GUARCO, Antonio
Nato forse a Genova, intorno al 1360, era figlio - probabilmente primogenito - del doge Nicolò e di Linò Onza.
È ricordato per la prima volta nel 1383, quando fu coinvolto nelle drammatiche vicende che accompagnarono la fine del dogato del padre, insieme con il quale, su una barca, riuscì a sfuggire ai partigiani degli Adorno e dei Fregoso, trovando rifugio a Finale, presso i marchesi Del Carretto. L'esilio fu breve perché Leonardo Montaldo, eletto doge, autorizzò i Guarco a fare ritorno in città. I fratelli di Nicolò, Isnardo e Ludovico, approfittarono di questa sorta di amnistia e condussero con loro il G. che, per suggellare l'amicizia tra le due casate, nel 1384 sposò una figlia del Montaldo. Quest'ultimo, però, morì di peste nel giugno di quell'anno, e il nuovo doge Antoniotto Adorno, nemico dei Guarco, ordinò la loro immediata messa al bando. Ancora una volta il padre fuggì a Finale, ma il marchese Carlo Del Carretto lo consegnò ad Adorno, che lo fece incarcerare nel castello di Lerici, dove morì poco dopo. Non è noto quale sia stata la sorte del G., ma probabilmente seguì gli zii nel Levante, a Rodi o Cipro.
A riportarlo a Genova fu la cacciata di Antoniotto Adorno e, soprattutto, l'elezione a doge, nel giugno 1392, del cognato Antonio Montaldo, figlio di Leonardo. Questi lo ebbe tra i suoi più stretti collaboratori, tanto che, agli inizi del 1394 (durante il suo secondo dogato) fu il G., insieme con uno dei fratelli del Montaldo, Paolo, ad affrontare e a mettere in fuga, presso l'abbazia di S. Andrea di Sestri, una colonna di fuorusciti condotti da Adorno.
L'influente posizione acquisita nel governo della città venne meno, quando, nel maggio 1394, l'ennesima ribellione contro il doge ebbe successo e al suo posto fu eletto Nicolò da Zoagli, un popolare che godeva fama di rettitudine ed equità. La sua decisione di fare pace con Antoniotto Adorno e di riammetterlo in città gli inimicò tuttavia, fin dall'inizio, gran parte dei cittadini e, tra questi, uno dei più accaniti fu il G. che, agli inizi di agosto, venne arrestato con l'accusa di tramare contro il doge. In carcere restò pochi giorni perché Zoagli, sentito il parere del Consiglio, ne ordinò la liberazione; tale provvedimento, tuttavia, anziché ammansire i Guarco, li spinse a prendere le armi e ad assaltare il palazzo ducale, subito seguiti dalle fazioni dei Montaldo, dei Fregoso, degli Adorno e dai partigiani del cardinale Carlo Fieschi.
Il 17 ag. 1394 Zoagli fu costretto a fuggire, ma i vincitori non trovarono un accordo su chi dovesse sostituirlo. Alla fine, restati in lizza solo il G. e Pietro Fregoso, fu stabilito di lasciare la decisione ai dadi - il fatto è ricordato con vergogna da tutti gli annalisti - e questi si pronunciarono a favore del G. (19 agosto) che, per legittimare una simile procedura, si fece confermare doge da un'assemblea di elettori compiacenti.
Lo sdegno fu enorme. Già due giorni dopo, nella chiesa di S. Francesco e nella vicina torre di Castelletto, si radunarono alcune migliaia di cittadini armati, raggiunti ben presto da numerosi uomini delle valli vicine. A sostenere il G. rimasero i guelfi e i Fregoso, gli altri protagonisti della scandalosa elezione, sebbene tra reciproche diffidenze e scontri tra partigiani delle opposte fazioni. La situazione precipitò quando, il 22 agosto, Antoniotto Adorno, partito da Finale su una galea fornitagli da Carlo Del Carretto, cercò di penetrare in città. Egli fu affrontato e catturato dal G. e da Antonio Montaldo, che fino a quel momento si era mostrato neutrale. Su suggerimento di quest'ultimo Adorno venne rinchiuso in una delle torri della porta dei Vacca, sotto la custodia dei Fregoso, che abitavano in quella zona, ma dopo accordi segreti questi lo rilasciarono, con l'evidente complicità di Montaldo. Il G., sentendosi tradito da tutte le parti, decise di procedere con la forza contro i ribelli e, il 30, marciò con quasi 2000 uomini all'assalto di Castelletto. L'attacco fu però respinto ed egli fu costretto a riparare a palazzo, inseguito dai Montaldo, schieratisi apertamente contro di lui. Il giorno successivo Antoniotto Adorno entrò in Castelletto, fra l'entusiasmo dei ghibellini, ma, anziché rispettare i patti stipulati con Antonio Montaldo, si fece proclamare doge, con grande sdegno di quest'ultimo.
