GRAZIADEI, Antonio
Nacque a Venezia in un anno a noi ignoto della prima metà del XV secolo. Non si conoscono notizie sulla sua infanzia, e nulla sappiamo nemmeno sulla famiglia, tranne che ebbe una sorella.
è stato confuso con l'omonimo Antonio Grazia Dei, figlio di un architetto di Brescia, scrittore apostolico (1497-99) e segretario apostolico fino al 1523, o, anche, con Graziadio da Ascoli.
Devono essere ritenute false, come avverte Tournoy, le notizie riportate dal Chronicon Admontense (Strängnäs Domkyrkobibliotek, Q.19), secondo le quali egli sarebbe stato di nobile nascita e prete secolare. Che non ebbe nobili natali è attestato dal fatto che il suo stemma gentilizio è menzionato solo a partire dall'anno 1484, cioè solo dopo che nel 1483 venne nominato conte palatino dall'imperatore. Che fosse prete secolare è invece smentito dalla qualifica di frate minore che egli stesso si attribuisce nella sua Exortatio.
Secondo l'attestazione del Diario romano di Jacopo Gherardi, il G. trascorse la giovinezza presso Luigi di Lussemburgo conte di Saint-Pol: Tournoy ipotizza che, essendo stato al seguito di questo, abbia compiuto parte degli studi a Parigi, ma la notizia non è documentata. Nel panegirico, scritto in suo onore dall'amico Francesco da Crema (edito in Tournoy, pp. 49-55), si fa riferimento a studi di grammatica e retorica, filosofia e teologia compiuti in patria (probabilmente a Padova). Del resto egli stesso, in un'orazione che pronunciò a Venezia (della quale un frammento è pubblicato in Tournoy, p. 38), dichiarò tutta la sua gioia per essere tornato nella città natale, dove ritrovava "socios studiorum et carissimos puericie consortes". A Parigi trascorse comunque un periodo di insegnamento in qualità di professore in teologia e si distinse per la sua erudizione e per l'abilità nelle dispute. Non sappiamo con certezza quando lasciò questa città. Secondo il Chronicon Admontense sarebbe stato precettore del futuro imperatore negli anni 1477-78, ma egli non figura nella lista dei precettori di Massimiliano d'Asburgo.
Nel 1478 venne pubblicato a Lovanio da Johannes von Paderborn un opuscolo del G. indirizzato ai sudditi dei principi Massimiliano d'Asburgo e Maria di Borgogna, per esortarli a impugnare le armi contro il re di Francia: ExortatioadMaximiliano Mariaeque principibus subiectos (Gesamtkatalog der Wiegendrucke [GW], 11344).
Il panegirico di Francesco da Crema suggerisce che il G. non fosse ancora entrato nell'entourage imperiale quando, il 13 ott. 1478, fu immatricolato come "Mag. Anthonius Gracia Dei, Ord. Frat. Min., Venetus, S. Theol. Prof." presso l'Università di Lovanio. Qui svolse il suo insegnamento in qualità di professore extra-ordinarius della facoltà di teologia dal 1° ott. 1479. Sappiamo che tenne corsi su Scoto, sul De civitate Dei e sul De doctrina christiana di s. Agostino.
Secondo Francesco da Crema tuttavia la materia nella quale il G. eccelse fu l'astrologia. Un aneddoto contenuto negli Anecdota ex codicibus hagiographicis…, raccontato da Gaspare Ofhuys, canonico regolare di un'abbazia nelle vicinanze di Bruxelles, conferma la fama divinatoria del G. seppure ne evidenzi la fallibilità.
Durante il suo periodo d'insegnamento il G. scrisse un opuscolo teologico: Conclusio cuiusdam doctoris Parisiensis de Ordine fratrum minorum de signo crucis lapidibus subiectis impresso levando, che venne stampato da Johannes von Paderborn a Lovanio (GW, 11342) alcuni anni dopo la sua partenza dalla città, che deve collocarsi alla fine del 1480. L'ultimo stipendio risulta infatti pagato al G. dall'Università di Lovanio il 12 ottobre di quell'anno e il 6 dicembre Anselmus de Welmont venne pagato dall'Università come suo sostituto.
