GHINI, Antonio
Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo scultore, figlio di Paolo, attivo in Toscana nella seconda metà del XV secolo. Secondo Ridolfi, il padre era un lucchese trasferitosi a Siena, dove il G. è registrato nell'archivio dell'Opera del duomo prima come garzone (1454) e poi come maestro (1463).
Nessuna notizia è tramandata dalle fonti sulla formazione e sulle prime prove dell'artista. Inoltre, l'affermazione di Ridolfi riguardo alla sua presenza a Fiume prima del 1460, di ritorno da Pesaro, non ha trovato riscontri documentari. La più antica opera conosciuta del G. sono i bassorilievi del monumentale fonte nella piazza di Asciano, su cui si leggono la firma e la data 1465 apposte dallo scultore.
L'opera, forse commissionata da un esponente della famiglia Capacci, il cui stemma compare sui rilievi, reca, su medaglioni assai rovinati e corrosi dall'acqua, teste di profilo, stemmi, imprese araldiche, fauna acquatica e puttini: un repertorio classicheggiante simile a quello introdotto a Siena da A. Federighi, ma interpretato dal G. "con uno stile piano ed essenzialmente decorativo" lontano dai modi "graffianti" del maestro (Fumi Cambi Gado, p. 51).
Se è dunque possibile che il G. si sia formato tra le maestranze attive nei cantieri senesi sotto la direzione di Federighi, di certo l'artista lavorò a stretto contatto con un altro scultore uscito dallo stesso ambito: Giovanni di Stefano. Infatti, non solo si riscontrano nelle opere di entrambi analoghi motivi e soluzioni decorative, ma, come attestano i documenti rinvenuti nell'Archivio di Stato di Siena, il G. e Giovanni intrapresero un'attività in comune dal 1470 al 1475 (Corti, p. 58). Inoltre, i loro nomi compaiono insieme già nel 1466 nell'atto di allogazione a Giovanni di Stefano e Francesco d'Antonio del reliquiario della testa di s. Caterina per i frati di S. Domenico a Siena (Milanesi, I). Tuttavia, del tutto ignota risulta la produzione prettamente cittadina del G.; su basi stilistiche, gli è stato attribuito il bassorilievo marmoreo, lavorato con un motivo di candelabro attorniato da putti, inserito nello stipite destro del portale della chiesa di Maggiano (Fumi Cambi Gado, p. 51).
Nel 1473 il G., insieme con Lorenzo di Pietro (detto il Vecchietta), Vito di Marco, Luigi Ruggieri e altri, sottoscrisse l'accordo che mise fine alle discordie sorte tra i "magistri lapidum simul muratores et lapicide" senesi e i colleghi lombardi presenti in città (Milanesi, I). A questa data il G. risulta quindi ben inserito nell'ambiente artistico senese; tuttavia, l'anno seguente aveva già abbandonato la città per trasferirsi a Grosseto, dove realizzò nella cattedrale i rilievi che incorniciano l'altare della Madonna delle Grazie (firmati e datati 1474) e un pregevole fonte battesimale, molto probabilmente coevo, sebbene Ademollo abbia scritto di avervi letto la data 1470 su una perduta pietra posta nei pressi del fonte. Tali lavori, che nel corso dei secoli hanno subito modifiche e spostamenti all'interno della chiesa, vennero eseguiti al tempo in cui era capo dell'Opera della cattedrale Antonio di Salvatore di Lemmo di Castellammare, come attestano l'iscrizione dedicatoria posta sul basamento del fonte battesimale e gli stemmi, che si ripetono identici sia sul fonte sia sui rilievi dell'altare.
Inseriti in un motivo di teste e di putti reggifestoni, gli scudi araldici del committente ornano il piede e la vasca del fonte battesimale. Al centro si innalza un tabernacolo ottagonale che reca sui lati alcune statuette di santi, sistemate nelle nicchie di gusto classico che si aprono sulla superficie dell'edicola, coronata alla sommità dalla figura del Battista. Giudicata da molti alquanto rozza nelle parti a tutto tondo e più riuscita in quelle a rilievo, l'opera era forse cinta da una cancellata e si trovava in origine nella prima campata della navata laterale destra della cattedrale, di fronte all'antico altare della Madonna delle Grazie, che si ergeva nella prima campata sinistra.
