GIOLFI, Antonio
Figlio di Francesco, nacque a Genova nel 1721.
L'unica notizia circa la sua formazione è relativa alla bottega di Lorenzo De Ferrari, figlio di Gregorio, il quale "istruì alcuni discepoli: niuno però così continuamente sotto lui perseverò, come il vivente Antonio Giolfi, che perciò ebbe comodo di coltivarvi i suoi talenti" (Ratti, 1769).
Come il maestro il G. divenne, in data imprecisata, abate, e da lui ereditò le suggestioni di sapore tardobarocco, tendendo verso un fare artistico più composto e controllato, con un nitore di linguaggio dagli accenti narrativi, che si allontanava progressivamente dai toni della grande decorazione genovese di pochi decenni anteriore: quella di Gregorio De Ferrari o di Domenico Piola.
Nel 1749 il G. firmò e datò la Storia d'Alessandro Magno in collezione privata, unico punto fermo nella sua limitata produzione pittorica (Bartoletti).
All'Accademia ligustica di belle arti, fondata nel 1751, figurò in qualità di accademico di merito per la classe di pittura; in seguito fu segretario (1752) e poi direttore della Scuola di pittura tra il 1756 e il 1760.
Nel 1769 il G. pubblicò, dedicandola a Giuseppe Doria e a suo padre Giovanni Francesco morto prematuramente, la sua opera più nota: Raccolta di diverse vedute della città di Genova e delle principali sue parti e fabbriche, composta da venti acqueforti eseguite in collaborazione con i toscani Giuseppe Torricelli per la stesura preparatoria, Gian Lorenzo Guidotti (autore di alcune tavole per la seconda edizione dell'Encyclopédie) per l'incisione, oltre a Giuseppe Riviera per l'esecuzione dei disegni delle due tavole di San Pier d'Arena e della Villa Doria a Fassolo e ai Chiesa Tessera, autori di quattro lastre. Il G. scelse e diresse i collaboratori limitandone talvolta l'invenzione e il disegno (Poleggi, 1986, pp. 17 s.).
Oggi si conosce una sola copia rilegata dell'intera raccolta di stampe (fogli sparsi fanno, invece, la loro comparsa sul mercato antiquario) donata dallo stesso G. e conservata presso la biblioteca del convento dei cappuccini della Ss. Concezione. A un frate erudito e storico genovese, Tommaso Maria Olivieri, si deve l'apposizione della data al momento dell'acquisizione dell'opera e alcune notizie che identificano l'autore come professore di pittura e segretario dell'Accademia ligustica; dal frontespizio del manoscritto si evince pure l'appartenenza dell'artista all'Accademia parmense.
Nell'evocazione del clima urbano l'opera scansa da sé ogni pedanteria e ufficialità, per l'assenza di monumenti quali la cattedrale, palazzo ducale o palazzo S. Giorgio.
Nel frontespizio è collocata la Veduta della città di Genova, ideata secondo uno schema ottico a metà strada tra la veduta di costa e quella a volo d'uccello, creando una figurazione raccorciata e diretta sull'edilizia che s'affaccia sullo specchio portuale, lasciando in ombra la collina. L'impianto si distende dalla Lanterna fino alle ville d'Albaro, trascurando la Val Bisagno e prediligendo il monte Fasce.
Nella Veduta di San Pier d'Arena la qualità del disegno rivela la presenza di Giuseppe Riviera, mentre la Veduta di Genova dalla parte di Bisagno offre una particolare impaginazione paesistica ad anfiteatro della città, una schematizzazione che individua le linee portanti di una zona periferica dove l'abbraccio delle colline è interrotto dalle grandi opere difensive.
Nella descrizione dei caratteri della Veduta della collina di Albaro è possibile, dietro la quinta di ortolani e scalpellini al lavoro, identificare una a una le principali dimore, discernere gli edifici religiosi di Nostra Signora del Monte, di S. Pietro alla Foce, e i perduti S. Luca, S. Vito, S. Giusta, oltre al grande complesso del lazzaretto non più esistente.
La presenza del Riviera è nuovamente percepibile nella qualità della dimensione percettiva della Veduta del palazzo del prencipe D'Oria: l'impianto prospettico è solenne, con un punto di vista centrale all'altezza del cornicione e con la restituzione della planimetria e dei rapporti dell'edificio col contesto paesistico.
La Veduta del palazzo del sig. Marcello Durazzo nella strada Balbi illustra la maggiore residenza cittadina del tempo, dimora principesca affacciata sul porto. La composizione esalta la decorazione dell'immenso prospetto, davanti al quale si svolgono piccole scene di genere.
