GANDINO, Antonio
Figlio diBernardino de Zambaitis, "cognomento Gandino" dal paese di provenienza, nel Bergamasco, nacque verso il 1560 (e non nel 1565, come solitamente riportato) probabilmente a Brescia, dove fu attivo come pittore.
A partire dal 1590, anno in cui versò la quota di appartenenza alla locale Confraternita di S. Rocco, è spesso documentato a Riva del Garda (Crosina), dove possedeva una casa e dove, già nel 1589, risulta vivere il fratello Girolamo. A Riva sposò, in data imprecisata, Francesca Gardescano, figlia di Battista, un agiato commerciante del luogo. Nel maggio del 1606 stipulò il contratto per il S. Antonio Abate con i ss. Agata, Apollonia, Rocco e Leonardo (saldato nel 1607) per la Disciplina di Riva del Garda e ora nel locale Museo civico: alla stesura dell'atto il G., assente, venne rappresentato dal fratello.
Dovrebbe invece essere riferita a qualche anno dopo una seconda e ben più importante opera rivana, fin qui sfuggita agli studiosi, e cioè l'avvio della decorazione, poi interrotta e in anni più tardi continuata da Martino Teofilo Polacco e da Pietro Ricchi, del santuario dell'Inviolata; spettano al G. scene dipinte all'interno della cupola: l'Incoronazione della Vergine, nell'occhio centrale, e l'Assunzione di Maria. Ignote sono le cause che indussero il G. a interrompere questi lavori, che possono essere avvicinati alla ricca decorazione in stucco della chiesa, opera di David Reti, datata 1609 in un riquadro del presbiterio.
Il G. risulta essere presente soprattutto a Brescia: il 2 nov. 1608 funse da padrino al battesimo di Antonio, figlio del collega Viviano Viviani (Guzzo, 1996); e nelle schede manoscritte di Camillo Boselli, citate da Stradiotti (1986, p. 255), il nome dell'artista compare in otto atti notarili compresi tra il 1611 e il 1628.
Stilisticamente il G. si inserisce da protagonista (non solo per la vasta attività) nel panorama bresciano del tempo, in un ambiente particolarmente sensibile alle istanze controriformistiche dove, sulla tradizione legata al Moretto (A. Bonvicino), si innestano, da un lato, gli influssi cremonesi e, dall'altro, un'ancor più stretta dipendenza dal tardo manierismo lagunare e da J. Palma il Giovane. Tuttavia, a differenza di C. Rama e F. Giugno, imitatori del veneziano a tal punto che tuttora le loro opere possono essere confuse con quelle di Palma, la sua posizione appare originale per complessità e sensibilità.
Il rapporto con P. Caliari (indicato come suo maestro già da Pola nel 1615) e con la cultura veneta è attestato da alcune opere giovanili: il Convitto di Baldassare dei Musei civici di Brescia; la Resurrezione di Cristo coi ss. Faustino e Giovita di Ospitaletto; il Martirio di s. Giorgio della parrocchiale di Bovegno, opera esemplata su quella del Veronese nella chiesa di S. Giorgio in Braida a Verona e cronologicamente legata all'ordine di eseguire la pala, che è del 1583 (Guzzo, 1988); la Madonna col Bambino nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, che sembra rechi sul retro la data 1597.
Sempre al periodo giovanile appartiene la Santissima Trinità e i ss. Antonio Abate e Bernardo della parrocchiale di Brozzo che già rivela, nella cromia tendente ai toni aciduli e cangianti, un certo interesse verso la pittura del Centro Italia.
Per Lanzi, il G. "fra gli scolari di Paolo… seguì talora anche il Vanni, e non obbliò il Palma": il riferimento al pittore senese trova puntuale conferma nella segnalazione, nelle guide del Paglia e del Carboni, di un ciclo di tele perdute, già nella chiesa dell'ospedale degli Incurabili o di S. Caterina da Siena, che raffiguravano fatti della vita di s. Caterina derivati da "stampe" di F. Vanni (evidentemente la serie di fogli incisi da Pieter de Jode su disegni di quest'ultimo).