Successivamente il G. venne impegnato in alcune missioni diplomatiche in Italia per conto di Massimiliano d'Asburgo. Alla fine del 1480 fu inviato a Firenze per tentare di coalizzare le potenze cristiane contro i Turchi; durante la sua permanenza nella città venne notevolmente apprezzato per le sue qualità oratorie, e la Signoria commissionò a Bertoldo di Giovanni una medaglia con la sua effigie e l'iscrizione: "Antonius Gratia Dei Cesareus Orator. Mortalium cura". Il verso della medaglia mostra un carro dentro al quale Mercurio, contornato dalle Muse e da Marte, suona il flauto, la legenda recita: "Volentem ducunt nolentem trahunt".
Il 28 genn. 1481 il G. era a Roma, dove entrò in contatto con gli ambienti umanisti e soprattutto con Bartolomeo Manfredi (Aristophilus), che viene menzionato nel panegirico di Francesco da Crema con l'epiteto di "astrologus insignis". Il Manfredi fu incaricato da Sisto IV, alla morte di Bartolomeo Platina, nel settembre 1481, di prenderne il posto alla Biblioteca Vaticana. Forse anche grazie all'amicizia con Manfredi, il G. guadagnò la piena fiducia del papa, che decise di incaricarlo di alcune missioni diplomatiche per conto della Curia. Una lettera di Sisto IV, datata 30 giugno 1482, indirizzata a Massimiliano d'Asburgo lo informa di volersi avvalere della collaborazione del Graziadei.
Il papa gli affidò una missione molto delicata a Basilea. Durante il viaggio il G. si fermò a Venezia, proseguendo poi verso la corte dell'arciduca Sigismondo del Tirolo a Innsbruck, e giungendo a Vienna alla corte imperiale alla fine dell'agosto 1482. Qui ebbe inizio la sua missione, che aveva come principale scopo quello di allertare l'imperatore contro il domenicano Andrea Zamometić, arcivescovo di Crayna, ribelle alla Curia, che aveva in più occasioni denunciato gli abusi della Chiesa e nel marzo di quell'anno si era recato a Basilea tentando di riunire un concilio per detronizzare Sisto IV. Il papa era preoccupato per l'atteggiamento ambiguo assunto dall'imperatore riguardo la faccenda. La missione del G. si rivelò efficace: il 3 ott. 1482 infatti Federico III pubblicò due documenti nei quali prendeva le distanze dal tentativo di Zamometić e ordinava l'arresto del frate, che fu eseguito il 21 dic. 1482. Ma un'altra importante missione, stavolta concertata all'unisono dal papa e dall'imperatore, attendeva il G., quella di riportare i cittadini di Basilea sulla retta via e di far dimenticare loro l'azione di Zamometić.
L'imperatore, soddisfatto di come il G. aveva svolto gli incarichi diplomatici affidatigli, decise di premiarlo. Con il pretesto di alcune discordie sorte tra i monaci dell'abbazia benedettina di Admont in Stiria, lo impose come abate. Ma il più ambito riconoscimento il G. lo ottenne il 21 dic. 1483, quando fu nominato conte palatino e consigliere imperiale da Federico III. A seguito di questo riconoscimento, all'inizio del 1484, una seconda medaglia con la sua effigie venne incisa da Giovanni di Candida.
Da allora il G. fu costantemente al seguito dell'imperatore; il 16 febbr. 1486, quando Massimiliano venne eletto re dei Romani, fu incaricato di scrivere una lettera di congratulazioni ai principi tedeschi per la loro scelta (Congratulacio pro electione novi regis, Vienna, Staatsarchiv, Fridericiana, 6.1486, cc. 15r-16v). Il 9 aprile era ad Aquisgrana per l'incoronazione di Massimiliano e dopo lo seguì ancora nel suo viaggio ufficiale nei Paesi Bassi. A Bruges il 3 ag. 1486 venne incaricato di rispondere alle congratulazioni della Repubblica di Venezia presentate a Massimiliano con l'orazione dell'umanista veneziano Ermolao Barbaro.
