LOCATELLI, Antonio
Figlio di Samuele e Anna Gelfi, nacque a Bergamo il 19 apr. 1895. Dalla famiglia, di condizioni economiche modeste, fu avviato agli studi tecnici e dal 1908 frequentò la sezione elettro-meccanica dell'istituto industriale di Bergamo, diplomandosi nel 1913. Assunto all'Ansaldo di Cornigliano Ligure, nei brevi mesi di permanenza in fabbrica come capotecnico, ebbe modo di farsi notare e di venire promosso.
Il soggiorno genovese gli permise di continuare a praticare l'alpinismo, sport che aveva iniziato da ragazzo, scalando insieme con il fratello Carlo le pareti dell'Adamello, del monte Rosa e del Cervino. Questa passione lo accompagnò per tutta la vita e alla fine degli anni Venti fu nominato presidente del Club alpino italiano (CAI) di Bergamo.
Nel gennaio 1915 fu chiamato alle armi e assegnato al battaglione "Aviatori", che faceva allora parte dell'arma del genio, al campo-scuola della Malpensa, ottenendo il brevetto di pilota. In zona di guerra sin dall'inizio del conflitto, il L. fu promosso caporale e poi sergente, sottotenente del genio dal 2 marzo 1916 e tenente dal 2 dicembre dello stesso anno.
Durante la guerra volò su tutto il fronte, inizialmente su aerei da ricognizione, poi su aerei da caccia e da bombardamento compiendo, in totale, 523 voli di guerra. Per la sua partecipazione al conflitto fu insignito di una medaglia d'oro e tre d'argento al valore militare e della croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia. Tra le sue gesta più notevoli le ricognizioni, in solitaria, sui cantieri Zeppelin di Friedrichshafen, in Germania, su Zagabria e il volo su Vienna il 9 luglio 1918, con il suo velivolo schierato accanto a quello di G. D'Annunzio. Le foto più conosciute di questo volo furono scattate proprio dal Locatelli.
Il 15 sett. 1918, mentre disegnava uno schizzo di Fiume, venne ferito dalla contraerea e costretto a un atterraggio di fortuna. Dato fuoco al velivolo cercò di sottrarsi alla prigionia ma, con una gamba malridotta, fu catturato e trasferito al campo di concentramento di Sigmundsherberg. Di qui evase dopo un mese, vestito da soldato austriaco e con falsi documenti: ripreso per due volte dagli Austriaci, in Trentino, riuscì nuovamente a fuggire e il 4 novembre raggiunse le punte avanzate delle colonne italiane. Questa fase della sua vita fu narrata dallo stesso L. nel volume Le ali del prigioniero (Milano 1924) venduto in oltre 9000 copie.
Nel 1919 il L. fece parte di una missione aeronautica inviata in Sudamerica per promuovere l'industria aerea italiana. Qui, benché si fosse nel pieno dell'inverno australe, decise di tentare la traversata aerea della Cordigliera delle Ande, impresa mai realizzata.
Con un aereo monoposto SVA decollò una prima volta il 27 luglio alla volta del Cile, ma nonostante si fosse portato ad oltre 6000 m di quota, le condizioni climatiche lo costrinsero a rientrare a Mendoza. Ritentò l'impresa tre giorni dopo e questa volta, a onta delle avversità atmosferiche, riuscì a superare la barriera montuosa, raggiungendo Valparaíso. Il 5 ag. 1919 fece ritorno, superando ancora una volta le Ande e atterrò all'aeroporto El Palomar di Buenos Aires, dopo sette ore e mezzo di volo. Entrambi i voli furono celebrati dall'opinione pubblica sudamericana e il L. venne nominato "pilota militare" argentino.
Rientrato in Italia in dicembre il L. fu destinato a Roma, al campo di Centocelle. Congedato nel marzo 1920, aderì al fascismo, organizzando con G. Suardo le squadre d'azione nel Bergamasco. A fine anno cercò di raggiungere D'Annunzio a Fiume con un aereo, ma, costretto ad atterrare nell'isola di Veglia, raggiunse la città solo al termine degli scontri. Tornò quindi a Bergamo, dove rimase fino al momento della marcia su Roma. Poi, improvvisamente, nel gennaio 1923, si imbarcò e viaggiò per nove mesi in Egitto, in India (dove compì scalate sull'Himalaya), in Cina e Giappone, con un'ascensione sul Fujiyama, rientrando in Italia dagli Stati Uniti.