Nel 1606 il G. firmò e datò la Madonna col Bambino e santi, conservata a Tizio di Collio, e il Cristo coi simboli della Passione e santi di Bovegno; mentre è databile al 1605 circa il Duca Namo che dona le reliquie delle Sante Croci, nel duomo vecchio di Brescia. Al primo decennio risale anche l'Incoronazione della Vergine coi ss. Stefano e Lorenzo della chiesa bresciana di S. Giuseppe. Alle opere di questo periodo si può avvicinare il Padre Eterno, angeli e i ss. Giovanni Battista e Francesco nella parrocchiale di San Martino in Rio, presso Reggio Emilia, collocato su un altare eretto dopo il 1607 e recentemente segnalato come opera di S. Peranda (A. Mazza, in La pittura veneta negli Stati Estensi, Verona 1996, pp. 167-170).
In seguito l'influsso di Palma sulla pittura del G. sembra farsi più pressante, probabilmente a causa del successo che l'attivissimo pittore veneziano ottenne, a partire dai primi anni del secolo, presso la committenza bresciana.
Tuttavia, rispetto alla versione fumosamente plumbea fornita dai suoi colleghi, il G., grazie alla fedeltà nei confronti della tradizione morettesca e dei suoi preziosi toni freddi e argentati, giunse a un'originale e complessa sintesi in cui il ricorso ai modi grafici e chiaroscurali palmeschi non è mai meccanico, né vuole essere mimetico e falsificatorio come avviene, invece, per esempio, in molte opere di F. Giugno.
Testi esemplari di questa posizione, probabilmente riconducibili al secondo decennio del Seicento, sono il S. Rocco della chiesa bresciana dei Ss. Nazaro e Celso, il cui disegno preparatorio si conserva nei Musei civici di Brescia (Guzzo, 1983), l'Assunzione della Vergine nella chiesa di S. Maria in Silvis a Pisogne, la Madonna coi ss. Francesco e Carlo in S. Agata a Brescia.
Nel 1610 il G. venne pagato per l'Apparizione della Vergine a Maria Amadini nel santuario di S. Maria della Misericordia a Bovegno (Volta, 1985) e l'anno seguente gli venne saldata la Cena in Emmaus eseguita per la parrocchiale di Nave (Sabatti, 1988). Conferma il buon nome ormai acquisito come pittore la chiamata nel 1614 a Verona per decorare la sala pretoria nel palazzo del Podestà: qui il G. eseguì, a olio, diciotto dipinti incastonati nel soffitto a lacunari e, ad affresco, le quadrature alle pareti con armi e figure allegoriche, secondo un complesso programma iconografico steso dal letterato bresciano Ottavio Rossi (Guzzo, 1991).
A proposito della sua attività di decoratore ad affresco sono da ricordare anche i cicli nella pieve di S. Pancrazio a Montichiari (1615 circa), nel broletto e nel palazzo vescovile di Brescia: in quest'ultima sede restano un fregio ad affresco coi ritratti dei vescovi di Brescia fino al 1484, nonché altri ritratti vescovili a olio su muro che documentano gli interessanti esiti raggiunti dal pittore anche in campo ritrattistico. In quanto alla decorazione profana, perduto il ciclo veronese, l'abilità del G. è oggi attestata dalla decorazione del vestibolo e del salone di palazzo Avogadro-Spada a Bagnolo Mella, fin qui attribuita alla scuola di L. Gambara (C. Perogalli - M.G. Sandri - V. Zanella, Ville della provincia di Brescia, Milano 1985, p. 35), con ritratti degli Avogadro ed episodi di guerra impostati entro complesse quadrature architettoniche attribuite a Ottavio e Stefano Viviani.
Nell'agosto del 1615 il G. è ricordato come residente a Brescia nel testamento del fratello Girolamo, che lo nominò erede di alcune proprietà a Gandino e nella provincia bergamasca. Il 17 sett. 1617 gli vennero commissionati i Misteri del Rosario per la parrocchiale di Bedizzole, mentre risale a dopo il 1624 l'incarico per quelli della parrocchiale di Carpenedolo (Trebeschi, 1983).
