GRIMANI, Antonio
Nacque a Venezia probabilmente il 17 genn. 1434 (come risulta dal fatto che fu "provato" all'avogaria di Comun il 16 dic. 1453, dimostrando di avere diciotto anni) da Marino, del ramo di S. Fosca, e da Agnesina Montaner di Giovanni da Modone, di ceto non nobile.
Quando nacque il G. la famiglia era in ristrettezze economiche e anche in seguito egli fu svantaggiato socialmente dall'origine popolare della madre e dalla mancanza di cospicue parentele. Morto il padre quando aveva quattro anni, rimase sotto la tutela di uno zio. Giovanissimo, viaggiò a lungo sulle galere commerciali in Siria, Egitto e Africa, diventando, con intelligenza e fortuna, uno fra i più importanti commercianti di pepe della città; accumulò una sostanza, escluse le proprietà di immobili, ammontante a più di 100.000 ducati. Tale era la sua autorevolezza che buona parte dei mercanti veneziani vendeva ciò che egli vendeva e comprava ciò che egli comprava. Le fonti concordano nell'offrirci un'immagine del G. che, coniugando il successo mercantile con quello politico, non aveva tradito il mare per le speculazioni fondiarie.
La posizione raggiunta permise al G. di imparentarsi con le prime casate della città attraverso le intese matrimoniali di figli e nipoti. Quando, in età matura, decise di mettersi al servizio dello Stato, la ricchezza e l'esperienza negli affari resero superfluo il consueto periodo di rodaggio nelle cariche minori ed egli poté percorrere un rapido e prestigioso cursus honorum. Savio di Terraferma nel 1483, avogador di Comun (marzo 1484), savio alla Sanità (marzo 1486), nel 1487 fece parte di una commissione di indagine sui lavori per la deviazione del fiume Brenta. Provveditore all'Arsenale (agosto 1488), savio del Consiglio (ottobre 1488), nel marzo 1489 rifiutò la nomina di oratore al re Mattia Corvino e nell'aprile successivo fu sostituito dal figlio Domenico, giovane già in fama di letterato, nella delegazione che la Repubblica inviò all'imperatore Federico III per onorarlo e scortarlo nel territorio veneto. Rinominato provveditore all'Arsenale (agosto 1489), fu poi savio del Consiglio (1490, 1491, 1492), consigliere ducale (1492) e savio nella zonta di Collegio (1493). Il suo prestigio e quello della famiglia furono rinsaldati dal legame stabilito con la Chiesa con l'elevazione del figlio Domenico alla porpora cardinalizia (1493).
Nel giugno 1494, nominato capitano generale da Mar, condusse una vittoriosa campagna navale lungo le coste pugliesi, che portò alla riconquista di città e piazzeforti, poi riconsegnate a Ferdinando II d'Aragona, mostrando doti di energia ed equilibrio che accrebbero ulteriormente la stima procuratagli dall'elezione a procuratore di S. Marco il 16 ag. 1494. Il 24 ag. 1496 fu richiamato a Venezia e inviato a Milano per comunicare all'imperatore Massimiliano I gli auspici della Signoria per il mantenimento della lega e per la pace d'Italia. Il 9 genn. 1497 lesse personalmente la sua relazione, pronunciando giudizi negativi sulla personalità di quel sovrano. Altrettanto negativamente si espresse il G., nel giugno 1497 in Collegio, circa l'ipotesi dell'abbandono di Ludovico il Moro e di un'alleanza con la Francia, e più ancora nel 1498 in Pregadi, nel vano tentativo di persuadere i senatori che meglio sarebbe stato avere per vicino un debole nemico, come Ludovico il Moro, che un potentissimo alleato, come il re Luigi XII. "Fu udito con grande attenzione e con gli orecchi molto favorevoli", racconta Guicciardini nella Storia d'Italia, ma l'alleanza si fece.
