GHERARDI, Antonio
Nacque a Rieti il 20 sett. 1638 da Stefano Tatoti, calzolaio, e Giulia Poggi (Sacchetti Sassetti, p. 27 n. 13); ma dal 1660 adottò, per ragioni che restano sconosciute, il cognome Gherardi.
Fin da bambino mostrò vivo interesse per la pittura ma non poté coltivarlo a causa delle modeste condizioni economiche della famiglia (Pascoli, p. 725). Dopo la scomparsa del padre e del fratello Agostino, il G., nel 1656, venne sottratto alla tutela della madre dal governatore di Rieti, monsignor Bulgarino Bulgarini, e affidato a uno zio materno. Quando nel 1657 il prelato si trasferì a Roma, fu raggiunto, circa un anno dopo, dal G., desideroso di essere introdotto nell'ambiente artistico romano. Nel 1660 il G. stipulò una procura per imporre un censo di 50 scudi sulla casa paterna a favore del letterato reatino Loreto Mattei che più volte lo sostenne nelle difficoltà finanziarie (Sacchetti Sassetti, pp. 9-12). E in questa occasione il G. si servì per la prima volta del nuovo cognome, che mantenne fino alla morte. A Roma il G. fu presentato da Bulgarini dapprima a Pier Francesco Mola, poi a Pietro Berrettini da Cortona, artisti che incisero entrambi profondamente sulla sua formazione.
Agli esordi della carriera artistica del G. possono essere ricondotte due piccole tele con il Martirio di s. Giovanni Evangelista e la Nascita di s. Giovanni Battista (Rosati, figg. 9 s.), molto vicine allo stile di Pietro da Cortona, individuate da Sacchetti Sassetti presso gli eredi della famiglia Sonanti di Rieti, in possesso, secondo Pascoli (p. 727), di un'opera dell'artista. Tra i primi quadri del G. si colloca anche la tela, perduta, con l'Elemosina di s. Cristina, eseguita per uno dei soffitti di palazzo Riario, residenza romana della regina Cristina di Svezia, ristrutturata entro il 1663. A questi anni risale anche la serie di sei acqueforti, commissionate probabilmente al G. da un esponente della famiglia Barberini, raffiguranti il Martirio di s. Martina, le cui spoglie erano state rinvenute sotto il pontificato di Urbano VIII. Ancora a una committenza Barberini è legata la realizzazione, tra il 1664 e il 1666, di tre dei cartoni per la celebre serie di arazzi con Storie della vita di Urbano VIII tessuti dall'arazzeria Barberini.
Il linguaggio figurativo dei cartoni (Urbano VIII si addottora a Pisa, Urbano VIII si reca a Perugia per porre riparo ai danni dell'inondazione del lago Trasimeno, Urbano VIII eletto cardinale: Roma, Galleria nazionale d'arte antica, Palazzo Barberini) appare profondamente influenzato dalla pittura di Pietro da Cortona, al punto che per lungo tempo la critica li ritenne opera del maestro toscano; spetta alla Mezzetti (1948) l'attribuzione al G., in seguito convalidata dai documenti (Barberini); è tuttavia indubbio che il G. renda volutamente omaggio al Berrettini, suo maestro e direttore dell'arazzeria, soprattutto nell'impianto monumentale delle figure e nel gioco sapiente dei panneggi.
Tra la fine del 1667 e gli inizi del 1669 si colloca il viaggio del G. nell'Italia centrosettentrionale, compiuto alla ricerca "del gusto, della maniera, e del bel colorito lombardo" (Pascoli, p. 726). In particolare, il G. si recò a Bologna, Milano, Venezia e, sulla strada del ritorno, a Perugia, dove fu ospite del conte O. Ferretti al quale si devono forse le future commissioni dell'artista in Umbria.