Se nella Madonna col Bambino e i ss. Gottardo, Fermo, Lorenzo, Vigilio e Giorgio di S. Maria della Stella a Cellatica (1621-23), il G. continuò ad appoggiarsi a prototipi di simmetria cinquecentesca, con esiti controriformistici non dissimili da quelli del bergamasco G.P. Cavagna, nel terzo decennio del Seicento l'artista seppe ancora rinnovarsi, almeno nelle opere pienamente autografe, meditando con un particolare accento di severità anche sulla pittura emiliana e carraccesca: così avviene nella parte superiore della Madonna col Bambino in gloria e s. Carlo della chiesa di S. Giorgio (ora nel Museo diocesano di Brescia) e, soprattutto, nel Trasporto del corpo della Vergine, recentemente acquisito dai Musei civici di Brescia, la cui composizione sembra riprendere quella dei Funerali della Vergine di L. Carracci già nella cattedrale di Piacenza e oggi nel palazzo ducale di Parma (Guzzo, 1986).
Nel 1625 il G. avviò il cantiere di decorazione ad affresco della navata della chiesa bresciana dei Ss. Faustino e Giovita, dove si trovano quadrature dipinte da Tommaso Sandrini (Stradiotti, 1986). Nel 1628 il G. firmò e datò il Martirio di s. Pantaleone nella parrocchiale di Gardone Valtrompia; risale allo stesso anno il Miracolo di s. Domenico, firmato, della chiesa di S. Agata a Martinengo, vicino a Bergamo. Tra il 1628 e il 1629 si scalano anche i pagamenti a "li signori Gandini", evidentemente il G. e il figlio Bernardino, per i riquadri affrescati con episodi di soggetto mariano nel presbiterio della chiesa del Corlo a Lonato (Piazzi, 1975).
Purtroppo è proprio in questa fase tarda che tende a prendere il sopravvento la mano degli aiuti nelle opere prodotte dalla bottega del G.: il figlio Bernardino, innanzitutto, al cui intervento si deve il prevalere di un cromatismo pesantemente chiaroscurato; ma non vanno dimenticati altri allievi ricordati dalle fonti, quali O. Amigoni e il meno noto S. Della Corte. Tra gli aiuti di bottega è probabilmente da annoverare anche Alessandro Sampili, sposato con la nipote Paola.
Risalgono al 1627 e 1630 due polizze d'estimo (Comboni) da cui risulta che il G. si era risposato con una donna più giovane, di nome Giuliana; oltre alle proprietà in Brescia (compresa l'abitazione collocata nei pressi del vescovado) e provincia, vengono ricordati la figlia Domenica, rimasta vedova e, ma solo nella prima polizza, un debito nei confronti di A. Sampili.
Il G. morì a Brescia il 17 luglio 1630 (Guerrini, 1931).
Secondo la letteratura locale, divenne pittore anche il primogenito del G., Carlo Francesco, nato nel 1615, ma di esso non si hanno altre notizie.
Dalle polizze del G. del 1627 e 1630 si ricava che l'altro suo figlio, Bernardino, nacque nel 1589, che era sposato a una certa Antonia, che era padre di Carlo Francesco, Antonio, Fulgenzia e Giovanni Battista e che viveva con la propria famiglia nella casa paterna.
Nel 1621 Bernardino dipinse alcuni non meglio specificati "paesi" in una camera dell'abitazione della famiglia Bianchi (ibid.). La sua presenza nella produzione paterna divenne sempre più evidente, come documentano la decorazione ad affresco della navata della chiesa dei Ss. Faustino e Giovita (1625), parte delle opere nella chiesa del Carmine e i riquadri affrescati con episodi mariani nel presbiterio della chiesa del Corlo a Lonato.
Nel 1636 e nel 1637 Bernardino è documentato a Bagolino per stimare alcuni affreschi eseguiti nella prepositurale di S. Giorgio da A. Terzi (Formenti, 1990), mentre il 2 ag. 1638 è padrino al battesimo di Marta Carra, figlia dello scultore Carlo (Guzzo, 1986). L'8 apr. 1642 venne pagato per l'esecuzione di una Pala del Rosario (perduta) destinata alla parrocchiale di Cazzago San Martino (Anelli, 1982).
Nel 1646, nella chiesa dei Ss. Faustino e Giovita, venne rifatto in marmo l'altare di S. Onorio (P. Guerrini, Le cronache bresciane inedite dei secoli XV-XIX, V, Brescia 1933, p. 9), e a tale avvenimento può essere collegata l'esecuzione della Gloria di s. Onorio, tuttora nella cappella (ora battistero): nello stesso anno (Guerrini, 1930) il pittore venne pagato per lo Sposalizio della Vergine, una delle sue tre tele distrutte nel corso del bombardamento che nel 1944 colpì il santuario bresciano di S. Maria dei Miracoli.
