GANDIN, Antonio
Nacque ad Avezzano il 13 maggio 1891. Terminati gli studi superiori, si iscrisse alla scuola militare di fanteria e cavalleria di Modena.
Nominato sottotenente di fanteria il 17 sett. 1910, il 9 ott. 1911 si imbarcò con le truppe destinate a Tripoli e alla conquista della Libia, da dove venne rimpatriato già l'8 ott. 1912 dopo che si era messo in evidenza ottenendo, fra l'altro, una medaglia di bronzo al valor militare. Tenente il 21 sett. 1913, nel maggio 1915 fu destinato al fronte di guerra; il 9 settembre dello stesso anno era promosso capitano e, il 14 ott. 1917, a pochi giorni da Caporetto, nominato maggiore. Nel corso del conflitto ricevette alcune onorificenze, fra cui, nel luglio 1915, un encomio solenne, poi trasformato in croce di guerra al valor militare, e una medaglia d'argento per la parte avuta nei combattimenti del giugno 1918 alla Nervesa. Fu smobilitato solo il 19 dic. 1919, poiché comandato, alla fine del conflitto, in zona d'armistizio in Carnia.
Terminata la fase più specificamente operativa del suo percorso militare, si aprì per il G. la carriera nell'apparato centrale, in alternanza con i necessari periodi di comando. Assegnato, nel gennaio 1920, allo stato maggiore dell'esercito, fece domanda per partecipare, a Torino, alla scuola di guerra, da cui uscì nel novembre 1921. Terminato il corso di stato maggiore alla scuola venne comandato presso il ministero delle Finanze, dove rimase sino al marzo 1925. Il 4 nov. 1926 fu promosso tenente colonnello e, comandato un reparto fra 1926 e 1929, venne transitato di nuovo nel corpo di stato maggiore, con destinazione al comando del corpo presso il ministero della Guerra. In seguito passò alla scuola di guerra, tenendo corsi di storia militare fra l'inverno 1932 e l'estate 1935; il 28 marzo 1935 fu nominato colonnello. Un altro breve periodo di comando e, nel luglio 1937, venne destinato all'ufficio del comando del corpo di stato maggiore; quindi, nel maggio 1938, entrò a far parte della ristrettissima segreteria del capo di stato maggiore generale, P. Badoglio.
Quest'incarico coronava una rapida carriera, per gran parte trascorsa negli apparati centrali dello stato maggiore, ponendo il G. in una posizione privilegiata da cui seguire l'evoluzione della politica militare del fascismo e perciò in grado di valutare il reale livello di preparazione dello strumento militare da parte del regime. Il G., quindi, non poté non rendersi conto degli elementi di debolezza della preparazione italiana - come testimoniano certi suoi rapporti a Badoglio (fra cui, ad esempio, uno relativo alla parata militare del 9 maggio 1939) - senza, tuttavia, che né lui, in fondo ancora uomo di segreterie e di apparati, né Badoglio stesso potessero intervenire in alcun modo.
Un elemento che favorì ulteriormente la carriera del G. fu la conoscenza della lingua tedesca, non molto diffusa fra gli ufficiali, soprattutto fra i più alti in grado; questo, insieme con la sua esperienza di stato maggiore e con l'incarico nella segreteria di Badoglio, gli permise di conoscere i termini precisi dei contatti e degli accordi fra Germania e Italia in materia militare e anche, in qualche occasione, di contribuirvi direttamente, presenziando a incontri politico-militari italo-tedeschi di altissimo livello. La positiva valutazione della persona del G. fu riconfermata anche quando si verificarono gli eventi che, nell'autunno 1940, al momento dell'attacco alla Grecia, portarono alle dimissioni (che erano in realtà una rimozione) di Badoglio dalla carica di capo di stato maggiore. Il 15 ott. 1940 il G. fu promosso generale di brigata e, dal 1° dicembre, venne nominato capo del prestigioso I reparto (addetto alle operazioni e alla pianificazione generale) del comando supremo italiano, incarico che occupò sino al gennaio 1943, cioè per tutto il periodo in cui capo di stato maggiore generale fu U. Cavallero, da molti considerato - a cominciare da Mussolini - l'anti-Badoglio. Nel frattempo, il 12 ott. 1942, era stato promosso generale di divisione e insignito, negli stessi giorni, della croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
Il fatto che nel periodo di guerra agli incontri personali fra Hitler e Mussolini fosse presente il capo di stato maggiore generale e, fra i suoi consulenti, proprio il capo del reparto operazioni, cioè il G., accrebbe, evidentemente, il ruolo, il credito, le conoscenze di quest'ultimo nelle alte sfere, non solo a Roma ma anche a Berlino. Nell'ambito dell'apparato militare italiano il G. restava, in ogni caso, un elemento in grado di ispirare ma non certo di prendere in prima persona le vere e proprie decisioni strategiche anche se, a conferma del suo inserimento nel cuore stesso del sistema operativo militare, si può citare un elenco - sintetico e non esaustivo ma già di per sé significante - di "missioni all'estero di rilevante valore politico e militare" cui egli prese parte, vale a dire una serie di viaggi al seguito di Mussolini: a Berchtesgaden presso Hitler (18-21 genn. 1941), al Brennero (1-3 giugno 1941), in Pomerania presso il quartier generale tedesco (23 ag. 1941), di nuovo in Germania (28 aprile - 1° maggio 1942) e in particolare a Berlino presso il comando supremo della Wehrmacht (28 dic. 1940 - 2 genn. 1941), in Russia presso il generale G. Messe (21 nov. - 2 dic. 1941), ad Abbazia in Istria per una riunione italo-tedesco-croata (1-5 marzo 1942), ancora a Berlino presso il comando supremo Wehrmacht per il problema dei carburanti (29 luglio - 8 ag. 1942), in Iugoslavia (9-12 ag. 1942), nelle isole dello Ionio e ad Atene (5-11 ottobre 1942), in Africa settentrionale ad Ain-el-Ghazal (5-8 nov. 1942), a Monaco di Baviera al seguito di G. Ciano (9-11 nov. 1942), in Tunisia (19-21 nov. 1942), in Germania sempre con Ciano (18-22 dic. 1942), in Libia e Tunisia (28 dic. - 19 genn. 1943).