Dal viaggio il L. riportò un gran numero di disegni e di foto, alcune centinaia delle quali sono conservate presso la Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo.
Al ritorno il L. fu candidato nelle liste fasciste per i collegi di Milano e Bergamo, riuscendo eletto in entrambi (e optando, poi, per il collegio di Bergamo), ma utilizzò il primo anno della legislatura, il 1924, in gran parte per tentare una nuova impresa, la traversata dell'Atlantico del Nord da est a ovest.
Dopo contatti infruttuosi con R. Amundsen, il L. scelse la rotta dall'Islanda alla Groenlandia, volando con un idrovolante bimotore Dornier-Wal in alluminio. Da Pisa raggiunse Reykjavik, dove trovò due aerei americani che si apprestavano a realizzare la medesima impresa, avvalendosi, a differenza del L., di mezzi navali per il soccorso e l'assistenza. Partito insieme con gli americani, il L. si diresse verso la Groenlandia ma, giunto in vicinanza della costa, incappò in un esteso fronte di fitta nebbia, cosicché preferì ammarare. Egli contava di ripartire una volta migliorate le condizioni meteorologiche, ma il mare, ingrossatosi, lo costrinse a restare con l'aereo in acqua per tre giorni e quattro notti, tenendo i motori accesi al minimo per non essere affondato dai marosi, finché non fu tratto in salvo con l'equipaggio da una nave americana richiamata dai segnali luminosi. Il tentativo fu comunque lodato e ricompensato con un premio di 65.000 lire che il L. nobilmente devolse per intero a opere di beneficenza della sua città.
Devoto a Mussolini ma poco disposto a rinunciare alle proprie convinzioni in materia di politica aeronautica, nel maggio 1926 avanzò dure critiche alla gestione dell'Arma aerea, che rinnovò in una lettera del giugno successivo indirizzata ai piloti in congedo, riuniti a congresso: la linea di volo risultava invecchiata e insufficiente, i piloti scarseggiavano e ciò, a suo dire, per incapacità dei vertici dell'Aeronautica. Il sottosegretario di Stato per l'Aeronautica, generale A. Bonzani, si dichiarò offeso per la lettera: ne nacque una vertenza d'onore, subito rientrata per la precisazione del L. di non aver inteso attaccare personalmente Bonzani. Le stesse critiche egli ribadì comunque in un telegramma indirizzato al direttore de La Tribuna, in occasione dell'anniversario del suo volo su Vienna.
Nel frattempo il L. cercò di mettere a frutto le sue competenze tecniche prendendo contatti con le compagnie di navigazione aerea sorte in quel periodo. Egli prestò la sua attività nell'Aereo espresso italiana (AEI), concessionaria della linea Brindisi-Atene-Costantinopoli, sovvenzionata dal governo ma che versava in cattive acque, dapprima come presidente del consiglio di amministrazione e subito dopo, per incompatibilità con la carica di deputato, come direttore per la riorganizzazione e la sovraintendenza dei servizi tecnici. Il 17 ag. 1927 fu però licenziato in tronco per "atteggiamenti di opposizione contro le alte autorità aeronautiche in contrasto con i programmi della Società" (Balbo a Mussolini, in Roma, Arch. centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, lettera del 7 maggio 1931). In realtà fu proprio il ministero dell'Aeronautica, guidato da I. Balbo, che, dopo averlo inizialmente sostenuto come proprio rappresentante ufficioso in seno alla società, decise di revocargli la fiducia per "indisciplina" alle direttive governative. Il L. reagì al licenziamento intentando causa alla società; anche le altre società aeronautiche interruppero i rapporti con il L., la cui posizione peggiorò in seguito alla pubblicazione della sua lettera di critiche del 1926 nel giornale della Concentrazione antifascista di Parigi, La Libertà (22 genn. 1928).