Bernardino morì a Brescia il 26 ott. 1651 e venne sepolto nella cattedrale (Boselli, 1966).
Si deve all'intervento di Bernardino la presenza nei cantieri del G. dello stile di Palma il Giovane interpretato nei termini di un chiaroscuro fumoso e pesante. Un esempio di questa collaborazione è leggibile anche nel Miracolo di s. Domenico di Martinengo (1628), in cui l'intonazione plumbea, e certe grossolanità esecutive, segnalano l'ampia presenza di Bernardino. Questi è destinato a tradire la complessa e colta eredità del padre con un più accomodante e manierato palmismo, nella dimensione di un modesto artigianato: unici sintomi di ammodernamento sono in certe luci untuose, che rivelano l'influsso anche della pittura milanese nell'orbita di G.B. Crespi, il Cerano. Tuttavia, gli va riconosciuto il merito di aver assicurato con la propria bottega la sopravvivenza di una scuola locale e di essere stato, dopo la peste del 1630, un punto di riferimento per altri pittori: dal veronese F. Barbieri, ai bresciani F. Bernardi, P. Ghitti e, forse, F. Paglia, al quale si deve il rinnovamento della pittura bresciana a cavallo tra Sei e Settecento.
Le opere migliori di Bernardino restano legate all'utilizzazione dei materiali di bottega lasciati dal padre (Guzzo, 1986): le distrutte tele nella chiesa bresciana di S. Maria dei Miracoli (Sposalizio della Vergine, Adorazione dei magi e Pentecoste) dipendevano, infatti, da disegni del G. utilizzati anche negli affreschi "a due mani" di Lonato; la Natività dellaMadonna di collezione privata deriva, invece, se pur in controparte, dalla Natività del santo nel S. Rocco paterno di Ss. Nazaro e Celso.
Di Bernardino sono ancora da ricordare, databili agli anni Trenta, la S. Maria Egiziaca (Ss. Faustino e Giovita), che è in serie con analoghi dipinti di A. Terzi e di G.G. Barbello, e il S. Nicola da Tolentino e gli appestati nella parrocchiale di San Gervasio, al quale sembra ispirarsi P. Ricchi nel dipinto di identico soggetto a Gavardo (Guzzo, 1996). Di Bernardino è pure il Cristo in gloria con la Madonna, i ss. Carlo e Francesco e le anime purganti della parrocchiale di Bagnolo Mella che ripete, pur con un'altra impaginazione, le figure dipinte in un soffitto di analogo soggetto affrescato nella chiesa di S. Maria a Valvendra di Lovere, in un ciclo riferito, per la presenza della firma, a Ottavio Viviani (1646): quest'ultimo pittore tuttavia è documentato solo come quadraturista e resta quindi verosimile che a Bernardino spettino in quel ciclo i riquadri di figura. Un Martirio dei ss. Faustino e Giovita attribuito a Bernardino era segnalato in un inventario del 1820 dei beni toccati agli eredi di C. Martinengo (Anelli, 1997).
Fonti e Bibl.: F. Pola, Lo Stolone, Verona 1615, passim; B. Faino, Catalogo delle chiese di Brescia (1630-69), a cura di C. Boselli, Brescia 1961, ad indicem; F. Paglia, Il giardino della pittura (1660-75), a cura di C. Boselli, I, Brescia 1967, pp. 5, 16, 21, 28, 36, 48 s., 61, 77, 83 s., 89-92, 102-104, 107, 117, 125 s., 131, 134, 138, 152 s., 167, 173, 195, 198, 252, 259 s., 266, 269, 270-273, 282-286, 288 s., 313, 339, 399, 438, 440, 443, 494, 557-559, 561, 568-570; Id., Il giardino della pittura (1692-94), a cura di C. Boselli, Brescia 1959, pp. 4, 6, 10, 12-14, 17 s., 20, 25, 29 s., 36 s., 46 s., 49-52, 54, 57, 60 s.; L. Cozzando, Vago