo 1913 da Giovanni e da Vittoria Guarnieri. Conseguì la licenza liceale da privatista al ginnasio liceo Tito Livio di Padova; dopo un corso di studi brillante (cfr. Padova, Arch. dell'Università degli studi, Arch. del Novecento, Registri), il 22 giugno 1934 si laureò in lettere, con lode, presso l'ateneo della stessa città, discutendo una tesi dal titolo "La storiografia del III e del IV secolo. Ricerche".
Il relatore, A. Ferrabino, da cui ereditò oltre all'interesse per la storiografia la propensione alla meditazione religiosa (che conferì una particolare impronta ai suoi studi), e i docenti di letteratura latina e di letteratura greca e bizantina, C. Marchesi e M. Valgimigli, furono figure importanti nella sua formazione (cfr. M. Valgimigli, Poeti e filosofi di Grecia, in Atene e Roma, n.s., VIII [1964], pp. 19 s.).
Alla tesi di laurea sono legati i due primi contributi del M., sulla letteratura e la storiografia tardoimperiali: Per la definizione del "De mortibus persecutorum" (in Atti dell'Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, XCIV [1934-35], pp. 557-588) e Sulle fonti per la storia di Diocleziano e di Costantino (ibid., XCV [1935-36], pp. 247-275).
Nel primo, dopo una puntuale analisi delle fonti e del testo, il M. prende posizione in favore della paternità lattanziana del De mortibus persecutorum, tesi che ancora oggi rimane la più accreditata. Qui sono già presenti un interesse (la letteratura cristiana) e un tipo di studio (la questione dell'autenticità) che ritorneranno nei lavori successivi.
Il 21 nov. 1934 l'Università gli aveva conferito una borsa (rinnovata poi fino al 1937) per lavorare nella biblioteca della facoltà (Padova, Arch. dell'Univ. degli studi, Arch. del Novecento, Assistenti di ruolo-lettori). Il 16 dic. 1936 divenne titolare della cattedra di latino e greco nei licei; insegnò un anno a Ferrara, poi nel ginnasio liceo Antonio Canova di Treviso dove rimase cinque anni e dove, il 30 ag. 1937, sposò una giovane collega, Gonerilla (detta Gone) Capone, da cui ebbe due figli, Marcello e Caterina.
Alla moglie il M. dedicò molti dei suoi lavori, ricordandola sempre come amorevole compagna e importante interlocutrice nelle questioni scientifiche (cfr. la Prefazione a Sofocle, Torino 1959, p. VI), e con lei scrisse anche un manuale, La letteratura greca: storia e antologia (I-III, Bari 1960-62).
Durante la seconda guerra mondiale il M. fu trasferito a Venezia, poi nella sua città natale, dove fu anche preside (1946-47), quindi a Bologna (liceo Galvani).
Nelle classi liceali il M. trasmetteva ai ragazzi l'amore per la letteratura classica; gli allievi lo ricordano "rigoroso, ma giusto; filologo, ma non grammatico; erudito, ma non nozionista" e capace di usare al meglio la risorsa dell'ironia (Sartori, pp. 315 s.). All'apprendimento libresco contrapponeva una scuola "viva", che insegnasse a leggere nella cultura classica le gioie e i dolori dell'uomo di ogni tempo.
Già in questi anni il M. affiancava alla didattica la pubblicazione scientifica. Nel 1943 aveva ottenuto la libera docenza, che esercitò nell'Università di Padova, accanto a Valgimigli. Il 15 dic. 1951 fu nominato professore straordinario di letteratura greca presso la facoltà di lettere dell'Università di Cagliari, e il 1 novembre dell'anno successivo fu trasferito alla cattedra della medesima disciplina dell'Università di Torino; dal 1958 al 1972 (Torino, Arch. stor. dell'Univ. degli studi, fascicolo personale) fu anche incaricato dell'insegnamento di grammatica greca e latina. Il passaggio all'ordinariato avvenne il 15 dic. 1954. Dal 22 marzo 1954 fu socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino e, dal 10 maggio 1977, socio nazionale.
Nell'Università, negli anni delle agitazioni studentesche, il M. si schierò con coloro che vedevano nel movimento una minaccia eversiva e si dichiarò favorevole all'intervento della polizia in occasione delle prime proteste del 1967; nella facoltà prevalse invece un atteggiamento più tollerante (Rossi, p. 187).
Dopo la morte di A. Rostagni, avvenuta nel 1961, il M. entrò nel comitato direttivo della Rivista di filologia e di istruzione classica, e, dal 1967, ne divenne direttore responsabile.
