BESOZZI, Antonio Giorgio
Nacque nella prima metà del sec. XVI. Apparteneva alla nobile e cospicua famiglia Besozzi, a un ramo secondario, ma importante, che risiedeva a Monvalle, un luogo fra Besozzo e Arolo, a poca distanza dalle rive del lago Maggiore. Di lui si s'a che in gioventù si dedicò alla vita militare, pur attendendo agli studi letterari, come si ricava da un epigramma dell'amico Benedetto Sossago (Epigrammatum libri septem,Mediolani 1616, p. 78).
II B. entrò a far parte della famiglia del cardinale Carlo Borromeo ed ebbe un ruolo di carattere fra diplomatico e militare nelle trattative avviate (attorno al 1582) da Carlo Emanuele di Savoia con la Spagna, il papa Gregorio XIII e il cardinale Borromeo, per tentare il riacquisto di Ginevra, che era in mano dei calvinisti e godeva dell'appoggio francese. Il B. fu incaricato dell'attuazione del progetto, ma il papa era indeciso in tale azione e anche Carlo Emanuele esitava a scoprirsi. Le trattative si arenarono con la morte, nel 1584, del cardinale Borromeo. E tuttavia i rapporti fra il B. e i Savoia continuarono: egli fu fatto "gentil'huomo honorato della Camera del Sig. Duca di Savoia", e nel 1589, quando scoppiò veramente la guerra fra Carlo Emanuele e Ginevra, e ad essa intervennero anche le truppe del governatore di Milano, il B. si trovava alla corte di Carlo Emanuele, mentre ben sei Besozzi, fra cui il suo stesso padre, erano sul campo di battaglia.
Il B. entrò quindi a far parte della famiglia del cardinale Federico Borromeo e da allora attese soprattutto agli studi. Nel 1594 venne aggregato all'Accademia degli Inquieti di Milano (M. A. Jarkius, Specimen historiae Acadetniarum Italiae,Lipsiae 1725, p. 21). Morì, probabilmente, nella prima decade del Seicento.
L'unica opera del B. pubblicata a stampa, lui vivente, è una Vita del beato Alberto Besozzo.Dalle accurate ricerche di Vincenzo De Vit risulta trattarsi della traduzione di un manoscritto latino risalente, pare, al 1319: Initium cultus et celebrationis Ecclesiae sanctae Catharinae ad Saxum Balarum,trovato dal B. presso i padri ambrosiani di Santa Caterina (e conservato, al tempo del De Vit, presso l'Archivio prepositurale di Leggiuno). La traduzione venne compiuta dal B., con il consenso del cardinale Carlo Borromeo, verso il 1567-70. Nel 1593 a Milano venne fatta la prima edizione a stampa: Vita del b. Alberto Besozzo; una seconda edizione fu stampata a Milano nel 1616.
Il B. lasciò alla sua morte parecchie altre opere manoscritte. Si ha notizia di un Lamento amoroso,composto in giovane età ad imitazione della Fiammetta del Boccaccio, e inoltre di una Vita di Cleopatra Regina d'Egitto,di un libro Delle Invenzioni:tutte opere che devono essere andate perdute. E smarrito deve essere anche un suo Trattato degli uomini illustri di casa Besozzo.
Morto il B., le sue carte vennero nelle mani dei cardinale Federico Borromeo, il quale diede ordine di sistemarle e fece pubblicare da N. Pellizzari i Discorsidi filosofia militare (Milano 1629).L'opera è divisa in tre parti. La prima (pp. 1-72)è un Discorso nel quale si prova la Militia e Castramentatione Romana, attribuita per Sesto Libro d'Historia a Polibio, non essere di quell'Autore;si riferisce a un libro apparso a Basilea nel 1537sotto il nome di Polibio: Militia et Castramentatione Romana (ed in realtà si trattava di un frammento del sesto libro delle Storie).Il B. rifiuta tale attribuzione e vuol far passare l'opera come contraffazione di uno scrittore non solo eretico, ma anche nemico della gloria di Roma. La seconda parte (pp. 73-153) contiene alcuni Discorsi sopra i Commentari di Cesare,e cioè una serie di osservazioni sulle imprese dei condottiero romano, accompagnate da un continuo confronto con "i nostri tempi". Nella terza parte (pp. 155-319) sono raccolti, in modo farraginoso, alcuni Discorsi paralleli e propositioni in Filosofia militare del sig. Antonio Georgio Besozzo:accompagnati spesso da citazioni di questo o quell'autore. Il B. prende anghe posizione nella polemica allora viva sul diverso valore dell'Ariosto e del Tasso: l'Ariosto, egli dice, "ha scritto bene in ogni sorte di poesia. Ma l'havervi'mischiato tante lascivie, mi pare vitioso, né conveniente a Heroe esser inunerso in amore"; il Tasso "ha fatto cose meravigliose in poesia. Ma quel suo poema heroico hà riempito di tanti incanti, che incanta quasi, chi lo legge" (p.159).
è probabile che, fra le carte lasciate dal B. al cardinale Borromeo, figurasse anche un romanzo, il Brancaleone,pubblicato a Milano nel 1610 da Gerolamo Trivulzio.
La prima parte del romanzo è liberamente ispirata all'Asinod'oro di Apuleio; la seconda parte, con la storia dell'asino e del leone, ha somiglianze con una favola (X, 2)delle Macevoli notti dello Straparola. Tutto il romanzo è intessuto di proverbi, apologhi e novelle, derivati dalle più svariate fonti letterarie (Esopo, Fedro, Poggio Bracciolini, Pievano Arlotto, Firenzuola, Doni), e anche, in notevole inisura, dalla tradizione orale. Particolarmente ricco è il repertorio delle novelle che mettono in burla la "melonaggine" dei villani.
Il Brancaleone ebbe,nel Seicento, una certa fortuna e fu più volte ristampato (oltre alla prima edizione di Milano 1610, se ne conoscono altre cinque: Venezia 1617, Milano e Pavia 1621, Bologna 1636 e 1638, Milano 1682). Interessante è l'edizione di Venezia, poiché, mentre sia il Trivúlzio, sia l'autore stesso, nel suo eruditissimo proemio, avevano insistito sul valore genericamente morale del libro, gli stampatori veneziani dei 1617, ifratelli Giovanni e Varisco Varischi, lo presentarono come un'allegoria politica, e lo intitolarono: Il Brancaleone, overo l'idea della prudenza, favola morale politica, nella quale sotto bellissima et avveduta maniera d'animali parlanti, s'ammaestra lo 'ntelletto.
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