Nel giugno del 1669 il G. è documentato di nuovo a Roma, poiché in tale data ricevette pagamenti per la sua prima opera di ampio respiro, la decorazione del soffitto dell'oratorio di S. Maria in Trivio, portata a termine entro l'anno seguente (Cronaca dei ritrovamenti e dei restauri, in Le Arti, XX [1941], p. 67). Nel soffitto della chiesa, suddiviso in diciotto campi separati da cornici in stucco, sono raffigurate, nelle tre tele centrali, sui pennacchi e nelle sei lunette ad affresco, Storie della vita della Vergine.
Entro uno schema compositivo volutamente arcaico, il G. dà vita, attraverso molteplici riferimenti culturali, a una complessa sintesi pittorica in cui trovano spazio la cultura lombarda, in particolare echi dell'arte di Michelangelo Merisi da Caravaggio filtrati attraverso l'interpretazione di Mattia Preti, l'arte dei primi maestri, Mola e Pietro da Cortona, lo studio della grande pittura veneta del Cinquecento e di quella bolognese del Seicento; a ciò va aggiunta l'attenzione nei confronti dell'opera di G. Coli e F. Gherardi, allievi di Pietro da Cortona e autori, nel 1665, della decorazione del soffitto della biblioteca di S. Giorgio Maggiore a Venezia.
Nel 1669 il G. realizzò anche la tela con il Martirio di s. Barbara, commissionatagli per l'omonima cappella nella cattedrale di Rieti, andata dispersa durante alcuni lavori di restauro nella seconda metà del XVIII secolo. Nel 1673 il marchese Fabrizio Nari commissionò al G. la decorazione di una delle sale al piano nobile del proprio palazzo in via Monterone a Roma. In un ambiente piuttosto angusto, il G. raffigurò, al centro della volta, il Trionfo della Verità sull'Inganno, e, intorno, quattro episodi biblici con Storie di Ester. L'opera fu condotta a termine nel 1675.
Di qualità pittorica incerta, i dipinti furono ritenuti dalla critica, fino al ritrovamento dei documenti (Pickrel, 1983, p. 64), di epoca precedente al soffitto di S. Maria in Trivio (Mezzetti, 1948, p. 158; Lange, p. 336). Tale apparente debolezza stilistica è probabile sia dovuta alla modifica del progetto iniziale, che prevedeva una suddivisione della volta simile a quella di S. Maria in Trivio, a causa di un improvviso rifacimento del soffitto voluto dal committente. Dal punto di vista stilistico il G. si rifà esplicitamente alle tele con Storie di Ester dipinte da Paolo Caliari, detto il Veronese, nella chiesa di S. Sebastiano dei Gerolamini a Venezia.
Il 17 giugno 1674 il G. entrò nell'Accademia di S. Luca dove tuttavia la sua presenza è registrata solo sporadicamente (Ferraris, 1987-88, p. 53 n. 32).
A partire dall'ottavo decennio del secolo, il G. unì all'attività di pittore quella di architetto. Il 22 sett. 1675 venne inaugurata la cappella di S. Francesco Solano in S. Maria d'Aracoeli, per la quale il G. realizzò il progetto architettonico e la decorazione pittorica. Delle pitture tuttavia rimane solo la grande tela a lunetta con la Morte di s. Francesco Solano e i due piccoli riquadri a fresco con Storie del santo nella volta dell'abside.
Nella Morte del santo, il tono della composizione appare pacato, segnato da una sorta di adeguamento della pittura del G. alla tipologia classicista dei quadri di canonizzazione, lontano dai contrasti chiaroscurali delle opere precedenti. L'impianto della cappella è arricchito con motivi in stucco dorato che si intrecciano sulla volta a vela; due palme sostengono l'arco d'ingresso sulle quali sono figure di putti di derivazione borrominiana.
A partire dal 1677 il G. tornò a lavorare in S. Maria in Trivio per occuparsi della ristrutturazione della zona absidale; su suo disegno fu anche eseguito, intorno al 1678, il gruppo scultoreo in stucco con il Trionfo della Croce, posto sull'arcata della tribuna. Poco prima, entro il dicembre 1677, il G. aveva completato anche la tela per la volta dell'antisagrestia raffigurante la Visione di s. Filippo Neri, assai vicina alla tela dell'Aracoeli.