In questo ruolo, che mantenne per tutta la vita, dimostrò acume letterario, presenza di spirito e capacità di cogliere, nell'argomentare altrui e proprio, "il più piccolo rischio di sconnessione" (Mariotti, pp. 6, 14). Per la Rivista svolse, fin dal 1939, anche un'intensa e prolifica attività di recensore (in essa apparvero 23 delle sue 24 recensioni). Il M. individuava i temi principali delle opere, ne misurava la "coerenza" e usava portare fino al paradosso alcune affermazioni degli autori per verificarne la correttezza. Analizzava le edizioni critiche in modo puntuale, discutendo le scelte testuali degli editori, talvolta proponendo lezioni che gli sembravano migliori, prendendo sempre le distanze sia dalla ricerca esagerata dell'emendamento sia dall'immotivato rifiuto di questo, nonché dai giudizi "strani o stranissimi" nati dal "pregiudizio" secondo il quale il poeta, diversamente dal filosofo, sarebbe ispirato solo dagli avvenimenti storici recenti e non dalla meditazione sull'eterno dramma umano (v. rec. all'Agamennone di Eschilo, a cura di J.D. Denniston - D. Page, Oxford 1957, in Riv. di filologia e di istruzione classica, LXXXVI [1958], pp. 74 s.). Il M. considerava la filologia e la storia discipline strettamente connesse, l'una subordinata all'altra (Sulla relazione tra filologia e storia, in Il Veltro, VI [1962], pp. 49-58).
La produzione scientifica, caratterizzata da nuclei di interesse ben individuabili, tutti (a eccezione dei primi due lavori ricordati) di ambito greco, è riconducibile sostanzialmente a due fasi: quella della letteratura classica (specificamente: filosofia, storiografia e tragedia) e quella del Nuovo Testamento (soprattutto il quarto Vangelo e le Lettere paoline), preparata dallo studio dell'Antico Testamento e di Filone Alessandrino, interprete platonizzante della tradizione ebraica.
Il M. si dedicò ai filosofi presocratici, nei contributi degli anni 1936-40, tra i quali Sulla cosmologia ionica da Talete a Eraclito (Padova 1940), e poi del 1954 (I pitagorici, Bari) e del 1963-64 (come Ionici: testimonianze e frammenti, Firenze 1963).
Della filosofia ionica diede un'interpretazione dualistica, individuandone il fondamento nell'antitesi più che nella ricerca del principio unico: Talete scoprì la pura antitesi (partendo non dall'acqua, ma dall'opposizione acqua-terra), approfondita da Anassimandro che individuò quella tra simultaneità e successione, e da Anassimene che teorizzò quella tra unità e variazione. Il M. distinse quanto agli ionici era stato attribuito da Aristotele da ciò che essi veramente avevano teorizzato, tenendo presente che, riferendo il loro pensiero attraverso il proprio punto di vista, "Aristotele non fa storia della filosofia" (Ionici, p. 6).
In ambito filosofico è da ricordare anche il volume dedicato alle Lettere tramandate nel corpus platonico (Bari 1948), che contiene, oltre alla traduzione, un'ampia appendice con la discussione sulla questione dell'autenticità: riprendendo la posizione di F. Ast e H.Th. Karsten, il M. sosteneva che le Lettere fossero tutte opera di un falsario, contrariamente a quanto affermava la filologia del suo secolo, e in particolare un illustre studioso come G. Pasquali che comunque, nonostante la diversità di vedute, non fece mancare al M. il suo contributo (cfr. Prefazione, p. VII).
Indipendentemente da quanto si ritenga convincente la tesi presentata (oggi sono generalmente considerate autentiche le lettere VI-VIII), si deve riconoscere il pregio dell'argomentazione logica e serrata, dell'analisi accurata dell'uso delle parole, valutate con criteri non statistici (p. 237) ma di senso: per stabilire l'autenticità è più importante il contesto in cui i termini sono inseriti che la loro ricorrenza (p. 242). Il falsario è tanto più difficile da individuare quanto più è abile nel raggiungere il suo intento (quello di assomigliare il più possibile a Platone rimanendo celato); l'affinità, quindi, sarebbe un segno non di autenticità, ma del suo contrario, come confermano le numerose contraddizioni interne. "Non platonico" è tutto ciò che risulta "strano", "incomprensibile", "incoerente" e "confuso" (termini frequenti nell'argomentazione del M.) dal punto di vista filosofico. L'obiettività della posizione del M. è però minata da un atteggiamento più da "avvocato difensore" che da "critico spassionato" nei confronti di Platone (Mariotti, p. 7).
Con un'altra questione di autenticità il M. si era cimentato anche a proposito dell'Elegia alle muse di Solone (in Riv. di filologia e di istruzione classica, LXX [1942], pp. 182-192; LXXI [1943], pp. 1-12), di cui riteneva autentici soltanto i primi 62 versi.
In tale valutazione non considerò, però, che la tecnica compositiva arcaica prevedeva spesso un ordine diverso da quello che un lettore moderno si aspetterebbe e che quindi l'apparente illogicità della concatenazione di idee non costituisce un buon criterio per stabilirne l'autenticità.