I rapporti con l'Aeronautica continuarono a essere tesi, come dimostrò il rifiuto oppostogli, nel maggio 1928, alla richiesta di partecipare alle ricerche di U. Nobile e del suo equipaggio. Tali vicende influirono sulla carriera parlamentare del L., che nel 1929 non fu riproposto come candidato, nonostante l'appoggio di Suardo e di A. Finzi.
Gli anni successivi, vissuti tra Roma e Bergamo, furono difficili sotto il profilo economico e per la carriera, ma fruttuosi per le inclinazioni artistiche del L., con la partecipazione a mostre e a esposizioni di grafica e di pittura.
La sua dirittura morale e il comportamento corretto vennero poco alla volta riconosciuti e l'Aeronautica, dopo un breve richiamo in servizio nel 1932, lo promosse maggiore per merito straordinario il 17 maggio 1935. Ci fu anche un ritorno alla vita politica con la nomina a podestà di Bergamo il 27 nov. 1933.
Nel breve periodo in cui fu a capo dell'amministrazione locale contribuì all'ammodernamento della città, con realizzazioni edilizie e soprattutto con un progetto di risanamento di Bergamo alta per il quale riuscì a ottenere un finanziamento bancario. Il progetto probabilmente metteva in pericolo cospicui interessi in campo immobiliare e ciò non fu estraneo alle sue dimissioni nel dicembre 1934, ufficialmente motivate con l'impossibilità di conservare la carica di podestà a causa della legge sul celibato.
Scoppiata la guerra italo-etiopica, il L. chiese di partire volontario. La sua domanda fu accolta il 7 genn. 1936 e il L. partì per la Somalia, dove fu alla guida di mezzi da ricognizione e da bombardamento. La sua impresa aerea più rilevante fu il primo volo di collegamento tra il fronte somalo e quello eritreo, da Gorrahei alla Dancalia. La presa di Addis Abeba e la proclamazione dell'impero non rappresentarono la fine delle ostilità, tanto più che la stagione delle grandi piogge rendeva difficili gli spostamenti a lungo raggio. Anche per questo fu deciso l'impiego del mezzo aereo per una missione il cui aspetto politico sovrastava quello propriamente militare.
Si trattava di atterrare a Lechemti, nell'estremo ovest etiopico, per accettare la sottomissione di un capo galla locale e per preparare una base adatta per ulteriori avio-sbarchi, così da poter procedere verso la vicina località di Gore, dov'era stato lasciato dal negus un governo etiopico provvisorio. Il L. prese parte alla spedizione che, con tre velivoli, atterrò presso Lechemti il 26 giugno 1936: qui il contatto con il capo galla tardò a verificarsi e nella notte i cadetti etiopici della scuola militare di Oletta, che si erano rifugiati a Gore, attaccarono i tre velivoli.
Quasi tutti i componenti della missione furono uccisi e tra questi il L., che morì il 27 giugno 1936.
L'impressione in Italia fu notevole, particolarmente per la morte del L.: in agosto gli fu conferita una seconda medaglia d'oro al valor militare; l'anno successivo, con decreto del 15 marzo, gli fu conferita per il suo comportamento nell'intero corso del conflitto, una terza medaglia d'oro, caso unico nella storia delle forze armate italiane.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, 1924, 13-1-2529; 1931-33, 1-1-8-3-1371 (lettera di Balbo a Mussolini); Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, 548-309; Carteggio riservato, 87; Ibid., Arch. dell'Ufficio storico dello stato maggiore dell'Aeronautica, Emeroteca, 259; Medaglie d'oro, 144; A. L., a cura di N. Galimberti, Bergamo 1937; E. Fabietti, Vita eroica di A. L., Milano 1938; I. Mencarelli, A. L. (19-4-1895/27-6-1936), Roma 1970; A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. La caduta dell'Impero, Roma-Bari 1982, pp. 30, 32; C.D. Bianchi, 1924: A. L. sull'Atlantico Nord, Bergamo 1999.