LOTTI, Antonio
Figlio di Matteo e di Marina Gasparin, nacque a Venezia il 5 genn. 1667, nella parrocchia di S. Marina, dove fu battezzato venti giorni più tardi con il nome di Antonio Pasqualin.
Il padre era "sonador" (A. L., maestro di cappella, p. 3) e successivamente si trasferì a Hannover, dove fu maestro di cappella. Lì nacquero, nel 1672, il secondo figlio, Francesco, che in seguito ricoprì a Venezia la prestigiosa carica di "ragionato dell'eccellentissimo collegio [ducale]" (Arch. di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 205) e la figlia Maria Melusina, andata sposa a un maestro di cappella della stessa Hannover.
Forse in seguito al trasferimento della famiglia ad Hannover, il L. trovò accoglienza presso i Gradenigo, appartenenti al patriziato veneziano, e fu da loro "allevato come creatura" (Over, p. 23); nel 1717 compose le musiche per la solenne monacazione della figlia di un Gradenigo, presso la chiesa della Celestia.
La formazione musicale del L. passò attraverso G. Legrenzi, all'inizio degli anni Ottanta vicemaestro della Cappella ducale nonché affermato compositore teatrale (il L. stesso lo definisce suo maestro: Letters, p. 11). I rapporti con la famiglia Gradenigo e il maestro Legrenzi consentirono al L. di trovare presto spazio nella vita musicale veneziana: dapprima cantore straordinario alla festa di S. Cecilia organizzata nel novembre 1687 dall'omonima Confraternita, poi, a fine maggio 1689, regolarmente assunto "per servir di contralto nella Cappella della Ducale di San Marco" con uno stipendio di 100 ducati annui (Passadore - Rossi, I, p. 296).
Il L. perfezionò la sua formazione musicale con L. Fuga, maestro di contrappunto dei cantori marciani: alla morte di Fuga, nel 1722, il L. ereditò un "cembalo stimato di Domenico da Pesaro", qualche partitura e "libri di teorica e pratica di musica" (Vio, pp. 553-555).
Nel 1690, per far fronte alle assenze prolungate o ai viaggi di lavoro degli organisti titolari, in via del tutto straordinaria furono assegnati al L. altri 30 ducati per supplire come organista ("il che resti praticato per questa volta solamente, havendo riguardo all'abilità del medesimo": Passadore - Rossi, I, p. 299). Il 31 maggio 1692 fu nominato secondo organista in sostituzione di C.F. Pollarolo; l'incarico implicava anche la fornitura di nuove composizioni per la Cappella ducale, come attesta un pagamento dell'aprile 1698 di 50 ducati da parte dei Procuratori di S. Marco per "una messa à capella, [(] opera [(] degna del pubblico aggradimento" (ibid., p. 304). Il 12 giugno 1693 e il 6 apr. 1699 il L. ricevette invece un pagamento suppletivo per aver suonato la spinetta durante la settimana santa.
La carriera teatrale del L. si inaugurò sulle scene del teatro veneziano di S. Angelo nel 1693 con Il trionfo dell'innocenza ("giovinetto [(] che tutto modestia comparisce con le sue virtuose primizie" - recita la prefazione al libretto di R. Cialli), seguita poi dal dramma pastorale di A. Zeno Tirsi (1697), scritto in collaborazione con A. Caldara e A. Ariosti. I legami personali con gli esponenti dell'aristocrazia veneziana ("godette protezione e favore" di "molte distinte magnatizie famiglie", Caffi, 1987, p. 266) gli diedero numerose occasioni per comporre, come attesta il nutrito corpus di cantate da camera e un più contenuto numero di composizioni strumentali.
Nel marzo 1700 gli fu confermata la carica di maestro di cappella, tenuta dal 1695, presso la Scuola dello Spirito Santo, con un salario di 80 ducati che doveva servire per "l'impiego di quelle voci et istrumenti, che proportionalmente potranno entrarvi a misura della spesa" (A. L., maestro di cappella, p. 5). Dal 1701 il L. estese il suo impegno compositivo al genere oratoriale, che trovava spazio nei quattro ospedali veneziani, importanti istituzioni sorte con intenzioni caritatevoli ma resesi famose a livello europeo per l'eccellenza delle performances musicali affidate alle sole voci femminili. Nessun documento attesta un incarico ufficiale presso tali istituzioni. Caffi attribuisce al L. un oratorio in volgare su libretto del nobiluomo Z. Vallaresso, Gioas re di Giuda, e ancora l'oratorio a tre voci Giuditta, scritto nel 1701 ed espressamente dedicato a P. Vallaresso, vescovo di Concordia (Caffi, 1987, p. 265). Certa è invece l'esecuzione, nell'autunno del 1702 presso l'ospedale degli Incurabili, dell'oratorio S. Romualdo, lavoro ripreso l'anno seguente a Roma (dedica dell'ambasciatore veneziano Giovanni Francesco Morosini a papa Clemente XI). Nell'agosto del 1704, a pochi mesi dalla scomparsa del titolare G. Spada, i Procuratori di S. Marco accolsero quasi all'unanimità la richiesta del L. di essere nominato primo organista. Dello stesso titolo si fregiò l'anno seguente, affidando all'editore Antonio Bortoli la stampa di una raccolta di musica vocale da camera (Duetti, terzetti e madrigali), dedicata all'imperatore Giuseppe I e destinata per un paio di decenni e oltre a suscitare controversie e pamphlets relativi alla paternità di quelle musiche.