e curioso ristretto profano e sagro dell'historia bresciana, Brescia 1694, pp. 110 s.; G.A. Averoldo, Le scelte pitture di Brescia additate al forestiere, Brescia 1700, ad indicem; F. Paglia, Il giardino della pittura (1708-13), a cura di C. Boselli, Brescia 1967, pp. 39, 44, 49, 54, 58 s., 67 s., 70 s., 85 s., 92, 95, 98-100, 103-105, 115, 118, 121, 131-133, 135, 138 s.; F. Maccarinelli, Le glorie di Brescia (1747), a cura di C. Boselli, Brescia 1959, pp. 1, 5, 9, 13 s., 17-19, 23, 30 s., 33, 37, 39, 45-48, 62, 67, 70 s., 74, 76, 81, 99, 106, 109 s., 119, 123, 127, 129, 133 s., 139, 143-145, 147, 149, 151, 155, 160; Id., Le glorie di Brescia (1751), a cura di C. Boselli, Brescia 1959, pp. 2, 10, 16, 25 s., 33, 39, 46, 48, 53, 57 s., 61, 66, 70 s., 80, 82 s., 85, 107, 112, 117 s., 124, 125 s., 132, 156, 182, 197 s., 208, 215, 219, 222, 238 s., 246, 249, 262; G.B. Carboni, Le pitture e sculture di Brescia…, Brescia 1760, pp. 5 s., 8, 10, 12, 21, 23 s., 29, 31, 33 s., 39 s., 45, 50, 53, 57, 59 s., 66 s., 70, 75, 82, 84-89, 108, 115, 124, 132, 140, 142; M. Oretti, Pitture della città di Brescia e del suo territorio (1775), a cura di C. Boselli, Brescia 1958, p. 163; Delle pitture di Brescia (1791), a cura di C. Boselli, Brescia 1960, pp. 2, 4, 6, 10, 13 s., 16 s., 19, 23 s., 26 s., 30, 32, 34, 39-41, 43-45; F. Nicoli Cristiani, Vita e opere di L. Gambara, Brescia 1807, pp. 57 s., 163 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1808), II, Firenze 1970, p. 152; P. Brognoli, Nuova guida per la città di Brescia, Brescia 1826, ad indicem; S. Fenaroli, Dizionario degli artisti bresciani, Brescia 1877, pp. 152 s.; P. Guerrini, Il santuario civico di S. Maria dei Miracoli. Note e documenti inediti, Brescia 1930, p. 24; Id., Le cronache bresciane inedite dei secoli XV-XIX, IV, Brescia 1931, p. 468; E. Calabi, La pittura a Brescia nel Seicento e Settecento, Brescia 1935, pp. 45-48; U. Vaglia, Dizionario degli artisti e degli artigiani valsabbini, Sabbio Chiese 1948, p. 98; C. Boselli, Gli elenchi della spoliazione artistica nella città e nel territorio di Brescia nell'epoca napoleonica, in Commentari dell'Ateneo di Brescia per il 1960, CLIX (1961), pp. 282, 284, 289 s., 295, 310 s., 314 s., 317, 325; Id., Miscellanea archivistica di storia dell'arte bresciana, in Arte lombarda, XI (1966), 1, p. 84; G. Panazza, Itinerario artistico in Valle Trompia, in Antologia gardonese, Brescia 1969, pp. 23, 35 s., 41; Id., in Il lago di Garda. Storia di una comunità lacuale, I, Brescia 1969, p. 236; C. Boselli, Asterischi bresciani: alcuni quadri ritrovati, in Arte veneta, XXVI (1972), pp. 200 s.; L. Anelli, Schede bresciane per Stefano Viviani, Antonio Dusi, il Bagnatore, A. G., il Cossali, in Arte lombarda, XIX (1974), 41, pp. 95 s.; G. Panazza, Notizie artistiche sul santuario della Madonna della Stella, in Studi in onore di Luigi Fossati, Brescia 1974, pp. 219 s., 224 s.; A. Piazzi, La Confraternita dei Disciplini e la chiesa del Corlo in Lonato, Verona 1975, pp. 281-288; A. Fappiani - L. Anelli, S. Maria dei Miracoli, Brescia 1979, p. 79; L. Anelli, Ricognizioni nel Seicento, in Brixia sacra, n.s., XVII (1982), pp. 150 s.; E.M. Guzzo, Un disegno e qualche appunto per A. G., in Memorie bresciane, III (1983), 2, pp. 53-57; F. Murachelli, La pittura a Brescia nel Seicento e Settecento, Brescia 1983, pp. 