GASPARI, Antonio
Poche sono le notizie certe sul G., figlio di Giovanni, nato probabilmente poco prima del 1660 in Veneto, forse non a Venezia. Dovette ricevere una prima formazione al fianco di Baldassarre Longhena, di cui continuò i lavori dopo la morte, avvenuta nel 1682. Imprescindibile per la ricostruzione dell'opera del G. è una serie cospicua di disegni di architettura (Venezia, Civico Museo Correr), relativi a fabbriche veneziane e non, civili e religiose, che il G., fra Sei e Settecento, progettò di ampliare o ristrutturare, spesso non riuscendo a portare a compimento le opere previste (Raccolta Gaspari, I-III). Fra i disegni del Museo Correr (circa trecento, per i quali si rimanda al catalogo stilato dalla Bassi, 1963), si ritrovano, infatti, alcune piante e sezioni relative alla chiesa veneziana di S. Marcuola, dove i lavori per la cappella maggiore fervevano ancora nel 1684. Intorno a tale anno, di conseguenza, può essere situato l'esordio effettivo del G., che con i suoi elaborati ci permette di considerarlo l'ideatore di tutto l'interno della chiesa. Nelle piante viene sperimentata una soluzione centrica basata su un quadrato, in cui lo spazio unificato dell'aula e del coro è limitato agli angoli da nicchie che congiungono i quattro lati dell'invaso. Tali soluzioni, mirate a creare una continuità muraria puntualizzata da un ritmo regolare di pilastri e colonne libere, lasciano già intravedere l'attrazione costante mostrata dal G. per i celebri esempi berniniani e borrominiani della Roma barocca.
La prima attività del G. dovette essere favorita dalla benevolenza usatagli da Bernardo Nave, patrizio veneziano, per il quale edificò, verso la fine del nono decennio, la piccola chiesa di famiglia a Cittadella, attribuitagli di recente da Mariuz e Pavanello. Allo stesso Nave, a riprova dell'amicizia che doveva legarli, è infatti dedicata un'incisione (1686) nella quale compare in pianta, in alzato e in sezione, l'altare maggiore progettato dal G. per la chiesa di S. Moisè, compito che lo impegnò ugualmente all'inizio degli anni Ottanta e che apre il novero delle numerose opere lasciate sulla carta, presenti nei disegni del Museo Correr.
In tale ipotesi, incisa probabilmente perché ritenuta più efficace delle altre, più pittoriche in senso scenografico, il G. prevedeva, all'interno della chiesa che si andava ricostruendo in quegli anni, una vasta rappresentazione di un episodio della vita di Mosè, realizzata con un imponente rilievo naturalistico che avrebbe occupato la parete di fondo in tutta la sua altezza. Analogamente a S. Marcuola, quindi, anche qui ricorrono negli stessi anni chiari riferimenti all'esuberanza dei modelli berniniani, a causa dell'inserimento nell'architettura di sculture tali da stupire gli astanti con il loro accentuato realismo.
Una vena analoga contraddistingue il progetto realizzato, questa volta, contemporaneamente alla riedificazione della chiesa, dell'altare maggiore di S. Marziale (1684-93), dove un Cristo Risorto compare a coronamento di un globo terrestre sorretto da angeli e santi. Se la paternità del gruppo scultoreo disegnato potrebbe non spettare al G., a lui sono certamente ascrivibili gli altari barocchi sui lati della chiesa, che con il loro aspetto rimandano puntualmente agli esemplari tipici di Andrea Pozzo, frequenti nelle chiese gesuite del tempo. Le tendenze del G. in senso "romanista" si rivelano ancora una volta in un'opera anteriore al 1699, l'altare di S. Teresa nella chiesa degli Scalzi.