Il M. inaugurò lo studio della storiografia con i lavori erodotei dei primi anni Quaranta (tra cui L'aporia di Erodoto I 6 - I 14, in Atti dell'Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, C [1940-41], pp. 511-526; Interpretazioni erodotee, Padova 1942), per poi proseguire sul filone tucidideo (da ricordare l'edizione del I libro, Firenze 1951-52, in tre tomi, con traduzione e commento dettagliato, e Tempo ed eternità in Tucidide, in Riv. storica italiana, LXV [1953], pp. 5-18).
Nella concezione erodotea della storia il M. individua l'intreccio di sofferenza e mistero della vita umana, sottoposta a un destino irrazionale, e la costante ostilità degli dei, invidiosi e capricciosi; la consapevolezza di tale condizione è l'unica virtù possibile. Per Tucidide nella storia domina "la forza [(] e dunque l'ingiustizia"; l'impero di Atene, però, sebbene anch'esso fondato sulla forza, fu "creatore della massima utilità concessa all'uomo" perché esercitò la moderazione (Thucydidis Historiarum liber primus, a cura di A. Maddalena, Firenze 1952, I, p. LX), e fu solo "relativamente ingiusto", mentre la pace eterna e l'ordine perfetto sono impossibili nella storia (Tempo ed eternità in Tucidide, pp. 13-15); Tucidide riconosce la legge del più forte e quella del tempo, ma al di là di queste esiste l'intelligenza virtuosa, datrice di libertà e di gloria.
Attraverso lo studio dei testi antichi il M. cercava di comprendere non solo le dinamiche dei fatti e le sfumature dei personaggi narrati, ma anche le idee dei loro autori e il rapporto tra questi e la loro opera. Egli immagina, per esempio, quale potesse essere lo stato d'animo di Tucidide che aveva programmato di scrivere la storia della guerra del Peloponneso quando era convinto che Atene, secondo la legge del più forte, ne sarebbe uscita vincitrice, e doveva invece raccontarla all'indomani della sua sconfitta, registrando un fatto che produceva rilevanti conseguenze sulla propria concezione della storia: "era, è da credere, un dramma per Tucidide, dramma del sentimento e dramma del pensiero; [(] la sconfitta [(] sembrava invalidare la fiducia ragionevole, togliere senso alla ragione che valuta le forze [(] e crede di conoscere la legge della storia" (ibid., p. 6).
La propensione del M. all'approfondimento della psicologia dei personaggi emerge in particolar modo negli studi sulla tragedia, soprattutto di Eschilo e di Sofocle, pubblicati tra il 1951 e il 1965: articoli, quasi tutti - tranne due - apparsi nella rivista Filosofia, diretta dal cognato A. Guzzo; monografie, che talvolta raccolgono lavori precedenti, pubblicate a Torino nella collana delle edizioni della stessa rivista (Interpretazioni eschilee, del 1951 [rist. 1953], e Sofocle, del 1956 [poi in ed. ampliata, 1959]); traduzioni e commenti alle tragedie (per esempio di Sofocle: Elettra, Firenze 1960, e Tutte le tragedie, Milano 1973).
Le Interpretazioni eschilee pongono l'accento "sulla nota del dolore", sul quale è incentrata la poesia di Eschilo che "approfondendo l'indagine del dolore, scopre l'individuo" (ed. 1953, p. V), e presentano una fine analisi del modo in cui sono costruiti i personaggi; nella dinamica tra colpa / punizione divina / consapevolezza si rivela il paradosso della giustizia ingiusta, per cui "è colpa fare ed è colpa non fare" (p. 15). L'Orestea svela come dal dolore nasca la conoscenza e dalla conoscenza la pietà. Nella monografia dedicata a Sofocle il M. ripercorre le tragedie analizzando i temi portanti, le differenze tra l'una e l'altra (per es. il ruolo del sogno nelle Coefore e nell'Elettra) e descrivendo accuratamente i personaggi, che vivono il proprio dramma in contrasto con se stessi e con gli altri (si pensi ad Antigone, fin dall'inizio in opposizione a un'altra figura, la sorella Ismene, e, pur convinta delle proprie scelte, spesso in preda a sentimenti opposti): rispetto a Eschilo i personaggi sono più complessi, la tragedia più varia e "moderna".
Gli ultimi scritti, oltre a offrire contributi scientifici sul Nuovo Testamento, segnano il punto di arrivo del cammino personale e spirituale del Maddalena. Attraverso l'esegesi minuziosa di alcuni passi (Il prologo e la testimonianza del Battista nel IV Vangelo, in Memorie dell'Acc. delle scienze di Torino, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 4, XXXIII [1976], n. monografico) e dell'uso di alcune parole (come quella che indica la "grazia", (ΥϱιϚ, ibid., p. 65), egli penetra il testo, talvolta spingendosi fino al punto di immaginare, con un efficace espediente psicologico, il proseguimento degli avvenimenti narrati (è il caso del dialogo tra Gesù e Nicodemo: Per l'interpretazione di Ioh. 3, 10-12, in Riv. di filologia e di istruzione classica, CVI [1978], pp. 14-20).