Entrambe le orazioni furono pubblicate dopo il 13 ag. 1486 ad Alost da Thierry Martens (Indice generale degli incunaboli [IGI], 1213; GW, 3343) e poi ancora a Norimberga dopo il 2 apr. 1490 da Peter Wagner (IGI, 1216; GW, 3346). L'Oratio del G. è stata poi pubblicata da J. Öberg, Notice et extraits du manuscrit Q 19 (XVIe s.) de Strängnäs, in Studia Latina Stockholmiensia, XVI (1968), pp. 8-10, e da G. Tournoy, pp. 55 s.
Nei Paesi Bassi il G. soggiornò alcuni mesi. Il 14 ott. 1487 negoziò per conto di Massimiliano un trattato di pace con gli Ungheresi a Landshut. Nell'aprile 1490 tornò a Venezia, sempre come legato di Massimiliano. Durante quest'ultimo soggiorno nella città pronunciò la già ricordata orazione. Tournoy propende a ritenere che il G. sia rimasto a Venezia fino alla fine di agosto di quell'anno, poiché acquistò una copia degli Opera Latina di Galeno pubblicati nella città il 27 ag. 1490. Tuttavia una sua Epistola ad praelatos et proceres Regni Hungariae - stampata a Norimberga da Georg Stuchs nel 1491 circa (GW, 11343) - si chiude con l'indicazione del luogo e della data precisa di composizione che contraddicono l'ipotesi di una permanenza del G. a Venezia: almeno per quel 1° giugno 1490, data in cui scrisse l'Epistola "ex monasterio Admontensi". Successivamente, sempre in qualità di legato di Massimiliano d'Asburgo, giunse alla corte di Ercole I d'Este a Ferrara, dove presto guadagnò i favori del principe e divenne amico dell'umanista Francesco da Crema.
Questi fu talmente colpito dalla sua erudizione che ne scrisse un elogio. Ma il G. morì prima che Francesco da Crema pubblicasse il suo panegirico e quattro anni più tardi, intorno al 1494, Francesco decise di trascrivere quel panegirico e di donarlo a Velasco de Lucena, personaggio influente della corte di Ferrara, amico e protettore del Graziadei. Nella lettera di accompagnamento al panegirico scritta per il Velasco, Francesco dice di essere stato spinto a donargli "hunc libellum" da due motivazioni. La prima è che Velasco fu "Antonii amantissimus et fautor maximus", e la seconda è che egli era cultore degli "studia litterarum". In questa seconda motivazione ritorna un topos caro alla cultura umanistica, quello dell'affinità tra spiriti dediti agli studi e alle lettere. In realtà è più probabile, secondo quanto sostiene il Tournoy, che Francesco da Crema volesse con questo dono guadagnarsi la stima e la simpatia di un uomo molto influente a corte.
Il panegirico è contenuto nel ms. 262 del Fondo Landau della Bibl. nazionale di Firenze (Tournoy, pp. 49-55). Nell'opera si esaltano le qualità intellettuali del G.: l'ingegno, l'erudizione, la straordinaria capacità oratoria, la familiarità con gli uomini dotti, l'attitudine a intrattenersi con essi in lunghe dissertazioni, insomma la sua fama di "eruditorum cultorem". Con non minore enfasi vengono celebrate le sue virtù morali: prudenza e mansuetudine che lo resero caro ai principi cristiani; fortezza d'animo, clemenza e liberalità che lo resero ben accetto a tutti; mancanza d'ambizione ed eccezionale modestia che lo fecero a tal punto rifuggire dagli onori da sembrarne infastidito. Tuttavia, nonostante la ritrosia verso ogni riconoscimento, giunse al massimo degli onori: "Maximilianus decoravit, Federicus, conduplicavit". Seguendo un topos caro invece alla scrittura agiografica, Francesco da Crema mette in evidenza il carattere ascetico del minorita: "Nihil me fugit quanta in te sit cibi, potus ac somni parsimonia, quantaque caloris ac frigoris, famis ac sitis, et denique laborum omnium patientia" (vv. 179-181 dell'ed. Tournoy). Perfino la bellezza fisica fu in lui singolare, su di essa tuttavia Francesco preferì non soffermarsi molto per non dispiacere al celebrato che fu spregiatore di ogni vanità. Il tono altamente encomiastico dell'opera non deve far dimenticare che essa rimane di fondamentale importanza per ricostruire la biografia del G. di cui Francesco ripercorre le tappe più significative.