Entro il 1680 il G. si occupò del rifacimento della cappella funebre della famiglia Ávila nella chiesa di S. Maria in Trastevere e fu autore anche della tela per l'altare maggiore con S. Girolamo nel deserto; inoltre, come risulta dagli Stati d'anime della parrocchia dei Ss. Simeone e Giuda, dal 1673 l'artista risiedeva nel palazzo di Pietro Paolo Ávila, committente dei lavori.
Nella progettazione architettonica della cappella, "bizzarra e capricciosa" (Titi, p. 28), il G. ampliò in profondità il vano dell'altare maggiore restringendolo fino a fingere una fuga prospettica scandita da colonnine secondo un modulo tipicamente borrominiano; sopra la cupoletta, nel vano antistante l'altare, quattro angeli sorreggono sulle spalle l'aerea lanterna. Di contro alle "prudenti" realizzazioni di architetti come C. Fontana, il progetto del G. diventa più ardito e originale "di una grazia popolaresca che prefigura il gusto settecentesco" (Portoghesi, p. 399).
Tra il 1680 e il 1682 il G. ricevette pagamenti (Mezzetti, 1948, pp. 178 s.) per la pala posta sull'altare maggiore della chiesa del Ss. Sudario raffigurante Cristo giacente nel Sudario adorato dai santi e beati della casa Savoia. Negli stessi anni presentò anche un progetto per la ristrutturazione del presbiterio della chiesa, noto tramite il disegno oggi al Kunstmuseum di Düsseldorf (Pickrel, 1979, fig. 21); l'incarico venne però affidato nel 1687 a Carlo Rainaldi. È tuttavia possibile che il G. sia stato l'ideatore della decorazione in stucco, in particolare del gruppo scultoreo collocato sopra l'altare maggiore raffigurante il Creatore e la sacra Sindone sorretta da angeli, eseguito tra il 1688 e il 1689 dallo scultore Pietro Mentinovese, assiduo collaboratore dell'artista.
Composta da figure liberamente disposte nello spazio rivestite di panneggi gonfi ed elaborati, la composizione sembra porsi in contrasto con la crescente impronta classicista presente nella pittura dell'artista.
Contemporaneamente all'attività romana, il G. lavorò molto anche per diversi luoghi dell'Umbria e del Lazio. La tela con la Sacra Famiglia e s. Giovannino nel duomo di Monterotondo è caratterizzata da un "composto classicismo" (Casale, 1984, p. 740) che torna anche nell'Educazione della Vergine del duomo di Poggio Mirteto e nella Natività del Battista in S. Francesco a Narni, vicina, secondo Pickrel (1981, pp. 157-159), alla Morte di s. Francesco Solano. Al 1684 risale la tela con la Natività della Vergine, nella cappella del Sacramento del duomo di Gubbio, in cui al classicismo marattesco si uniscono evidenti somiglianze con la tela, di soggetto analogo, dipinta da S. Vouet in S. Francesco a Ripa. Firmata e datata 1688 è la tela con la Madonna che appare a s. Andrea nella Pinacoteca di Gubbio.
Nel 1691 il G. subentrò a Carlo Rainaldi, morto in quell'anno, come architetto della cappella della Congregazione dei Musici di S. Cecilia nella chiesa di S. Carlo ai Catinari, per la quale, nel 1688, aveva già ottenuto l'incarico di eseguire la pala d'altare. Il G. fu anche ideatore della decorazione, affidata a numerosi scultori e stuccatori, tra i quali G. Bilancioni, più volte suo collaboratore, e M. Maglia. I lavori si conclusero nel 1700.
Si tratta del tentativo più compiuto dell'artista di combinare architettura, scultura e pittura in omaggio ai grandi interpreti del barocco: di grande interesse è la varietà dei motivi scultorei, mentre un ruolo centrale è giocato dalla luce che scende copiosa dall'alto secondo una soluzione che avrà poi forte risonanza sull'architettura del Settecento. Più fedele alla concezione monumentale di Rainaldi rimane l'altare, sopra il quale è posta la pala con S. Cecilia conclusa entro il 1691-92, anno in cui F. Aquila la riprodusse a stampa (Pickrel, 1979, fig. 2).