9, 23 s., 35, 48 s., 58; M. Trebeschi, Dipinti di A. G. nella chiesa parrocchiale di Bedizzole, in Brixia sacra, XVIII (1983), pp. 1 s.; M. Olivari, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, II, Bergamo 1984, pp. 165 s., 182 n. 23, 184 n. 31; V. Volta, in Bovegno di Valle Trompia. Fonti per una storia, Brescia 1985, pp. 28, 64, 81; L. Anelli, Visita alle chiese di Erbusco, in Brixia sacra, XXI (1986), p. 88; E.M. Guzzo, Note su A. G. e la sua discendenza, ibid., pp. 152-164 (con bibl.); Id., Ricerche per la storia dell'arte a Brescia… Note biografiche su pittori, scultori e architetti a S. Alessandro (e a S. Clemente), in Commentari dell'Ateneo di Bresciaper il 1985, CLXXXIV (1986), pp. 254, 263, 266; B. Passamani, in La pittura del Cinquecento a Brescia, a cura di M. Gregori, Milano 1986, p. 215; R. Stradiotti, ibid., p. 255; E.M. Guzzo, La pittura del tardo manierismo bresciano a Bergamo, in Brixia sacra, XXII (1987), pp. 134, 136; Id., Le effigi dei vescovi nel salone episcopale di Brescia…, in Arte cristiana, LXXV (1987), pp. 247 s.; L. Anelli, Venetismo di un gruppo di dipinti bresciani del Cinquecento: Mombello, Galeazzi, G., Cossali, in Arte veneta, XLII (1988), pp. 78-85; E.M. Guzzo, Arte in Valtrompia, in Brixia sacra, XXIII (1988), p. 37; S. Guerrini, in La pittura del '500 in Valtrompia, a cura di C. Sabatti, Brescia 1988, pp. 142 s., 158 s.; V. Guazzoni, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, ad indicem; R. Stradiotti, ibid., pp. 752 s.; A. Comboni, I dipinti di Moretto, Cossali, G. nella cappella delle Sante Croci a Brescia, Brescia 1990, pp. 25-27; U. Formenti, Artisti e artigiani a Bagolino…, Brescia 1990, pp. 24-27; E.M. Guzzo, La decorazione della sala pretoria: un'impresa per il bresciano A. G.e due lettere di Ottavio Rossi, in Civiltà veronese, n.s., IV (1991), 9, pp. 43-51; M. Botteri, in I Madruzzo e l'Europa 1539-1658… (catal., Trento), a cura di L. Dal Prà, Milano-Firenze 1993, p. 764; M.L. Crosina, ibid., pp. 722 s.; F. Odorizzi, ibid., pp. 735 s., 740; F. Murachelli, La pittura a Brescia nel Seicento e Settecento, Brescia 1993, pp. 10, 18 s., 25, 40; L. Anelli, in Il patrimonio artistico di Ospitaletto, Brescia 1994, pp. 135-138; A. Bertolini - G. Panazza, Arte in Val Camonica. Monumenti e opere, III, 2, Brescia 1994, pp. 73, 76, 88, 290, 292; P.V. Begni, in La pittura del '600 in Valtrompia…, a cura di C. Sabatti, Brescia 1994, pp. 28 s.; S. Guerrini, ibid., pp. 34 s., 40-43, 64-67, 76 s., 80 s., 175, 179; S. Guerrini - C. Sabatti, ibid., pp. 30-33; C. Sabatti, ibid., pp. 228 s.; L. Anelli, P. Bellotti. 1625-1700, Brescia 1996, pp. 25, 40-42, 45, 49 s., 72 s., 317; E.M. Guzzo, Il soggiorno bresciano del Lucchese, in P. Ricchi. 1606-1675, a cura di M. Botteri Ottaviani, Milano 1996, pp. 107-109; L. Anelli, Carte d'archivio: il Moretto, il Bellotti, il Rabaglio, A. e Bernardino G., Pompeo Ghitti, in Commentari dell'Ateneo di Brescia per il 1994, CXCV (1997), pp. 104-106; I. Marelli - M. Amaturo, G.A. Bertanza. Un pittore del Seicento sul lago di Garda, Brescia 1997, pp. 31 s.; E.M. Guzzo, La pittura bresciana nella storia collezionistica veronese: antiche attribuzioni e qualche riscontro, in Museo bresciano.Studi e notizie dai Musei civici d'arte e storia, in corso di stampa; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 148 s.