L'altare rivela maggiore finezza esecutiva ed è concepito come una grande cornice destinata ad accogliere la splendida pala - centinata o forse un tempo provvista di lunetta - eseguita da Matteo di Giovanni nel 1470 circa. I rilievi con festoni di foglie e frutti che decorano le lesene su cui poggia l'arcone, coronato da una lunetta con al centro una delicata Annunciazione, sembrano essere direttamente ispirati da analoghe soluzioni stilistiche adottate da Giovanni di Stefano nel tabernacolo marmoreo di S. Caterina in S. Domenico e quello con l'emblema del monastero di S. Galgano, posto sull'esterno delle mura del giardino di palazzo Bianchi, sempre a Siena.
Tra il 1475 e il 1477 il G. realizzò il riquadro a tarsia con il Giudizio di Salomone nel duomo di Lucca. Negli archivi della cattedrale sono stati rinvenuti il contratto, con cui l'operaio Iacopo da Ghivizzano ordinò l'opera al G. per il prezzo di 25 fiorini al braccio quadro, e la quietanza, datata 9 giugno 1477, con cui l'artista venne gratificato di altri 10 fiorini per aver lodevolmente eseguito il lavoro. Assai rovinato dal calpestio, il riquadro fu pressoché interamente rifatto dai marmisti Cecchi nel 1794 (Ridolfi).
Ultima opera documentata del G., la tarsia marmorea è in genere giudicata di tale eleganza e raffinatezza da essere ascritta a Matteo Civitali (artista di cui è però noto un solo disegno riferibile a un riquadro del pavimento lucchese); mentre il "mediocre" G. viene indicato solo per la parte esecutiva. Eppure è stato possibile ravvisarvi la stessa mano che scolpì i rilievi dell'altare della Madonna delle Grazie nella cattedrale di Grosseto, oltre ad alcuni elementi tipici del repertorio decorativo del Ghini. A conclusione della sua carriera, il G. dimostrava quindi non solo di essere in grado di padroneggiare con disinvoltura composizioni complesse articolate, ma anche di essere ben aggiornato su quanto si andava realizzando in quegli anni nel duomo di Siena. In particolare, il Giudizio di Salomone rivela interessanti analogie con le soluzioni adottate nel 1473 da Francesco di Giorgio nella tarsia pavimentale che illustra le Storie dell'assedio di Betulia, alla cui messa in opera partecipò, tra gli altri, anche Francesco di Bartolomeo Ghini, figlio del fratello del G. (Fumi Cambi Gado, pp. 52, 57).
Il G. morì probabilmente a Siena prima del 1478, anno in cui sua moglie Lorenza, figlia di un pizzicagnolo senese di nome Giacomo, è nominata in un contratto come vedova del "maestro Antonio di Ghino" (Ridolfi, p. 369).
Fonti e Bibl.: E. Ridolfi, L'arte a Lucca studiata nella sua cattedrale, Lucca 1882, pp. 163 s., 369 s.; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1854, I, p. 128; II, p. 332; E. Chiarini, Del duomo di Grosseto, Grosseto 1893, pp. 60 s.; A. Ademollo, I monumenti medioevali e moderni della provincia di Grosseto, Grosseto 1894, p. 86; L. Porciatti, Il fonte battesimale della cattedrale di Grosseto, in Arte e storia, XXII (1903), 6, p. 35; C.A. Nicolosi, Il litorale maremmano, Bergamo 1910, pp. 103-106; I. Belli Barsali, Guida di Lucca, Lucca 1970, p. 72; C. Baracchini - A. Caleca, Il duomo di Lucca, Lucca 1973, pp. 44, 60, 87, 127; E. Carli, Gli scultori senesi, Milano 1980, p. 50; G. Corti, Una compagnia di dittatori a Siena nella metà del Cinquecento, in Paragone, XXXVII (1986), 489, p. 58; F. Fumi Cambi Gado, Opere d'arte del secolo XV nella cattedrale di Grosseto, in La cattedrale di S. Lorenzo a Grosseto… (catal., Grosseto), a cura di C. Gnoni Maravelli - L. Martini, Milano 1996, pp. 46-57; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 549 s.