Rispettivamente al 1692 e al 1693, risalgono le due tele eseguite dal G. per la chiesa S. Maria dei Laici a Gubbio, raffiguranti la Natività e l'Adorazione dei magi, entrambe ora sulla controfacciata del duomo della città. Comune alle due opere è il vigore chiaroscurale di marca pretiana; nell'Adorazione, in particolare, sono presenti brani di schietto naturalismo, come le ceste ricolme di panni, che riprendono motivi già presenti in S. Maria in Trivio. Prossima a queste due tele è l'Immacolata Concezione della chiesa di S. Francesco a Gubbio.
All'ultimo decennio del secolo appartengono anche le tele con la Vergine, Cristo e i ss. Francesco e Domenico nella chiesa di S. Lucia a Gubbio; l'Immacolata Concezione "dal sapore quasi domenichiniano" (Barroero - Saraca Colonnelli, p. 162), nell'omonima cappella della chiesa di S. Antonio del Monte a Rieti, costruita entro il 1697; la Sacra Famiglia con i ss. Giovannino e Anna, proveniente dalla demolita chiesa dei Ss. Venanzio e Ansuino dei Camerinesi in piazza dell'Aracoeli a Roma, ora nella chiesa del Cristo Re. In quest'opera, in particolare, sembrano tornare il deciso chiaroscuro e il vigoroso cromatismo delle pitture del Trivio.
A partire dal 1697, il G. si occupò del rifacimento della cappella di S. Teresa nella chiesa romana di S. Maria in Traspontina, per la quale eseguì anche il quadro con l'Estasi della santa; autore degli stucchi fu il Bilancioni, su idea dello stesso Gherardi. Rispetto alla celebre interpretazione dell'omonimo tema data da G.L. Bernini nel gruppo scultoreo di S. Maria della Vittoria, il G. sembra adottare toni più raccolti e intimi, memori anche del linguaggio caravaggesco.
Tra le opere conclusive dell'attività del G. si collocano le tele con S. Leonardo che libera un carcerato, datata 1698, e il presunto Ritratto di Paolo Mattei, entrambe nel Museo civico di Rieti. Prossima al S. Leonardo è la Crocifissione della chiesa parrocchiale di Roccagorga, nella quale Casanova (1971) ha evidenziato stringenti affinità tra la figura dell'Angelo e quello in stucco collocato al di sopra della pala d'altare nella cappella di S. Carlo ai Catinari.
Il G. morì a Roma il 10 maggio 1702 (Sacchetti Sassetti, p. 26) e fu sepolto nella chiesa di S. Maria sopra Minerva. Nel 1684 aveva sposato Porzia Albertelli, dalla quale ebbe quattro figli.
All'interno del nutrito corpus grafico gherardiano, si ricordano, in particolare, due disegni appartenenti alla fase giovanile dell'artista, raffiguranti Ercole incoronato dalle Esperidi ed Ercole nel giardino delle Esperidi, noti attraverso la versione incisa nel 1665 da François Spierre (Roma, Gabinetto nazionale delle stampe), nei quali evidente è l'influsso dell'arte di Pietro da Cortona. Blunt ha rintracciato e attribuito al G. sei disegni a Windsor Castle (Ester di fronte ad Assuero, il Trionfo di David, la Presentazione al tempio, il Giudizio di Salomone, Salomone sacrifica agli dei, la Sepoltura di s. Marco). Accanto alle osservazioni di Blunt, Vitzthum pone in rilievo le analogie tra il disegno con Ester di fronte ad Assuero e lo stesso soggetto dipinto dal G. in palazzo Nari. Schleier mette in dubbio l'origine gherardiana dell'intero gruppo (pp. 413 s.), ribadita invece da Pickrel (1979), il quale aggiunge al corpus gherardiano quattro disegni documentati, da collocare intorno agli anni Ottanta. Al G. sono stati attribuiti anche sette disegni della Biblioteca del Palazzo reale di Madrid (Díaz Gallegos - Ruiz).
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