Il G., frattanto, era riuscito a fuggire e a raggiungere Savona, dove - nel giro di pochi giorni - convinse quei cittadini a ribellarsi al nuovo governo genovese e a fare atto di dedizione al duca Luigi di Orléans che, signore di Asti, ambiva ad ampliare i suoi possessi verso la Liguria, in accordo col suocero Gian Galeazzo Visconti.
Grazie all'aiuto di questo, il G. si impadronì del castello di Lerma, che il Comune di Genova aveva acquistato da pochi anni, e di qui intavolò trattative con Enguerrand signore di Coucy (comandante della progettata spedizione orleanista) e con lo stesso duca di Milano. Con quest'ultimo, che nell'agosto precedente aveva accettato di fare da padrino a una delle sue figlie, il G. stipulava, il 28 febbr. 1395, una lega contro Adorno. Nonostante questa alleanza, però, nell'aprile successivo egli era costretto dal doge ad abbandonare Lerma, ma nell'estate, ottenuti fanti e cavalieri dal duca e riappacificatosi con il cognato Antonio Montaldo (che gli diede in custodia l'omonimo castello di Montaldo, presso Gavi), poté dare inizio a una serie di scorrerie nella Val Polcevera, seminando morte e distruzione fin quasi alle porte di Genova, senza tuttavia riuscire a scalfire il potere del doge. La sua guerra personale contro di lui continuò anche nei due anni successivi e non cessò neppure dopo che questi ebbe fatto cessione della signoria sulla città al re di Francia Carlo VI, restando al potere in qualità di governatore regio (25 ott. 1396). Nel febbraio 1397, infatti, partendo dal castello di Ronco Scrivia (tolto agli Spinola l'anno precedente) il G. con Antonio Montaldo e con cavalieri fornitigli da Visconti scese fino a Campomorone, in Val Polcevera, dove però essi vennero sconfitti e fatti prigionieri dalle milizie degli Spinola e dei Fieschi, decisi partigiani della signoria francese. Anche questa volta la prigionia durò poco perché entrambi furono liberati dagli stessi vincitori, poco disposti a metterli in mano di Antoniotto Adorno, loro comune nemico, che li reclamava.
La destituzione di Adorno e l'arrivo - in marzo - del nuovo governatore Vallerano di Lussemburgo, conte di Saint-Pol, pose fine alla rivolta del G. che, in luglio, accettò di venire a patti con lui, restituendo al Comune di Genova il castello di Montaldo e ottenendo in cambio, oltre al perdono per i reati commessi, una pensione annua di 4000 fiorini. I ritardi nei pagamenti e il divieto di mettere piede a Genova finirono però per scontentarlo dopo pochi mesi, e già agli inizi del 1398 - sempre con Antonio Montaldo - egli si trovò coinvolto in un complotto, organizzato a Chiavari da Antonio da Cogorno, per cacciare i Francesi. Arrestato dal podestà di Genova sotto l'accusa di tradimento, il G. venne però liberato dopo pochi giorni per ordine del governatore regio, Pierre Fresnel vescovo di Meaux, il quale per accattivarselo e, al contempo, cercare di allontanarlo per un po' da Genova, il 17 maggio 1398 lo fece nominare capitano di Famagosta. La nomina, in quel momento, non dovette piacere molto al G., che ottenne una sospensione a tempo indeterminato e, in cambio, un seggio nel Consiglio degli anziani.
In luglio egli fu inviato con Antonio Montaldo per rappacificare con il governo francese gli insorti ghibellini delle valli vicine a Genova, ma il loro operato suscitò notevoli sospetti e l'accusa di essere in realtà d'accordo con i Doria, gli Spinola e gli altri ghibellini per fare sollevare quella fazione contro il governatore.
Richiamati a Genova, né il G. né il Montaldo vollero farvi ritorno, nel timore di essere imprigionati se non addirittura uccisi. Essi assunsero pertanto il comando dei fuorusciti e, dopo alcuni tentativi falliti, riuscirono a entrare in città, occupandone varie parti. Quasi subito scoppiarono scontri con i guelfi e il governatore, temendo per la propria vita, il 18 luglio si imbarcò per Savona, di dove raggiunse Asti. Genova restò allora alla completa mercé delle fazioni e per alcune settimane fu in pratica priva di governo, mentre infuriava una delle più terribili pestilenze della sua storia, nel corso della quale trovarono la morte sia Montaldo, sia Adorno. Il 28 luglio fu conclusa una tregua tra i guelfi e i ghibellini e il G., come capo di questi ultimi, fu uno dei firmatari. I disordini, tuttavia, continuarono, causando gravi distruzioni un po' in tutta città. Solo in settembre, con l'arrivo del nuovo governatore Collart de Colleville, la situazione tornò lentamente alla normalità. Il G., che fino a ottobre aveva continuato a sedere tra gli Anziani, agli inizi del 1399 venne chiamato a far parte di una commissione incaricata di raccogliere denaro per finanziare la spedizione che il re di Francia aveva deciso di inviare in aiuto dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo.
