SANTAGATA, Antonio Giuseppe
– Nacque a Genova il 10 novembre 1888, da Giovanni e da Maria Boasi, fratello di Ernesto e Luisa.
Artista longevo e poliedrico, ebbe una prima formazione, benché tardiva, nella sua città natale. Per la prematura morte del padre, infatti, venne avviato a tutt’altri studi rispetto a quelli artistici, che invece lo appassionarono fin da piccolo. Solamente intorno ai venti anni cominciò a frequentare l’Accademia Ligustica di belle arti, in un fertile ed effervescente clima culturale, aggiornato da un viaggio a Parigi e dalla conoscenza delle nuove tendenze artistiche. Dopo il breve impiego nella società Enotria, arrivò la decisione di abbandonare tutto per seguire il suo sogno artistico. Convinto divisionista e simbolista, impregnato di letture filosofiche e teosofiche, coltivò fin da subito una passione per l’arte cristiana primitiva e per i mosaici. In questo florido periodo, tra il 1912 e il 1918, fu animatore della stagione ligure delle Esposizioni e Promotrici di belle arti.
Con il commento grafico dell’opera letteraria di Gian Maria Cominetti, Sette canti di guerra (1916 e 1918), s’inaugurò per Santagata la stagione, parallela a una già versatile produzione artistica e alle fatiche della decorazione pubblica, delle incisioni e delle xilografie di complemento a testi teatrali, poetici e di prosa. Il suo linguaggio andò naturalmente e gradualmente modificandosi: mentre nell’opera cominettiana e nei pregevoli disegni della pièce di Carlo Raimondo, Occhidoro o il falco e Monna Vanna (1914), il suo stile era ancora intriso del simbolismo di matrice teosofica, nelle opere Sette santi senza candele di Carlo Delcroix (1924) e In divine parvenze di Paola Maria Arcari (1927) palesò la ricezione delle grandi campiture di matrice espressionista, debitrici della grafica di Lorenzo Viani. Negli anni Trenta i disegni realizzati per La ballata del vecchio colonizzatore di Renzo Laurano (1937) furono connotati, come quelli realizzati per la rivista dell’Associazione nazionale fra mutilati e invalidi di guerra (ANMIG), da un maggiore sintetismo del tratto, a servizio della rapidità di lettura delle immagini nel testo.
Come molti artisti partì convinto volontario per la Grande Guerra e venne ferito il 28 ottobre 1915 nella battaglia del Sabotino (Nicodemi, 1964, p. 20). Né la guerra né la mutilazione spensero però le sue ambizioni. La tumultuosa convalescenza ospedaliera terminò nel 1920, quando partecipò e vinse il pensionato artistico Duchessa di Galliera, che gli permise di misurarsi con il febbrile panorama di Roma; appena trasferitosi in città, si candidò per un posto alla scuola libera del nudo di villa Medici, che frequentò per un anno e dove conobbe la sua mite compagna di vita e collaboratrice, Paola Marabini. Seguì̀ poi il concomitante passaggio all’atelier di villa Massimo, divenuto ricovero temporaneo per mutilati di guerra.
Il periodo romano, che avrebbe dovuto durare cinque anni, in realtà non si interruppe che nel 1943, quando i destini bellici costrinsero Santagata a ritirarsi in Liguria. Mantenne però contatti e ruoli di prestigio nelle Promotrici prima e del sindacato ligure poi, grazie anche alla mediazione dei colleghi e dell’amata sorella Luisa. Per lo stile oscillante tra secessionismo e realismo venne coinvolto nella compagine sarfattiana di Novecento, partecipando alle due mostre milanesi del 1926 e del 1929.
Espose con una certa regolarità alle Biennali di Venezia a partire dal 1926, affrescando nel 1938 la facciata del palazzo del padiglione italiano con La Regina del mare (che rimase per le edizioni del 1940 e del 1942). Costanti furono anche le sue partecipazioni alle Quadriennali romane dal 1931 fino all’edizione del 1951-52. Nel 1932 prese parte alla Mostra della rivoluzione fascista con il fotomosaico Il lavoro, e nel 1936 fu invitato alla VI Triennale milanese nella sala dell’Enciclopedia italiana, con la tempera Composizione eroica, perduta. Tra le tante iniziative estere venne coinvolto nella Mostra internazionale della Medaglia di New York (1924), curata dal mentore Ugo Ojetti, nell’Exposition internationale di Parigi del 1925, nelle Esposizioni universali di Madrid e Barcellona del 1929, nell’Exhibition of contemporary Italian paintings di Baltimora (1931), nell’Exposition universelle di Bruxelles del 1935.