Già da una prima idea grafica è chiaro che la struttura, finanziata dalla famiglia Ruzzini, fu concepita per dare risalto maggiore alle statue di mano di Enrico Meyring, al quale si deve anche la pala marmorea centrale che raffigura l'Estasi della santa, dettata dall'iconografia della celebre Estasi berniniana in S. Maria della Vittoria a Roma. In una prima ipotesi, il G. prevedeva un'arcata a tutto sesto circoscritta a un timpano mistilineo sul quale, all'interno di un oculo circondato da santi, avrebbe dovuto comparire l'immagine di Dio Padre. È significativo, a riprova di una compresenza di modelli palladiani e di suggestioni romane poste a fondamento dell'insieme, che nell'esecuzione si preferì evitare il timpano bizzarro che figura nel disegno a favore di un partito più normativo, sorretto da quattro colonne libere fra cui s'inseriscono due delle quattro statue previste in un primo tempo. Alla stessa maniera, fu mantenuto l'oculo centrale, ma inserendolo in maniera più salda all'interno di un ampio timpano curvo sostenuto ai lati da statue.
Ai fini dell'orientamento del gusto del G. in senso barocco e berniniano, in particolare, non dovette essere di poco conto l'influenza del rapporto con lo scultore Filippo Parodi, giunto a Venezia su invito dei Morosini, famiglia per la quale lo stesso G. sarebbe stato chiamato a dare il suo contributo in più occasioni. Una collaborazione fra i due artisti sarebbe ipotizzabile (Bassi, 1963, pp. 67 s.) già per l'erezione del monumento funebre del patriarca Francesco Morosini in S. Nicola dei Tolentini, che seguirebbe una precedente partecipazione sempre del G. con Giusto Le Court nell'edificazione dei monumenti dedicati a Giorgio e Pietro Morosini (circa 1683) in S. Clemente in Isola. E ancora un altro Francesco Morosini, prima di essere eletto doge e di trionfare sui Turchi, chiese al G. una ristrutturazione del suo palazzo in campo S. Stefano e una tomba di famiglia nella chiesa omonima situata all'estremità opposta della piazza.
L'intervento nel palazzo, probabilmente incompiuto, è oggi poco leggibile e anche il progetto per la tomba si risolse con l'impressione di un semplice sigillo sul pavimento della chiesa, nonostante il G. avesse addirittura ritenuto possibile rimodernare l'intera navata sinistra in seguito all'erezione di una sontuosa cappella di famiglia al centro, dotata di un cupolino che captasse la luce diurna e la facesse risaltare all'interno. Nei disegni essa appare limitata sui lati da due paraste piramidali con bugne decorate da rilievi relativi alla vita del committente: al centro sarebbe stato posto il monumento celebrativo del Morosini, per il quale il G. stilò numerose versioni, in alcune delle quali, concepite più semplicemente come fondali della campata corrispondente, ritorna il tema della piramide istoriata attorniata da figure allegoriche e motivi illusionistici, come ampi tendoni in stucco sullo sfondo della statua del Morosini, che rimandano a idee analoghe per l'altare maggiore in S. Moisè. La presenza di bugne istoriate, invece, ha come precedente un'incisione di Domenico de Rossi di un catafalco progettato da Bernini in S. Maria in Aracoeli in onore di Francesco di Beaufort, morto al servizio della Repubblica nel 1669.
Una serie di progetti del G. per la ricostruzione completa della chiesa di S. Vidal, lascia comprendere che i successi militari sui Turchi di Francesco Morosini, detto il Peloponnesiaco, indussero la famiglia a ricostruire completamente la facciata della chiesa, posta anch'essa presso il palazzo, per farne un cenotafio alla memoria di Francesco, continuando una tradizione invalsa a Venezia fin dalla metà del XV secolo.
Tenendo a mente il Bernini di S. Andrea al Quirinale, il G. modificò l'accesso alla chiesa, ponendolo sul campiello verso il Canal Grande, e definì in numerose varianti una pianta dell'interno dal profilo ovale e coperta da una cupola, con un coro profondo in corrispondenza dell'asse minore che, per le dimensioni, si distingue ampiamente dalle altre cappelle radiali. In una versione, in particolare (Raccolta Gaspari, III, 65), il G. sembra concentrare la sua attenzione per le modalità d'illuminazione dell'interno, stabilendone l'intensità maggiore al centro, in corrispondenza del cupolino, e nel coro, dove l'altare maggiore, in asse con l'ingresso, sarebbe stato rischiarato da due larghe finestre laterali. In questa soluzione, inoltre, la facciata assume un andamento curvilineo, e la sequenza di tratti concavi e convessi ne palesa la diretta derivazione dalle ben note fronti romane ideate dal Borromini. Fra i progetti per la facciata di S. Vidal, sicuramente i più noti del G., si conta più di un'ipotesi, e le versioni più interessanti sono quelle dove ritornano le piramidi ornate da rilievi già proposte per la cappella Morosini in S. Stefano, qui messe in scala gigantesca ai lati del portale. È verosimile che fosse proprio la dirompenza trasgressiva dei canoni cinquecenteschi, dimostrata da un'inserzione decorativa così particolare, a far accantonare le idee del G. a favore del progetto rigorosamente classicista di Andrea Tirali eseguito alcuni anni più tardi; così come anche l'interno della chiesa, e probabilmente per motivi analoghi, fu ridotto a una semplice pianta rettangolare dallo stesso G. (circa 1700).