L'anno successivo, però, i dissensi esistenti tra le fazioni genovesi riesplosero e, nuovamente, si verificarono scontri tra i Guarco e i Montaldo da una parte, e gli Adorno dall'altra. Davanti all'incapacità del governatore di mantenere l'ordine, i cittadini decisero di acclamare Battista Boccanegra, altro cognato del G. (aveva sposato sua sorella Benedetta), capitano della città in nome del re (17 genn. 1400), ma Carlo VI si rifiutò di riconoscerlo, ordinando anzi a Colleville, riparato frattanto a Savona, di riportare Genova all'ubbidienza. Il G. e Boccanegra cercarono allora di impadronirsi della torre cittadina di Castelletto, ancora tenuta dai Francesi, ma suscitarono l'immediato intervento degli Adorno, dei Fregoso e degli stessi Montaldo. Sentendosi isolato, il 20 marzo Battista Boccanegra rinunciò al capitanato, nonostante i tentativi del G. per trattenerlo; cinque giorni dopo era eletto nuovo capitano Battista De Franchi Luxardo, mentre la città era, di fatto, divisa tra le varie fazioni che avevano trasformato vie e piazze in ridotte fortificate. Per cercare di riportare la pace fu chiesto l'intervento del duca di Milano che infatti, alla metà di aprile, inviò a Genova un suo emissario, il signore di Clermont; l'accoglienza fu però pessima, perché questi venne assalito per strada e pochissimi si recarono a palazzo a conferire con lui. Il G., tuttavia, decise di aderire alle sue richieste e, per dare l'esempio, il 17 aprile gli consegnò la bastita da lui fatta costruire alla porta di S. Andrea, che fu subito demolita. Come riconoscimento per la buona volontà dimostrata egli fu nominato nuovamente anziano, ma il Consiglio, dopo poche settimane in cui governò effettivamente, venne esautorato da Battista De Franchi, che instaurò un governo rigidamente popolare, estromettendo i "cappellazzi" come i Guarco, gli Adorno o i Fregoso.
Il G. lasciò Genova, trasferendosi nuovamente nel Levante, a Cipro, presso il re Giano di Lusignano, di cui era stato padrino di battesimo. Grazie al suo favore e al fatto che, quattro anni prima, era stato nominato dal governatore Colleville capitano di Famagosta, nel 1402 gli riuscì di farsi accettare come podestà di questa città e da qui si dedicò a un'attiva pirateria lungo le coste della Siria, catturando molte imbarcazioni e suscitando le risentite proteste dei Veneziani e del sultano d'Egitto, che, a seguito della cattura di una nave saracena, ordinò il sequestro dei beni dei mercanti cristiani residenti ad Alessandria. La sua permanenza nell'isola fu assai tormentata perché, impadronitosi di Famagosta senza licenza del Comune e con il sostegno del re di Cipro, rifiutò di cedere il comando al capitano inviato da Genova, dove fu deciso di inviare una spedizione per recuperare la città e far cessare le sue violenze. Il governatore Jean Le Maingre, signore di Boucicaut (che lo aveva messo al bando non appena assunto il governo di Genova, nel novembre 1401) ordinò il sequestro dei suoi beni e impose su di lui una taglia per catturarlo vivo o morto. Il G., che nel frattempo aveva sventato un complotto del re Giano per impadronirsi di Famagosta, non attese l'attacco delle forze governative ma preferì prendere il largo e ritornare in Italia.
Nel 1404 egli si trasferì, sotto la protezione di Gian Galeazzo Visconti, a Pavia, dove ricevette una pensione dai Veneziani per organizzare la rivolta di Genova al dominio francese.
Qui, il 28 febbr. 1405, fu raggiunto da sei sicari assoldati da Boucicaut, i quali lo colpirono con stiletti avvelenati mentre passeggiava per le strade della città. Morì il 16 marzo.
Dal suo primo matrimonio con una delle figlie di Bonifacio Scarampi, signore di Cairo, ebbe almeno due figli: Nicolò e Bartolomea, sposata ad Abramo Fregoso, uno dei numerosi figli del doge Pietro. Nicolò ereditò la signoria su Montenotte, la metà di Olmo, e un quarto di Roccaverano, nella Val Bormida, che il G. aveva acquistato nel 1400 dai Del Carretto per 1420 fiorini; queste terre, alla morte, senza discendenti diretti, di Nicolò (1415), passarono in via ereditaria agli Scarampi di Cairo.
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