La caduta in disgrazia di Cavallero presso Mussolini finì, però, col coinvolgere anche il G.: in un primo momento il diffuso apprezzamento e la lunga attività nell'apparato militare gli fruttarono, fra fine gennaio e fine febbraio, la destinazione operativa più vicina a Roma come capo dello stato maggiore italo-tedesco in Africa; tale destinazione era, però, anche la più irta di difficoltà, vista l'ormai ineludibile ritirata dall'Africa settentrionale delle forze italiane, incalzate dagli Inglesi. Il 25 febbr. 1943, quando V. Ambrosio era ormai capo di stato maggiore generale, il G. fu nuovamente chiamato a dirigere il reparto operazioni del comando supremo e tornò in Germania al seguito di Mussolini (6-11 apr. 1943); ma, al ritorno da questo viaggio, fu di fatto sospeso, passando a disposizione del sottocapo di stato maggiore generale, e rimanendo così coinvolto nel disegno che mirava a emarginare i più stretti collaboratori di Cavallero. Dopo qualche settimana fu allontanato da Roma e nominato comandante della divisione di fanteria "Acqui".
La divisione, all'epoca, svolgeva un ruolo di un certo rilievo all'interno del dispositivo che doveva garantire il possesso delle isole ioniche contro manovre anglo-statunitensi nel Mediterraneo. Quando il G. raggiunse il nuovo comando, nel giugno 1943, l'unità stava consolidando e rafforzando le proprie posizioni; il 25 luglio, al momento della destituzione di Mussolini, il G. si trovava a Cefalonia.
Gli eventi che seguirono ebbero a Cefalonia un esito al tempo stesso onorevole e tragico quando, all'indomani dell'8 settembre, i rappresentanti delle forze tedesche chiesero al comando militare italiano nell'isola la resa delle armi.
Come gran parte dei comandanti italiani il G. si trovava senza difese aeree e lontano dai comandi militari badogliani i quali chiedevano che si resistesse senza però offrire mezzi a soccorso o a difesa. Data la collocazione strategica delle sue forze è possibile che il G. inizialmente si sia illuso circa un intervento anglo-statunitense, ma nella decisione finale giocò un ruolo del tutto peculiare la volontà di non arrendersi di un pugno di giovani ufficiali e di buona parte della truppa i quali speravano che un attacco subitaneo cogliesse i Tedeschi impreparati.
Di fronte alla richiesta tedesca il G. temporeggiò: dilazionò la risposta, ma non prese l'iniziativa risoluta che i suoi sottoposti gli chiedevano, finché, la sera del 13 settembre, ordinò che tutti gli uomini della "Acqui" fossero informati delle possibili alternative: combattere i Tedeschi, restare al loro fianco o cedere le armi; la maggioranza fu favorevole a un'azione contro i Tedeschi.
Gli scontri sporadici già iniziati si trasformarono, dal 15 settembre, in aperti combattimenti. La reazione tedesca fu massiccia e brutale: dal 15 al 22 settembre nella sola Cefalonia caddero in combattimento 65 ufficiali e 1200 sottufficiali e uomini di truppa; 155 ufficiali e 4700 sottufficiali e uomini di truppa vennero barbaramente fucilati o trucidati. Infine, fra il 24 e il 28 settembre, altri 1700 uomini di truppa e 193 ufficiali furono eliminati dalle truppe tedesche.
Fra loro, dopo il 24 settembre, cadde anche il Gandin.
L'episodio di Cefalonia, quando fu noto, ebbe grande risonanza e controverse interpretazioni e conseguenze; comunque la motivazione dell'ultima medaglia concessa al G., quella d'argento poi commutata in medaglia d'oro al valor militare alla memoria, ne fece un eroe militare affermando che "catturato dal nemico, coronava col supplizio stoicamente sopportato l'eroismo e l'alto spirito militare di cui aveva dato luminosa prova in combattimento".
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Biografie, racc. 92; E. Canevari, La guerra italiana. Retroscena della disfatta, Roma 1949, pp. 673, 675; P. Pieri - G. Rochat, Badoglio, Torino 1974, pp. 732 s.; L. Ceva, La condotta italiana della guerra. Cavallero e il Comando supremo 1941-1942, Milano 1975, p. 35; R. De Felice, Mussolini l'alleato, I, L'Italia in guerra 1940-1943, 2, Crisi e agonia del regime, Torino 1990, p. 162; La divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, a cura di G. Rochat - M. Venturi, Milano 1993, passim.