I brani della raccolta erano stati composti in precedenza per essere inviati al predecessore di Giuseppe, Leopoldo d'Asburgo, attraverso la mediazione del veneziano Marc'Antonio Ziani, vice Kapellmeister a Vienna: lo attesta un manoscritto con dedica del 30 ag. 1703 che raccoglie gran parte delle composizioni confluite nella stampa del 1705 (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Musiksammlung, 18776). La silloge - dedicata all'imperatore Leop0ldo, raffinato intenditore di musica e compositore -, si presenta come saggio di stili e modi compositivi differenti: vi si allineano scritture affini alla vocalità briosa della cantata contemporanea (Incostanza femminile, per esempio) e altre attinte dalla tradizione del contrappunto osservato di gusto madrigalistico, in cui si avvertono i tratti distintivi dell'armonia audace, caratteristica precipua della scrittura del L. (La vita caduca, noto anche dall'incipit "In una siepe ombrosa"). Proprio sulla scrittura armonica si riversarono gli strali polemici di un anonimo "Accademico Filarmonico", ben presto identificato nel "nobile dilettante" veneziano Benedetto Marcello, mentre altri compositori si assunsero l'onere di proporre precise correzioni alla partitura del Lotti.
Tale interesse garantì tuttavia a quel madrigale una straordinaria fama; a Londra, dove ne giunse anni più tardi una copia anonima, fu eseguito presso la prestigiosa Academy of ancient musick, luogo di culto della tradizione polifonica vocale. In quell'occasione il compositore G. Bononcini lo fece passare come una sua creazione. Quando nel 1731, sempre a Londra, si tenne un concerto con musiche tratte dalla raccolta del L., la coincidenza apparve palese, ed esplose un vero scandalo. Bononcini accusò di plagio l'ormai anziano maestro, allora di stanza a Venezia, che dovette scomodare i più autorevoli colleghi viennesi per dimostrare la paternità del brano: il tutto si svolse attraverso uno scambio di lettere riunite e date alle stampe sempre a Londra l'anno seguente. Ancor prima di Bononcini, anche A. Vivaldi aveva saccheggiato la raccolta del L.: la sezione conclusiva del madrigale Moralità di una perla era stata utilizzata per l'ouverture della serenata La Senna festeggiante RV.693, mentre la sezione d'apertura del terzetto Inganni dell'umanità, astutamente trattata, era servita per il Gloria Patri del salmo Dixit Dominus RV.595. Nel 1775, questa volta con intento elogiativo, padre G.B. Martini scelse dalla stessa silloge il terzetto Tant'è ver che nel verno come modello di contrappunto da inserire nel suo Esemplare, ossia Saggio fondamentale.
Il L. mantenne la carica di primo organista per oltre trent'anni, durante i quali la sua produzione seguì le regole del servizio ufficiale: ecclesiastico da un lato e teatrale dall'altro. Tra il 1706 e il 1715 disegnò la sua carriera sui palcoscenici veneziani, affrontando differenti tipologie drammatiche che includono la tragedia in musica di soggetto storico, lo scherzo comico pastorale, l'intermezzo buffo.
Una produzione costante, condotta al ritmo di uno, due titoli l'anno (cfr. The New Grove Dict., p. 212); dapprima al teatro S. Cassiano, dove si avvalse ancora del librettista P. Pariati per Sidonio e poi del più celebre A. Zeno per Teuzzone. La successiva tappa si realizzò presso il prestigioso teatro di S. Giovanni Grisostomo, dove il L. collaborò con i librettisti F. Briani (Il vincitor generoso, Isacio tiranno), F. de Lemene (La ninfa Apollo, affiancato da G. Gasparini), A. Piovene (Porsena, Polidoro, titolo dato al teatro di Ss. Giovanni e Paolo), A.M. Lucchini (Foca superbo) e soprattutto F. Silvani, uno specialista del genere pastorale (Ama più chi men si crede, Il comando non inteso et ubbidito, Il tradimento traditor di se stesso, La forza del sangue, L'infedeltà punita, Irene augusta).