Dopo il 1694 diede il disegno anche per l'arco trionfale eretto in ricordo del Morosini come portale della sala dello Scrutinio in palazzo ducale, opera dalle linee severe derivata direttamente dai modelli imperiali romani, anche se l'esuberanza della decorazione architettonica e i dipinti di Gregorio Lazzarini che vi sono inseriti ne denunciano apertamente il carattere barocco. Fra i lavori eseguiti dall'architetto in altre fabbriche religiose, registrati nei suoi disegni, si ricordano gli interventi per la cuspide del campanile dei Ss. Apostoli, per la facciata della chiesa del Carmine a Treviso (1693), per la facciata di S. Canciano (1706), per il restauro della cupola di S. Giorgio Maggiore (1718), per la parziale ricostruzione di S. Sofia, per la cappella Zane in S. Stin (distrutta insieme con tutta la chiesa nel secolo scorso) e per l'edificazione della chiesa di S. Maria della Consolazione o della Fava (1705-15) e del duomo di Este (1687-1708).
La ricostruzione di quest'ultimo testimonia la caparbietà dell'architetto nel voler sperimentare le possibilità offerte dalla scelta di una pianta ovale, questa volta con l'ingresso e l'altare maggiore posti alle estremità dell'asse maggiore dell'ellisse, secondo l'esempio romano tardocinquecentesco di S. Giacomo degli Incurabili. L'interno, ampio e luminoso per gli alti finestroni posti alla base delle vele della cupola che copre tutto l'ambiente, costituisce uno dei risultati più soddisfacenti dell'attività del G.; e la chiarezza dello spazio unificato, scandito dal ritmo regolare delle paraste corinzie a sostegno della trabeazione sulla quale poggia la cupola, manifesta tutta la sua maturità professionale, raggiunta attraverso la fusione continua di modelli palladiani e longheniani con gli stimoli più attuali del barocco romano. È singolare che, nel corso di questa lunga impresa, le sue posizioni fossero avversate proprio dal grande epigono della scuola berniniana, Carlo Fontana, al quale, nel 1689, fu chiesto un parere sul progetto presentato dal Gaspari. Fontana sconsigliò di adottare una pianta ovale e ne propose una a croce latina che il G., a sua volta, ritenne incompatibile con il mantenimento di alcune murature preesistenti che si volevano reimpiegare. A tali osservazioni, Fontana "con una risata alla romana si licenziò dal rispondere e protestò che il modello del Gaspari aveva più spropositi che linee e cose simili" (Bassi, 1963, p. 82).
