LANDO, Antonio
Nacque a Venezia il 9 sett. 1553, terzogenito del patrizio Gerolamo di Francesco e di Marina Erizzo di Antonio. Iscritto all'avogaria di Comun il 27 settembre successivo, con il secondo nome di Bartolomeo, ebbe sei fratelli (Piero, Francesco, Giovanni, Marco, Sebastiano e Vitale) attivamente impegnati nella vita politica veneziana.
Nel 1586 sposò, nella chiesa di S. Maria delle Grazie, Caterina Contarini di Bertucci, dalla quale ebbe un figlio, Gerolamo, e una figlia, che andò poi in sposa al procuratore Giovanni Nani. In seconde nozze, il 16 sett. 1593 nella medesima chiesa sposò Maria Bragadin di Nicolò, vedova di Antonio Bollani e Agostino Moro, da cui ebbe Piero (morto alla nascita), Francesco (1597-1646) e Agostino (1601-30).
Affinché si addestrasse alla vita navale fu affidato, appena diciottenne, al cugino di secondo grado Marcantonio Lando, con cui partecipò alla spedizione contro i Turchi, durante la quale rimase ferito nella battaglia presso Curzola (1571).
Il 3 luglio 1583 fu eletto alla Quarantia civil nuova, il 2 nov. 1586 auditore novissimo, il 19 nov. 1589 tra i tre Officiali alli X offici, il 30 dic. 1596 provveditore sopra i danari, il 14 febbr. 1598 tra i due Sovrapprovveditori alle legne, il 20 ott. 1598 provveditore sopra i Beni comunali, il 17 genn. 1599 provveditore alle Biave. In quest'ultimo compito fu incaricato dal doge Marino Grimani di svolgere personalmente "a casa per casa, et a luoco per luoco" una generale ispezione per riscontrare eventuali arbitrarie incette di frumento e di sementi. Il 24 giugno 1600 il L. fu eletto tra i tre "al luogo di procuratori sopra i atti di sopragastaldi", il 2 apr. 1601 ancora provveditore alle Biave, il 19 marzo 1602 consigliere di Venezia per il sestiere di S. Croce, il 6 giugno 1603 provveditore sopra Ogli, il 3 febbr. 1604 savio all'Eresia, carica che lasciò anzitempo perché eletto podestà a Padova, da dove ritornò nell'agosto 1606 presentando al Senato una dettagliata relazione sul suo operato, con riguardo particolare ai risvolti gestionali che la difficile situazione - creatasi in seguito all'interdetto papale che aveva colpito la Serenissima - aveva provocato, "perché si avevano li nemici in casa, i quali sotto pretesto di religione spargevano nei popoli diverse cose, che perturbavano le conscienze de molti".
Il L. assicurava la fedeltà dei Padovani, la buona manutenzione delle fortezze e l'efficienza della milizia locale, la contenuta criminalità, anche in presenza dei turbolenti studenti dello Studio.
Il 3 ott. 1606 fu eletto provveditore all'Arsenale, il 28 febbr. 1607 provveditore e commissario sopra i Viveri della soldatesca in Terraferma, il 20 ott. 1607 ancora "provveditore all'Arsenale che ha il carico delle cento galee", e quasi contemporaneamente (il 23 ottobre) fu chiamato tra "i sei aggiunti ai savi ed esecutori alle Acque per riveder le sache"; il 6 nov. 1608 fu tra i tre Inquisitori e revisori alla Zecca, incarico che lasciò nel novembre 1609 perché eletto capitano a Brescia. Il L. svolse quest'ultimo ufficio per diciannove mesi con consueta fedeltà e "pronta obedienza"; ritornò a Venezia solo nel maggio 1611 e redasse per il Senato "summario conto" degli aspetti militari più rilevanti del rettorato. Il L., pur lamentando le cattive condizioni della fortezza, dovute alla sua "forma antica", diede assicurazioni sulla tenuta perfetta del castello, adeguatamente fornito di uomini, artiglieria e munizioni. La custodia delle fortezze, di cui elencò minuziosamente il numero di fanti e bombardieri, risultava affidata a condottieri valorosi e fedeli alla Repubblica. Qualche dubbio il L. avanzò sulla gestione "delli beni et entrate delli communi", in seguito agli interessi privati di ministri e consiglieri locali che "li miseri a poco a poco si vanno distruggendo". Riferì pure sulle ispezioni personalmente condotte in Val Trompia, Val Sabbia e Valcamonica, pronte "ad ogni fruttuoso servitio", e nelle quattro principali roccaforti del Bresciano: Orzinovi, Asola, Pontevigo e Rocca d'Anfo, tutte bisognose di accomodamento, riarmo e potenziamento del corpo di guardia. Sollecitò inoltre un intervento statale a favore delle imprese artigiane di "canne d'arcobusi" di Gardone e di ferrarezza in Valcamonica, indispensabili per una proficua attività dei maestri armaroli di Brescia che, in piena crisi produttiva, minacciavano di "andare a procacciarsi il vito altrove", esportando così secolari segreti di manifattura a grave discapito del commercio internazionale dei prodotti bellici della Serenissima.