Rientra nel ruolo affidato agli edifici di interesse collettivo nella costruzione dell'immagine cittadina la Veduta del collegio de p. gesuiti in strada Balbi (Poleggi, 1986, p. 24). Qui emerge la predilezione per il fasto monumentale dello spazio barocco, la volontà di autocelebrazione cittadina per allineare Genova agli altri grandi centri europei che disponevano di scene urbane ampie e solenni. Nella Veduta di piazza della Nunziata, da cui si diparte la strada Balbi, i prospetti, affacciati su una delle piazze più intensamente vissute nella scena cittadina, sono reinterpretati con arbitraria esaltazione o deformazione dei volumi, rendendo la resa documentaria affidabile solo nei particolari. A sinistra si vede una preziosa testimonianza della torre di S. Sabina e della porta di S. Agnese. La Veduta dell'albergo dei poveri predilige la facciata monumentale, dietro cui si dipanano quattro grandi cortili attorno a una chiesa a pianta centrale. Il frontone riporta una preziosa testimonianza della perduta decorazione di Giovanni Battista Carlone.
L'ostentata illustrazione dei maggiori luoghi di vita cittadina torna, con una certa insicurezza prospettica, nella Veduta della piazza di Fossello (in realtà Fossatello); mentre nella Veduta di strada Nuova, che costituisce il centro della raccolta, l'arredo urbano del più celebre quartiere cinquecentesco, celebrato fra gli altri da P.P. Rubens, è descritto più come una sorta di "collezione" di palazzi che come una strada.
La Veduta del palazzo del duca D'Oria in strada Nuova, cuore della via per le sue dimensioni, costituisce anche un omaggio da parte del G. al suo protettore. L'impianto prospettico, diversamente rispetto a palazzo Balbi Durazzo, appare scorciato; nello spazio davanti all'edificio, le figurine si muovono con gesti di teatrale ammirazione. In alto a sinistra è una testimonianza della chiesa duecentesca di S. Francesco, oggi non più esistente. Prosecuzione della precedente è la Veduta della piazza Amorosa (o delle Fontane Amorose, dette anche Marose), a cui fa seguito quella di un altro luogo emblematico dell'attività finanziaria e della vita collettiva: la Veduta di piazza Banchi, ove la collaborazione tra il G., Torricelli e Guidotti si manifesta in una maggiore regolarità planimetrica. La prospettiva centrale esalta la chiesa di S. Pietro, circondata dai volumi dei palazzi.
La Veduta di ponte Reale restituisce la Ripa ancora celata dalle cinquecentesche mura di Mare, demolite nella prima metà dell'Ottocento. L'interesse si concentra però sul primo piano, con la fontana di Giovanni Battista Orsolino, ora in piazza Colombo, e non sullo sfondo (e qui il G. è anche disegnatore) piuttosto generico.
La Veduta del ponte di Carignano mostra la grande opera pubblica iniziata su committenza dei Sauli a partire dal 1718 dall'ingegnere Gérard de Langlade, per collegare la sommità del colle di Carignano, con la basilica gentilizia della famiglia, alla collina di Castello. Qui si vede anche il pittoresco e oggi perduto borgo dei lanaioli di Rio Torbido. La parrocchia gentilizia dei Sauli troneggia nella Veduta della chiesa di Carignano, letta da una schematica prospettiva frontale, con una resa deformata della cupola. Nell'incisione appare a sinistra l'ex noviziato secentesco dei gesuiti, non più esistente. Qui il G. è autore sia della composizione sia del disegno preparatorio: ciò ha suggerito l'ipotesi che sia stata davvero la posizione ufficiale dell'abate pittore a limitare la competenza professionale e la creatività dei suoi più esperti collaboratori (Poleggi, 1986, p. 28).
Nuovamente dedicata a un edificio religioso è la Veduta della chiesa della Madonna del Rimedio detta dell'Angioloin strada Giulia, distrutta a fine Ottocento. Il taglio trasversale dell'inquadratura permette di restituire l'ultima strada carrozzabile che univa la città al Levante, di riconoscere la torre trasformata dalle monache di S. Andrea e il ponte sifone dell'acquedotto pubblico che correva sulle mura del XIII secolo.
L'ultima veduta è dedicata a Genova nel solo giro delle sue mura vecchie con l'esposizione delle Chiese e luoghi principali, una planimetria derivante direttamente da un disegno acquerellato datato 1766 e firmato da Giacomo Brusco. L'incisione verrà più volte riprodotta ad accompagnamento delle guide settecentesche della città.
Nonostante le debolezze e le incongruenze prospettiche, la raccolta, progettata quasi come un album, rappresentò un'iniziativa nuova per Genova. Tuttavia, la personalità del G. sembra essere ancora incapace di risolvere con autonomia i problemi tecnici ed espressivi della "veduta", se si pensa alle coeve esperienze veneziane, fiorentine, romane e napoletane. Il frutto del lavoro del G. e dei suoi collaboratori è comunque e soprattutto un'occasione importante per la formazione dell'immagine di Genova come città d'arte, in un momento in cui s'afferma per la prima volta il genere letterario della guida. Del resto, anche le didascalie bilingui (italo-francesi) della raccolta giolfiana contribuiscono al costituirsi di un fiorente mercato turistico-librario poliglotta. L'opera ebbe molto successo, sia nell'ambiente accademico sia in quello dell'editoria locale: oltre a essere ristampata e ampliata, alcune tavole furono inserite da Carlo Giuseppe Ratti nell'Instruzione del 1780; anche il libraio-editore Yves Gravier ornò di alcune vedute del G. le edizioni della sua Description des beautés de Gênes et de ses environs.