La predilezione per la forma ovale nell'impianto delle fabbriche ecclesiastiche si ritrova nel progetto per S. Maria della Fava, edificata fra il 1705 e il 1715, anche se fu consacrata solo nel 1753, quando Giorgio Massari la completò con l'erezione dell'abside. Tuttavia la piccola chiesa, a pianta rettangolare con angoli smussati, fu costruita in maniera molto semplificata rispetto alle previsioni iniziali, soprattutto per l'assenza della grande cupola al centro, che il G. aveva pensato di porre al di sopra di un alto tamburo munito di finestre che avrebbero assicurato allo spazio interno una luminosità molto maggiore di quella che si può constatare oggi. Fra i numerosi altri progetti per edifici religiosi non eseguiti si ricordano quello per il coro di S. Giustina a Padova e per il refettorio del convento relativo, quello per l'altare maggiore di S. Luca, sempre a Padova, e, a Venezia, quello del monumento Valier e quelli per la cappella di S. Domenico in Ss. Giovanni e Paolo. Per quanto attiene all'architettura civile, il G. fu impegnato in numerosi incarichi di ristrutturazioni generali, arrivando talvolta a risultati di grande effetto, come il grande scalone di palazzo Gozzi, poi Seriman ai Ss. Apostoli, la facciata di palazzo Giustinian a S. Barnaba e il nuovo assetto di palazzo Michiel delle Colonne sul Canal Grande a S. Sofia (ultimamente Donà delle Rose). Prima del 1710 fu incaricato anche del completamento della longheniana Ca' Pesaro, realizzandovi lo scalone e la parte dell'edificio verso il cortile, e ultimando il secondo in base al disegno del Longhena. Durante l'ultimo decennio del Seicento gli Zane gli commissionarono una nuova grande scala nel loro palazzo presso S. Stin, incaricandolo anche di ridisegnare il prospetto sul giardino interno. Agli stessi anni, e comunque prima del 1700, risale la costruzione di palazzo Zenobio ai Carmini, nel quale l'elemento di spicco è il grande salone sulla fondamenta che, grazie ai begli affreschi di Louis Dorigny, sarebbe divenuto un termine di confronto imprescindibile per lo sviluppo dell'arte veneziana tardobarocca.
La decorazione architettonica e figurativa di tutto il palazzo costituisce la riprova di come, seppure in ritardo, a Venezia andavano facendosi sempre più evidenti elementi stilistici mutuati da tradizioni diverse da quella lagunare, come quella romana o bolognese, a significare come ci fosse un vivo interesse, da parte di alcuni committenti, per i contesti artistici formatisi in altre parti d'Italia, interesse che solo alcuni studi recenti sul collezionismo del Seicento a Venezia stanno iniziando a indagare.
Come per quella di nascita, anche per la data di morte del G. è possibile solo fare delle congetture. È noto che possedeva delle proprietà immobiliari a Castel Guglielmo, nel Rodigino, e probabilmente dovette ritirarsi da quelle parti verso il 1725, morendovi fra il 1738 e il 1749 e lasciando un figlio, di nome Gian Giacomo, che, invece, risiedeva a Venezia. Un altro figlio, Giovanni Paolo (Venezia 1712 - Monaco di Baviera 1775), pittore prospettico e scenografo, fu attivo prevalentemente in Germania (The New Grove Dictionary of opera, II, pp. 354 s.).
Fonti e Bibl.: G.A. Moschini, Nuova guida per Venezia, Venezia 1828, p. 165; F. Zanotto, Le fabbriche e i monumenti cospicui di Venezia, II, Venezia 1858, pp. 73, 86; P. Selvatico, Sulla architettura e scultura in Venezia, Venezia 1847, p. 465; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Milano 1926, pp. 313, 527; G.M. Badile, Un architetto veneto del Settecento: A. G., in Arte veneta, VI (1952), pp. 166-169; E. Bassi, L'edilizia veneziana nei secoli XVII e XVIII. Il restauro di palazzi, in Critica d'arte, IV (1957), 19, pp. 2-21; Id., Episodi dell'edilizia veneziana nei secoli XVII e XVIII. Palazzo Pesaro, ibid., VI (1959), pp. 240-264; Id., Un episodio dell'edilizia veneziana del secolo XVII: i palazzi Zane a S. Stin, in Arte veneta, XV (1961), pp. 155-164; Id., L'architettura del Sei e Settecento a Venezia, Napoli 1962, pp. 246-267; Id., Episodi di architettura veneta nell'opera di A. G., in Saggi e memorie di storia dell'arte, III (1963), pp. 55-108 (con regesto dei documenti); S. Biadene, A. G.: i progetti non realizzati, in Le Venezie possibili. Da Palladio a Le Corbusier (catal., Venezia), a cura di L. Puppi - G. Romanelli, Milano 1985, pp. 94-106; A.M. Matteucci, L'architettura del Settecento, Torino 1992, pp. 297-300, 310, 314; A. Mariuz - G. Pavanello, La chiesetta di Bernardo Nave a Cittadella, in Arte veneta, L (1997), pp. 70 s., 83; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 228 s.