Sulle scene veneziane, dove vestì i panni di Argene in Sidonio, il L. incontrò la cantante Santa Stella, poi divenuta sua moglie. Nel 1716 musicò un altro libretto di Pariati, Ciro in Babilonia, andato in scena a Reggio nell'Emilia, città natale del librettista. Prima di chiudere definitivamente la stagione veneziana con Alessandro Severo nel gennaio 1717, il L. debuttò a Vienna con Costantino, su testo scritto in collaborazione da Zeno e Pariati. Quest'ultimo aveva esordito a Vienna nel 1712 - dopo la successione di Carlo VI al fratello Giuseppe - con l'oratorio Il voto crudele, messo in musica dal L., che nello stesso anno aveva fatto eseguire un oratorio su testo latino, Triumphus fidei, presso l'ospedale degli Incurabili. Nell'ambito della collaborazione con il neopoeta cesareo seguì un altro oratorio, L'Umiltà coronata in Ester, dato a Vienna probabilmente nel 1714 e ripreso sette anni più tardi. Il L. aggiunse un ultimo oratorio al suo catalogo: Il ritorno di Tobia, su testo di G. Melani, presentato nel 1723 a Bologna, nella chiesa dei padri filippini.
Della produzione oratoriale sopravvivono solo le due partiture destinate alla corte viennese. Il voto crudele rivela l'adesione a uno stile melodico semplice, con poche fioriture nelle parti vocali e raro impiego della forma dell'aria con il da capo. Diversamente, L'Umiltà coronata (in facsimile, ed. Ricordi) si dimostra lavoro più ambizioso e di maggiori proporzioni, con generoso impiego di arie con il da capo e momenti di forte pregnanza melodica, come il duetto tra Ester e Assuero nella seconda parte (cfr. D. Arnold - E. Arnold, pp. 28 s.).
Nei primi due decenni del Settecento il L. lavorò occasionalmente presso altre chiese e monasteri veneziani: nel 1704 fornì musica "solenne" alle monache della Celestia per la festa dell'Assunzione e per i funerali dei "serenissimi fratelli Priuli"; nel 1710 fu inquisito dai Provveditori sopra i monasteri per un vespro durato troppo a lungo nell'oratorio annesso alla chiesa di S. Lorenzo; l'anno seguente scrisse musica per le monache di S. Zaccaria (esecuzione con "li musici più esquisiti" e "maestoso apparato"), nonché messa e vespri con "rito pontificale" per i monaci cassinensi dell'isola di S. Giorgio (Selfridge-Field, 1985, passim). Il 12 febbr. 1714 il L. sposò Santa Stella, già maritata Scarabelli, la quale aveva una figlia naturale (Lucrezia Maria Basadonna) e una dote considerevole, pari a 18.600 ducati. Abitarono in calle dei Fabbri, nella parrocchia di S. Geminiano; dal testamento della cantante si evince che i coniugi Lotti avevano anche una villa per la villeggiatura a Stra, dove disponevano di due clavicembali.
In quegli anni il L. lasciò due volte Venezia: nel giugno del 1711 si recò a Novara per far eseguire (con un'orchestra di oltre trenta strumentisti di provenienza milanese) alcune sue composizioni sacre e qualche anno dopo si trasferì a Dresda. Tra la primavera del 1716 e l'autunno 1717 il principe elettore Federico Augusto di Sassonia aveva soggiornato a Venezia e avanzato richiesta ai Procuratori di S. Marco di reclutare alcuni musici marciani, compreso il primo organista L., per realizzare la successiva stagione teatrale a Dresda: in progetto la costruzione di un nuovo edificio, affidato all'architetto veneziano A. Mauro.