Attraverso le fonti è possibile ricostruire un corpus di opere pittoriche attribuibili al G., tutte di difficile datazione: il Battesimo di s. Agostino e la Traslazione dell'immagine della Madonna del Buon Consiglio, entrambe già a S. Agostino e ora nel refettorio della chiesa di Nostra Signora della Consolazione a Genova; la pala con I ss. Erasmo e Chiara nella chiesa di S. Marco al Molo (Alizeri, 1875, p. 61, come Ss. Agostino e Chiara).
A partire plausibilmente dal 1779-80 (Ratti, 1780, p. 315) il G. fu attivo come frescante in palazzo Doria (Galliera), ora Banco di Roma a piazza De Ferrari, dove eseguì nella volta di una stanza il quadro centrale con la Conquista di Almeria da parte di Ansaldo Doria, quattro medaglioni con gli Episodi della storia della famiglia Doria e otto Virtù a monocromo verde. In un altro ambiente sono riferibili all'artista le Nozze di Arduino dei conti di Narbona con Oria della Volta.
Tra le opere ad affresco a soggetto religioso, gli vennero commissionati alcuni Santi ed Evangelisti nella cupola e nei peducci della cappella di S. Stefano alla chiesa del Gesù (navata sinistra), definite pitture "tutte e assai buone" nella Descrizione… da un Anonimo del 1818 (1974, p. 284). Nella chiesa della Maddalena si trova l'Ascensione al cielo nella terza campata, navatella sinistra, poco leggibile per le forti ridipinture ottocentesche, definita dall'Alizeri (1875, p. 126) "un meschino affresco"; per questa opera, dato che Ratti non ne parla nel 1780, si può evincere una datazione post quem. Una prestigiosa commissione pubblica affidata al G. dovette essere, nella loggia di Banchi, l'affresco perduto con le Armi della Repubblica.
Il G. morì a Genova il 2 dic. 1796.
L'attribuzione delle due grandi tele con Andrea Doria che sbarca a Genova e La proclamazione della riforma del 1528 da piazza S. Matteo eseguite sempre per palazzo Doria (Galliera), già ascritte al G. dalle fonti (Alizeri, 1875, p. 287), è stata recentemente spostata verso Paolo Girolamo Brusco (Boccardo - Boggero).
Fonti e Bibl.: C.G. Ratti, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova…, Genova 1766, pp. 36, 93, 111; Id., Vite de' pittori, scultori, architetti genovesi, Genova 1769, p. 271; Id., Instruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova…, Genova 1780, pp. 65, 91, 109, 131, 315; F. Alizeri, Guida artisticaper la città di Genova, Genova 1846-47, I, p. 131; II, pp. 305, 412, 564; Id., Notizie dei professori del disegno dalla fondazione dell'Accademia, I, Genova 1864, pp. 86, 158; Id., Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze, Genova 1875, pp. 61, 90, 126, 287; G. Giubbini, Genova nelle vecchie stampe (catal.), Genova 1970, pp. 20-38; A. Giuggioli, Il palazzo del Banco di Romae i duchi di Galliera. Cronaca di due famiglie della vecchia Genova, Roma 1972, p. 40; Descrizione della città di Genova da un Anonimo del 1818, a cura di E. Poleggi - F. Poleggi, Genova 1974, pp. 182, 219, 234, 246, 284; F. Sborgi,Pittura neoclassica e romantica in Liguria. 1770-1860, Genova 1975, pp. 40-42; F. Boggero, Chiesa di Nostra Signora della Consolazione, Genova 1977, p. 18; Id., Chiesa di S. Maria Maddalena, Genova 1979, p. 16; E. Poleggi, Paesaggio e immagine di Genova, Genova 1982, pp. 75, 88; Id., Genova nel Settecento e le vedute di A. G., Milano 1986, ad indicem; F.R. Pesenti, L'illuminismo e l'età neoclassica, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, II, Genova 1987, pp. 357 s., 374; M. Bartoletti, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1989, p. 736; E. Gavazza - F. Lamera, Chiesa del Gesù, Genova 1990, p. 47; P. Boccardo - F. Boggero, Palazzi storici del Banco di Roma. Genova De Ferrari, Roma 1991, p. 22; P. Boccardo, I grandi disegni italiani del Gabinetto disegni e stampe di Palazzo Rosso a Genova, Cinisello Balsamo 1999, pp. 79, 273; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 70.