La lunga assenza dall'abbazia di Admont, ma soprattutto il prelievo di diversi oggetti appartenenti al tesoro dell'abbazia, che il G. inviò a Venezia, gli suscitarono la totale ostilità dei monaci, i quali non esitarono a far giungere all'imperatore la notizia del furto. Nell'autunno del 1491 il G. fuggì dall'abbazia con una ricca collezione di manoscritti e incunaboli su ognuno dei quali aveva scritto "Anthonius Abbas" (la lista si trova in Wichner, 1892, pp. 59 s.). Francesco da Crema, forse proprio per scagionare l'amico, scrisse che il G. amava i libri più delle pietre preziose, lasciando intendere che la cupidigia verso i libri in un uomo di lettere non poteva essere giudicata veramente negativa. Il G. del resto aveva sostenuto di aver donato egli stesso la ricca collezione all'abbazia di Admont.
Arrestato e imprigionato ad Arnoldstein in Carinzia, fu tenuto in prigionia nel castello di Gallenstein, dove morì il 16 genn. 1492.
Fonti e Bibl.: J. Gherardi, Diario romano, a cura di E. Carusi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXIII, 3, p. 35; Anecdota ex codicibus hagiographicis Iohannis Gielemans canonici regularis in Rubea Valle prope Bruxellas, in Subsidia agiographica, III, Bruxellis 1895, p. 243; J. Molinet, Chroniques, a cura di G. Doutrepont - O. Jodogne, Bruxelles 1935, I, pp. 502 s.; Matricule de l'Université de Louvain, a cura di J. Wils, Bruxelles 1964, II, p. 385 n. 37; J.N. Paquot, Mémoires pour servir à l'histoire litteraire des Pays Bas, I, Louvain 1766, p. 129; II, ibid. 1768, p. 33; J. Wichner, Geschichte des Benedektiner Stiftes Admont, Graz 1880, IV, pp. 24-26, 35 s.; A. Heiss, Jean de Candida, médailleur et diplomate sous Louis XI, Charles VIII, et Louis XII, in Revue numismatique, VIII (1890), p. 464; J. Wichner, Kloster Admont und seine Beziehungen zur Wissenschaft und zum Unterricht, Graz 1892, pp. 59 s.; V. Tourneur, Jean de Candida, diplomate et médailleur au service de la maison de Bourgogne, in Revue belge de numismatique et de sigillographie, LXXI (1919), pp. 252, 267 s.; G.G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium ordinum S. Francisci, II, Romae 1921, p. 80; R. Schäffer, Venezianischer Nepotismus in Admont am Ende des 15. Jahrhunderts, in Festschrift H. Wiesflecker, Graz 1973, pp. 99-106; B. De Troyer - L. Mees, Bio-bibliographia franciscana Neerlandica ante saeculum XVI, Nieuwkoop 1974, II, pp. 103-105; III, p. 146; G. Tournoy, Franciscus Cremensis et Antonius Gratia Dei, two Italian humanists professors at Louvain in the 15th century, in Lias, III (1976), pp. 33-73; J. Paquet, Gratia Dei (Antoine), in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXI, Paris 1986, coll. 1226 s.; W.A. Copinger, Supplement to Hain's Repertorium bibliographicum, II, nn. 482 s.; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia, nn. 1213, 1216; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, nn. 3343, 3346, 11342-11344.