Il M. coglie - con un'intensità tale da far pensare che ne abbia fatto diretta esperienza nella propria vita - il centro e la peculiarità del messaggio evangelico rispetto all'Antico Testamento: la via per raggiungere la salvezza non è l'obbedienza cieca, da sudditi impauriti, alla Legge, ma un'adesione piena e gioiosa, da figli, all'amore e alla grazia. L'uomo si riconosce veramente "figlio di Dio" quando scopre la legge dell'amore, che supera quella del dovere (La duplice testimonianza per i figli di Dio, in Forma futuri. Studi in onore del cardinale M. Pellegrino, Torino 1975, p. 3), quando sperimenta che la gioia non è conseguente all'opera buona, ma insita in essa (Il giorno della collera e del giudizio in Paolo, Rom. 2, 5-6, in Riv. di filologia e di istruzione classica, C [1972], p. 17), quando la libertà dalla paura del castigo conferisce autenticità a tutte le sue azioni (ibid., p. 8), e quando pronuncia il "sì [(] dell'accoglimento", in cui "si concentra la vita, si instaura la persona", e con cui accetta tutta la vita, compresa la morte che di quella fa parte: in cambio riceverà una vita e una gioia che la morte non distrugge (La duplice testimonianza, p. 6).
Il M. morì a Torino, il 4 giugno 1979.
Il desiderio di comprendere l'uomo e il suo rapporto con la sofferenza e con la divinità, che percorre tutta la produzione del M., ha forse determinato una certa parzialità nell'interpretazione dei testi (Mariotti, pp. 9 s.), talvolta anche qualche deformazione (come succede, per esempio, nella monografia dedicata a Filone, in cui il M. sovrappone impropriamente concetti cristiani a testi diversi, ellenistici: cfr. Lilla), perché funzionava da "filtro", oltre che da motore della ricerca. D'altra parte, proprio questo tipo di interesse, sostenuto costantemente da un metodo scientifico rigoroso, ha consentito al M. sia di produrre importanti contributi esegetici sia di ripercorrere la storia dell'umanità cogliendone gli interrogativi fondamentali e universali - ai quali egli trovò una risposta convincente nel cristianesimo -, di illustrare quanto i testi antichi possano ancora parlare all'uomo contemporaneo e di avere la sensibilità per affermare che lo scopo delle discipline umanistiche è quello "del cercare il vero perenne, del capire amando, dell'amare comprendendo" (cfr. Valgimigli, Poeti e filosofi di Grecia, cit., p. 28).
Fonti e Bibl.: La bibliografia delle opere del M. si trova in Memorie della Acc. delle scienze di Torino, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, IV (1980), pp. 339-345, e in Riv. di filologia e di istruzione classica, CVIII (1980), pp. 15-18, a cura di G. Bona (che è la più completa: da aggiungere solo una recensione del 1955 e un lavoro postumo apparso ibid., CXI [1983], p. 246).
Padova, Archivio dell'Univ. degli studi, Arch. del Novecento, Registri della carriera scolastica della facoltà di lettere e filosofia, reg. 8, p. 90; Verbali di laurea della facoltà di lettere e filosofia, vol. 1934; Assistenti di ruolo-lettori, b. 11, f. 392: Maddalena Antonio; Torino, Arch. stor. dell'Univ. degli studi, f. personale Antonio Maddalena; Annuario dell'Università degli studi di Torino, 1976-77, 1977-78, 1978-79, Torino 1981, p. 7. Commemorazioni che illustrano vari aspetti della personalità del M. si trovano in Memorie della Acc. delle scienze di Torino, s. 5, IV (1980), pp. 311 s., 337 (S. Romano); p. 313 (A. Guzzo); pp. 315-322 (F. Sartori); pp. 323-328 (E. Corsini); pp. 329-335 (L. Pareyson); e in Riv. di filologia e di istruzione classica, CVIII (1980), pp. 5-14 (S. Mariotti); pp. 19-29 (G. Bona). Inoltre: S. Lilla, rec. ad A. Maddalena., Filone Alessandrino, Milano 1970, in Ann. della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 3, III (1973), pp. 1163-1166; P. Rossi, Dal Quarantacinque al Sessantotto, in Storia della facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Torino, a cura di I. Lanza, Torino 2000, pp. 170, 176-180, 182 n., 185, 187 s.; G.F. Gianotti, Gli studi classici, ibid., pp. 248, 251 s., 254.