Il 6 ott. 1612 fu eletto provveditore all'Arsenale e tra i due "de respeto" agli inquisitori e revisori in Zecca (27 ottobre). Il 10 febbr. 1613 fu prescelto, in successione di Bartolomeo Moro, alla prestigiosa carica di procuratore di S. Marco de supra e il 26 luglio ordinario dei tre Inquisitori e revisori in Zecca, carica che lasciò anzitempo perché chiamato quale provveditore alla Sanità (23 agosto), con l'incarico speciale di prevenire il diffondersi di un'epidemia di peste proveniente dalla Germania. Tra il novembre 1614 e il dicembre 1615 fu impegnato come provveditore generale in Terraferma, per prendere visione della situazione delle fortificazioni veneziane in vista dell'alleanza con il duca di Mantova contro il duca di Savoia; in questo senso operò anche per la ristrutturazione della strategica fortezza di Peschiera. Il 6 nov. 1615, morto il doge Marc'Antonio Memmo, fu tra i ballottati alla massima carica ma non fu eletto. Nel dicembre 1615, eletto provveditore all'Arsenale "con il carico delle 100 galee", il L. fu anche designato conservatore del deposito in Zecca (11 genn. 1616), presidente all'Esazione del denaro pubblico (8 apr. 1616), tra i Sette deputati alla liberazione dei banditi (15 apr. 1616), savio del Consiglio (7 maggio 1616), riformatore allo Studio di Padova (30 maggio 1616). Il 12 novembre fu eletto, in sostituzione di Antonio Priuli, provveditore generale delle Armi in Terraferma e nell'Istria, in occasione del conflitto, scoppiato l'autunno precedente, tra la Serenissima e l'Austria per l'impunità concessa dagli Asburgo (con l'appoggio dell'Impero e della Spagna) agli Uscocchi, popolazioni balcaniche di religione cristiana che, fuggite all'invasione ottomana, si erano rifugiate sulla costa settentrionale della Dalmazia dedicandosi alla pirateria a danno della flotta veneziana. L'operato del L. in questa occasione non fu scevro da critiche da parte dei suoi diretti collaboratori, in particolare del futuro doge Nicolò Contarini, allora suo vice e provveditore in campo.
Attriti intestini, conflitti con le alleate truppe olandesi del conte Giovanni Ernesto di Nassau, una certa rilassatezza nella disciplina delle truppe - se non aperta indifferenza - ma soprattutto la mancata espugnazione della strategica fortezza arciducale di Gradisca (malgrado nel febbraio il quartier generale fosse stato spostato a Castion e fossero affrettatamente costruiti tre forti, di cui uno chiamato Lando, tra Bruma e l'Isonzo) fecero sì che il Senato accogliesse con favore la richiesta del L. di essere sollevato dall'incarico, perché "oppresso da indisposizioni tali […] che lo rendono a fatto inabile", e lo sostituisse prontamente con il valoroso procuratore Pietro Barbarigo.