Il permesso per il soggiorno a Dresda fu accordato al L. il 22 luglio 1717: doveva valere per un solo anno, ma alla fine del 1718 - il teatro non era stato ancora ultimato - fu rinnovato per altri dodici mesi. Oltre alla Stella, al basso marciano G. Broschi e al violoncellista G. Persanelli partirono per Dresda anche il celebre castrato F. Bernardi detto Senesino, il violinista F. Veracini e il poeta di teatro A.M. Lucchini. In collaborazione con quest'ultimo il L. realizzò Giove in Argo e Ascanio, ovvero Gli odi delusi dal sangue, mentre si avvalse del librettista S.B. Pallavicino per Teofane, andato in scena con grande sfarzo il 15 sett. 1719 sulle scene del nuovissimo Opernhaus, in occasione del matrimonio tra il principe elettore di Sassonia e l'arciduchessa Maria Gioseffa d'Austria. G.F. Händel, che aveva incontrato il L. a Venezia nel 1708, fu probabilmente presente all'evento e portò a Londra la stessa compagnia di cantanti per interpretare il suo Ottone, rimaneggiato sullo stesso libretto.
La produzione teatrale del L. segue i modelli della tradizione veneziana coeva, che vede per l'opera seria la presenza di decine di arie col da capo (34 in Teofane, più due duetti e grande scena allegorica con balletto per la chiusa di ognuno dei tre atti). L'interesse compositivo del L. è riservato soprattutto alla conduzione melodica e alla scrittura vocale, senza particolari spunti dialettici con l'orchestra. Per essa si constatano soluzioni timbriche differenti nel passaggio da una partitura all'altra. In base alle fonti, si nota una maggior sobrietà strumentale nei lavori presentati sulle scene veneziane (archi, basso continuo, un paio d'oboi e trombe), mentre le partiture di Dresda, nate in condizioni produttive diverse, presentano l'impiego di strumenti anche con funzione solistica (in Teofane, per esempio, anche arciliuto e mandolino).
Dopo il soggiorno a Dresda, il L. lasciò definitivamente la produzione teatrale e concentrò la sua attività compositiva quasi interamente in ambito chiesastico; si dedicò alla prassi delle composizioni a cappella, ovvero per sole voci, aggiornando con uso sapiente e audace dell'armonia schemi formali e tecniche di scrittura che appartenevano alla tradizione marciana (pagine di recitazione accordale, uso dei cori in alternatim, trame contrappuntistiche fitte). Tale impegno compositivo era in parte derivato dal rituale marciano, che restringeva lo spazio delle performances concertate, assegnando un valore segnaletico (presenza del doge) proprio all'esecuzione della messa a cappella. Le composizioni del L. si sono mantenute a lungo nel repertorio marciano: poté ascoltarle Ch. Burney di passaggio a Venezia nel 1770, ma ancora nel 1904 erano eseguite sotto la direzione di L. Perosi.
Nel marzo 1732 il L. si fece sostituire nell'incarico marciano dall'allievo G. Saratelli, mentre l'anno seguente concorse invano al ballottaggio per la carica di maestro, conferitagli invece nell'aprile 1736: ebbe un salario di 400 ducati e la possibilità di abitare nella casa canonica, situata vicino alla basilica. Nel 1733 si fece notare per la composizione del salmo Miserere previsto per la liturgia della settimana santa e mantenutosi in repertorio marciano per tutto il secolo e oltre. Nel 1736, fresco di nomina alla massima carica della Cappella marciana, compose invece un madrigale a quattro voci su testo di Z. Vallaresso, Spirto di Dio, ch'essendo il Mondo infante, che accompagnò lo sposalizio del doge con il mare, antico rituale laico previsto per la festa dell'Ascensione: il madrigale fu replicato ogni anno fino alla caduta della Serenissima.
La fama di queste due composizioni sopravvisse al L., che morì a Venezia il 5 genn. 1740.
I musicisti ducali celebrarono le esequie del loro maestro alcune settimane più tardi presso la chiesa di S. Salvatore. Su precisa indicazione testamentaria del L., una "messa da morto a cappella" di sua composizione venne intonata ogni anno dagli stessi cantori marciani presso la chiesa di S. Geminiano. Nel 1759, sotto una lapide comune, fu lì sepolta anche la moglie.
Oltre alle composizioni teatrali e oratoriali sopra citate e alla celebre raccolta a stampa del 1705, il catalogo del L. (The New Grove, pp. 212 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, coll. 503-507) annovera una nutrita produzione di musica da chiesa, sia per organici a cappella, sia per voci ed orchestra (diverse decine di messe, alcune messe da Requiem, Missae breves, singole parti dell'Ordinarium Missae - tra cui i celebri Crucifixus -, salmi e antifone per la liturgia delle ore), oltre a composizioni profane (duetti e terzetti, cantate e arie solistiche) e lavori strumentali (sonate, trii, quartetti, sinfonie). La circolazione di queste musiche (principalmente le cantate e le musiche sacre a cappella) è testimoniata dal considerevole numero di copie manoscritte presenti in biblioteche italiane e straniere.
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