Alla produzione pittorica e grafica si affiancarono quella scultorea e quella medaglistica, che occuparono una parte significativa della sua attività. Ebbe anche il ruolo d’instancabile animatore della vita culturale degli artisti mutilati attraverso il premio Savoia-Brabante.
Fu il rapporto con l’ANMIG, di cui fondò nel 1925 la sede genovese, e con il neopresidente in carica Carlo Delcroix, a segnare in modo decisivo e per lunghissimo tempo la sua carriera di uomo e di artista, insieme alla grande decorazione monumentale, la quale caratterizzò la sua attività per quasi tutto il periodo di egemonia del regime fascista. Il rapporto tra i due si trasformò in un legame amicale indissolubile. Per molte delle sedi che l’ANMIG andava costruendo nelle città italiane, Santagata lasciò alcuni tra gli episodi pittorici più rappresentativi del cosiddetto stile littorio, decisamente incline al solido linguaggio retorico propugnato dal regime e per alcuni versi vicino a quello sovietico del ‘realismo socialista’. Dipinse, recuperando la tecnica cenniniana del buon fresco, la sala delle adunate della Casa Madre dei mutilati a Roma, dell’architetto Marcello Piacentini, affrescando la lunetta centrale con l’Offerta della Casa Madre alla Vittoria, e quelle laterali con la Partenza e il Ritorno. La lunetta con la scena dell’Assalto venne inaugurata per prima, già nel 1928 (Nebbia, 1932). In occasione dell’ampliamento della Casa, nel 1933-36, sempre a opera di Piacentini, l’artista venne invitato insieme a Cipriano Efisio Oppo a completare la decorazione del cortile esterno, con un ciclo pittorico e allegorico dedicato alle principali battaglie della Grande Guerra.
Altre importanti testimonianze della metà degli anni Trenta riguardarono la creazione nel 1931 di una Via Crucis in terracotta all’Istituto dei ciechi di guerra di Roma, edificio dell’architetto Pietro Aschieri, replicata nell’Istituto sanatoriale Forlanini e nella chiesa di S. Benedetto a Roma. Tra le opere distrutte, ma di grande rilievo, risultò il fregio decorativo nel collegio IV novembre a Ostia, dell’architetto Giuseppe Boni, con episodi raffiguranti le opere del fascismo a Roma e nell’Agro.
Per la Casa dei mutilati di Genova, progettata da Eugenio Fuselli tra il 1938 e il 1939, Santagata realizzò un affresco nel salone delle assemblee, con la rappresentazione delle scene Lettere al campo, Il fante e l’ardito e al centro un’allegoria della Vittoria, e una vetrata, messa in opera dalla ditta Luigi Fontana di Milano, raffigurante la morte del soldato e la sua Ascensione al cielo.
Intorno al 1939 l’artista spese le sue energie per portare a termine la decorazione della Casa dei mutilati di Palermo, dell’architetto Giuseppe Spatrisano, per la quale eseguì due affreschi: quello celebrativo nel salone d’onore e quello, tripartito, nel cortile esterno, con la raffigurazione degli orrori delle battaglie di Zara, Pola, Fiume, e la tragica mutilazione dei soldati.
All’incirca negli stessi anni Santagata fu invitato da Piacentini a lasciare, nel Palazzo di Giustizia di Milano, un contributo artistico composto di cinque pannelli musivi nei sovraporta dell’ambulacro del tribunale civile: l’Allegoria della Giustizia, Il Diritto romano, Il Diritto canonico, Il Diritto napoleonico, Le leggi fasciste (distrutti). Nella contigua Casa del mutilato di Milano, di Luigi Lorenzo Secchi, conclusa solo nel 1944, Santagata realizzò i cartoni per la vetrata, messa in opera dalla ditta Luigi Fontana, dedicati alle eroiche vicende di Fulcieri Paulucci di Calboli, e un affresco per il salone delle adunate con scene di battaglie terrestri, marittime e aeree. Nella prima metà degli anni Sessanta realizzò nella facciata due mosaici raffiguranti i Mutilati e gli invalidi di guerra inneggiano alla pace, messi in opera dalla ditta Sgorlon di Milano e in particolare da Italo Peresson, suo collaboratore anche nelle decorazioni musive liguri del dopoguerra.