Rientrato nella Dominante a metà settembre del 1617, fu ripetutamente eletto a vari uffici: inquisitore e revisore in Zecca (10 novembre), savio del Consiglio (30 dicembre), provveditore sopra il Quieto e pacifico stato della città (8 marzo 1618) e tra i cinque procuratori correttori alla elezione del nuovo doge (20 marzo). Fu inoltre riformatore dello Studio di Padova (2 giugno), sovraprovveditore alla Sanità (11 agosto), tra i Sei sopra la regolazione delle milizie (10 ottobre), presidente alla Esazione del denaro pubblico (19 ottobre).
Il L. morì a Venezia il 22 genn. 1619, dopo una "febre continua" durata tre mesi.
Il corpo fu inumato, con una solenne iscrizione (Cicogna, p. 178) nella cappella Lando della chiesa di S. Antonio di Castello, non più esistente. Un busto bronzeo del L., raffigurato in abiti militari, fu donato al seminario patriarcale di Venezia dal conte Giovanni Correr nel XIX secolo. Il Cicogna (p. 178) ricorda un suo manoscritto di Arringhe raccolte dal figlio Girolamo (Biblioteca di S. Michele di Murano) e un diario del viaggio come provveditore generale (1614), che fu di proprietà del consigliere e collezionista G. Rossi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 217, 224; 46: Cronaca dei procuratori di S. Marco, c. 243; III, St. Veneta, 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, t. II, cc. 654-655; Avogaria di Comun, reg. 107: Cronaca matrimoniale, c. 159v; ibid.: G. Giomo, Matrimoni patrizi per nome di donna, t. I, c. 169; Libri d'oro nascite, reg. 53, t. III, c. 172r; Libri d'oro matrimoni, reg. 90, t. III, c. 150; Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 34, c. 145; reg. 35, cc. 24r-27v; Collegio, Relazioni, bb. 37 (Brescia, 23 maggio 1661), 47 (Padova, 21 ag. 1606), 52 (Provveditore gen. in Terraferma, 1615); Senato, Secreti, reg. 109, cc. 325v-326r; Provveditori da Terra e da Mar e altre cariche, f. 4 bis (13 febbraio - 10 sett. 1617); f. 49 (18 dic. 1614 - 28 febbr. 1615); f. 50 (4 marzo - 13 ott. 1615); f. 55 (13-28 febbr. 1617); f. 56 (2 marzo - 28 giugno 1617); Capi del Consiglio di dieci, Lettere dei rettori ed altre cariche, bb. 27, nn. 65, 94, 98, 100; 86, nn. 134-138, 142-144, 146-148, 162-163, 173-188; Segretario alle voci, Elezioni in Pregadi, regg. 6, cc. 49v, 66r, 70r; 7, cc. 27v, 58v, 79v, 104v; 8, cc. 27v-28r, 83r, 114r, 118r, 144r; 9, cc. 2v, 3v, 27v-28r, 59v, 100v, 103v, 122v, 139r, 142r, 144r, 148r, 154r, 165r, 169r; 10, cc. 138v, 147v, 152r; 11, cc. 147v; Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 7, cc. 25v, 45v; 8, cc. 3v, 9v, 15v; 13, c. 113v; 14, c. 113v; Elezioni alla Quarantia civil nuova, reg. 1, c. 32v; Provveditori e sopraprovveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 849 (22 genn. 1619); Arch. privato Correr, regg. 23 (14 gennaio - 9 ott. 1615), 256 (24 sett. 1599); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1824, pp. 177 s., 363; P. Amat di San Filippo, Biografia dei viaggiatori italiani colla bibliografia delle loro opere, I, Roma 1882-84, p. 297; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori. Studio biobibliografico, Roma 1927, p. 203; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini, Venezia-Roma 1958, pp. 84, 153, 159 s., 162-166; L. Pelliccioni di Poli, Storia della famiglia Landi patrizia veneta, Roma 1960, pp. 25 s.; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, IV, Podestaria e capitanato di Padova, Milano 1975, pp. 107-112; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XI, Podestaria e capitanato di Brescia, Milano 1978, pp. 205-215.