Deterioratisi i rapporti con l'Impero ottomano, il 14 apr. 1499 il G. fu eletto per la seconda volta capitano generale da Mar al comando della flotta che avrebbe dovuto affrontare quella turca. Riunite le proprie forze a Corfù, dopo una serie di scaramucce, il 12 ag. 1499 attaccò battaglia nelle acque della Sapienza (o dello Zonchio), con esito negativo. Più che una sconfitta, fu una vittoria mancata, ma sufficiente per gettare nel panico e nella più cupa frustrazione il governo e la popolazione di Venezia. Deficienza tattica nell'azione di comando, inadeguata preparazione morale degli equipaggi, uno stato di stanchezza ribelle nei quadri, l'affievolimento del senso del dovere spiegano la sconfitta meglio delle pesanti accuse al Grimani. La sua sostituzione non evitò infatti nuovi insuccessi e la perdita di Lepanto, Modone e Corone. Il G., ritenuto responsabile della sconfitta, fu richiamato in patria e arrestato al suo arrivo a Venezia, il 2 nov. 1499. Dopo un processo dalle forti connotazioni politiche, il 12 giugno 1500 il Maggior Consiglio lo condannò alla relegazione perpetua nell'isola di Cherso. Vi restò dal 12 luglio 1500 all'8 ott. 1502, allorché fuggì, riparando a Roma presso il figlio Domenico.
Nominato dal papa uditore di Rota, continuò a chiedere la revisione del processo, prodigandosi nel contempo in favore della patria, specie dopo lo scoppio della guerra della Lega di Cambrai. Operò tanto efficacemente che il 12 marzo 1509 il Maggior Consiglio ne autorizzò il rimpatrio, che avvenne il 12 luglio 1509. A dimostrazione della sua piena riabilitazione nel giugno del 1509 il G. era stato eletto savio del Consiglio e ritornò quindi all'attività politica, prendendo parte da protagonista alle più importanti fasi di politica interna ed estera per il recupero dei territori occupati dalle potenze della Lega di Cambrai. In dicembre, rifiutata la candidatura a capitano generale da Mar, entrò nella zonta del Consiglio dei dieci, incarico che, insieme con quello di savio del Consiglio, tenne continuativamente dal 1510 al 1521, con brevi impegni in altri compiti, come quello che lo condusse nel novembre 1515 a Milano per congratularsi con Francesco I re di Francia della vittoria di Marignano.
Scettico verso il pontefice, diffidente nei confronti dell'imperatore, prudente verso la Francia (anche se favorevole a una lega con essa), spregiudicato nel richiedere anche l'aiuto degli Ottomani "avanti de ruinar", il G. sostenne una linea di cauti negoziati e di realistiche rinunce, suggerendo l'abbandono di Cremona e la cessione di Verona all'imperatore ma difendendo con intransigenza l'intangibilità di Padova, Brescia e Bergamo, propugnando una decisa azione offensiva in Friuli e operazioni diversive in Puglia. Nel 1519 si pronunciò per la riconferma della convenzione con gli ebrei, ricordando il loro aiuto nei momenti difficili della guerra e la necessità della loro presenza per l'indispensabile ruolo sociale ed economico.
Dopo il reintegro nella dignità di procuratore di S. Marco, il 24 dic. 1509, il G. legò il suo nome a numerosi interventi di renovatio urbis, tra cui il restauro del campanile di S. Marco, l'edificazione delle nuove procuratie, la ricostruzione del mercato di Rialto dopo l'incendio del 1514 e il rinnovamento di alcuni edifici religiosi. Il 22 giugno 1521 morì il doge Leonardo Loredan e il G., già indicato tra i favoriti, entrato nella commissione dei correttori alla promissione ducale e tra i quarantuno elettori, fu eletto doge il 6 luglio.
Indebolitasi progressivamente la salute, egli andò sempre più diradando le presenze nei consigli, tanto che gli fu offerta la possibilità di dare le dimissioni in cambio di una pensione. Rifiutata l'offerta, il G. volle restare fino alla fine, che sopraggiunse - "senza mal, da vechieza" - il 7 maggio 1523.
Celebrate le esequie di Stato nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, il corpo fu portato nella chiesa di S. Antonio e tumulato nella cappella che il figlio Pietro vi aveva fatto costruire. Nel 1807 la tomba del G. fu distrutta, le spoglie disperse e nel 1810 fu demolita anche la chiesa per far posto ai giardini napoleonici. Le fattezze del G. furono ritratte da Tiziano per il quadro votivo posto nella sala delle Quattro Porte di palazzo ducale.
Nel 1458 il G. aveva sposato Caterina Loredan di Domenico che gli diede almeno cinque figli: Girolamo (provato 1478-1514), Marino (provato 1478-1523); Domenico (provato 1480-1523), Vincenzo (provato 1482-1535), Pietro (provato 1484-1516).
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