Fu però nel 1941, con la conclusione della decorazione della Casa littoria di Bergamo, eretta da Alziro Bergonzo, che Santagata raggiunse l’apice della sua produzione. Nonostante l’iniziale delusione per la sua tiepida scelta, le scene dell’atrio centrale con le storie della vita e delle imprese eroiche di Antonio Locatelli rimasero una pagina incancellabile della sua biografia artistica, tanto da valergli l’epiteto di «Giotto dei soldati» (Ragazzi, 1999, p. 84).
Tra le ultime fatiche dei primi anni Quaranta, Santagata lasciò ai mutilati di Ravenna e alla loro Casa, progettata dall’architetto Matteo Focaccia, due mosaici per il salone centrale, messi in opera forse da Ines Berti e Antonio Rocchi e raffiguranti Cesare che varca il Rubicone e la Marcia su Roma con il duce a cavallo (quest’ultimo distrutto durante gli eventi bellici).
L’attività del dopoguerra, segnata dal ritiro a Mulinetti in Liguria, fu caratterizzata dal ritorno alla pittura da cavalletto e da poche, ma significative imprese decorative genovesi nell’ospedale di Galliera e in palazzo Eridania, nella basilica Regina Apostolorum di Roma, nel santuario di Nostra Signora della guardia e nella cattedrale di Recco, nelle quali sembrò compendiare lo stile dei suoi anni giovanili. Morì a Mulinetti, frazione di Recco, il 13 settembre 1985.
Molti cartoni preparatori delle opere citate appartengono alla Casa d’aste Cambi di Genova, e una nutrita collezione è inoltre posseduta dalla Fondazione Mitchell Wolfson di Genova e Miami. Un folto numero di opere si conserva in molte collezioni pubbliche italiane, soprattutto liguri.
Fonti e Bibl.: Camogli, Biblioteca civica Niccolò Cuneo, Archivio Antonio Giuseppe Santagata (non inventariato e composto da numerosi faldoni in cui sono raccolti la corrispondenza dell’artista, fotografie, elenchi di opere, rassegne stampa).
U. Nebbia, A.G. S., in Emporium, 1932, vol. 75, 445, pp. 2-24; V. Costantini, L’eroe della patria Antonio Locatelli nella pittura murale di A.G. S., ibid., 1941, vol. 93, 557, pp. 205-213; F. Petriccione, L’arte di Anton Giuseppe Santagata, in La Vittoria, XXIV (1941), 8, p. 12; G.G. Riva, Artisti nostri. A.G. S., Genova 1941; G. Nicodemi, Rassegna d’arte A.G. S., in Il ragguaglio librario, novembre 1956; G. Riva, A.G. S., in Arte stampa, 1960, n. 5, pp. 3-18; G. Nicodemi, A.G. S., in L’arte, LXII (1963), pp. 153-181; Id., A.G. S., Milano 1964; V. Rocchiero, Gli affreschi del S. nella basilica della Guardia: pittura murale moderna italiana, Genova 1967; G. Migone, I mosaici di A.G. S. nella chiesa parrocchiale di Recco, in Arte cristiana, LX (1972), 588, pp. 51-54; V. Rocchiero, A.G. S. pittore di cavalletto, Roma 1983; A.G. S. (1888-1985). Mostra nel centenario della nascita (catal., Recco), a cura di V. Rocchiero, Chiavari 1988; F. Ragazzi, Cronache della pittura murale. A.G. S., il «Giotto dei soldati», in Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930-1950 (catal.), a cura di V. Fagone - G. Ginex - T. Sparagni, Milano 1999, pp. 83-96; L. Morganti - V. White, I dipinti murali di Santagata e Oppo alla Casa Madre dei mutilati e invalidi di guerra a Roma: due tecniche a confronto in un’unica tradizione, in Bollettino dell’Istituto centrale del restauro, n.s., III (2001), pp. 39-77; F. Ragazzi, S. e Salietti: two examples of mural painting from the Wolfson Collection between the «Fascistization» of Italy and the collapse of Regime, in Under Mussolini. Decorative and propaganda arts of the Twenties and Thirties from the Wolfson Collection (catal., London), a cura di S. Barisione - M. Fochessati - G. Franzone, Milano 2002, pp. 29-36; A.G. S.: rappresentare la guerra (catal., Miami Beach, Florida), a cura di S. Barisione - M. Fochessati - G. Franzone, Genova 2014.