GALLI (Gallo), Antonio
Nacque a Urbino nel 1510 da Girolamo (o dal conte Federico, secondo lo Zaccagnini) e da Leonora Cupana, baronessa del Poggio di Santa Maria, in una nobile famiglia che aveva goduto di grande prestigio e autorità presso i duchi d'Urbino e, nel sec. XV, aveva dato i natali ad Angelo e a Federico (padre di Girolamo), entrambi poeti e segretari di Federico da Montefeltro.
Mancano notizie biografiche anteriori al suo ingresso a corte. L'anno delle sue nozze con Caterina di Antonio Stati, cugina di Antonio Stati conte di Montefeltro e primo ministro di Guidobaldo II Della Rovere, è ignoto. Dal matrimonio nacquero molti figli, tra cui Vittoria, poetessa e consorte di Aurispa Aurispi, e Federico, presidente dell'Accademia degli Assorditi e uomo d'armi. Ricoprì incarichi di prestigio e, in qualità di ambasciatore, si recò presso i pontefici Paolo III e Giulio III, presso la Repubblica di Venezia e infine nelle Fiandre presso Filippo II. Questo difficile incarico diplomatico viene ricordato da Bernardo Tasso nel sonetto "Gallo gentil de la tua patria honore", in cui vengono celebrate le abilità diplomatiche e oratorie del G., nelle quali confidava il duca di Urbino. Fu apprezzato dal duca non solo per le sue doti di "uomo d'arme e di politica" (Grossi, p. 132), ma anche per la sua dottrina nell'eloquenza, nella filosofia e nella poesia latina e volgare. Venne infatti scelto come precettore del giovane erede Francesco Maria e del suo compagno di studi, Torquato Tasso.
La crescente autorità a corte e l'amore per la poesia procurarono al G. molte e illustri amicizie, testimoniate dai carteggi e dalle dichiarazioni di stima dei letterati suoi contemporanei. Il G. infatti entrò in relazione con alcuni degli uomini di cultura più significativi del tempo.
Bernardo Tasso, in una lettera scritta da Pesaro il 9 nov. 1557, informa il G. sulla composizione dell'ultimo canto dell'Amadigi e chiede se gli accenni onorifici inseriti in questa parte del poema abbiano incontrato l'approvazione del duca. Come risulta dall'epistolario del Tasso e dall'introduzione all'Amadigi il G. fu invitato dal duca a Pesaro con B. Cappello, G. Muzio e D. Atanagi affinché "diligentemente rivedessero questo poema"; e nel canto C, ottava 38, il Tasso manifesta la sua gratitudine all'amico facendone gli elogi: "Antonio Gallo, cui d'altro, che d'ostro fregia la fama l'onorata chioma". In una lettera del 17 nov. 1558 Tasso conforta l'amico, addolorato da accuse malevole e lo rassicura della sua amicizia.
Altro letterato in relazione epistolare con il G. fu Annibal Caro. In una lettera del 20 ag. 1553 il Caro chiede al G. di difendere, presso il duca, Michelangelo Buonarroti che aveva disatteso un contratto, stipulato nel 1513, per il monumento sepolcrale a Giulio II. Alcuni mesi più tardi il Caro ringrazia il G. per l'opera di intercessione svolta e per essere riuscito a far tornare l'artista nelle grazie del principe, invitandolo a continuare a giustificarlo (lettera del 17 nov. 1553).
Per avere lodato l'Apologia degli accademici di Banchi di Roma contra m. Ludovico Castelvetro da Modena (Parma 1558), opera composta dal Caro in difesa di una sua canzone giudicata negativamente dal Castelvetro ("Venite a l'ombra dei gran gigli d'oro", componimento encomiastico scritto su invito del cardinale Alessandro Farnese per esaltare il casato regnante in Francia), il G. venne coinvolto nella disputa fra i due letterati. In una lettera del 13 genn. 1559 Caro, dopo avere ringraziato il G. per gli apprezzamenti di stima a favore della sua Apologia, con ironia riferisce il giudizio dato dal Castelvetro su un verso della canzone, giudizio che ritiene ispirato più dalla superstizione che da sani principî morali. Due lettere del 1562 testimoniano la stima e il vincolo di amicizia che legarono Annibal Caro al Gallo. Su richiesta della moglie, preoccupata della reputazione del nome del marito, ormai morto, il Caro difese il G. dalle critiche relative alla correttezza di alcune forme linguistiche usate in un sonetto, concludendo: "Esortatela a non curarsene, che queste sono cose che non rilievano niente contra l'opinione de l'ingegno di quel gentiluomo, e non fanno punto d'onore a chi le propone" (III, p. 98). Anche Sperone Speroni ricorse al G., affinché questi intercedesse presso il duca di Urbino per fargli ottenere un incarico a corte.
Sempre grazie alle amicizie del G. sembra che la poetessa Laura Battiferri fosse ammessa nell'Accademia degli Intronati a Siena con il nome di Sgraziata, come testimonia una lettera del G. del 24 nov. 1559: "Se M. Camillo et altri suoi e miei amici cortesia v'hanno usata, per lor gentilezza e vostro merito l'hanno fatto, non riferite adunque a me quello che più che da altri da Voi stessa procede" (Zaccagnini, p. 91).
Il G. morì il 12 febbr. 1561 e venne sepolto nella cappella dei suoi antenati nella chiesa di S. Francesco a Urbino.
Il codice Urb. lat. 750, del sec. XVI, costituisce il canzoniere poetico del G., non diverso da quelli che, a imitazione del Petrarca, furono composti in abbondanza in questo secolo. La prima parte del codice (cc. 1-67), intitolata Galli Antonii Urbinatis cantiones Italice, contiene 30 sonetti, 1 sestina e 5 canzoni; seguono 4 carte non numerate, alla c. 66 una specie di indice alfabetico dei componimenti poetici, e alle cc. 67-70 si leggono 12 epigrammi autografi di Antonio Flaminio; la parte finale del codice (cc. 70-78) contiene componimenti d'argomento sacro, sempre del Galli.
Alcuni sonetti del G. sono stati inseriti e stampati nelle raccolte di altri poeti: nelle Rime di Bernardo Tasso (Venezia 1560) è presente il sonetto "Hor s'erga l'Appennino infin'al cielo", accompagnato dalla risposta del Tasso (p. 15); ne Il primo libro delle opere toscane di Laura Battiferri (Firenze, Giunti, 1560) si leggono tre sonetti di scambio tra il G. e la poetessa urbinate (pp. 64-66); infine nel canzoniere di B. Varchi (Opere, II, p. 976) si legge un sonetto del G., "Né marmi, né metalli, né colori", seguito dalla risposta del Varchi; inoltre il G. è il dedicatario di alcuni componimenti poetici di B. Tasso (Rime di m. Bernardo Tasso, V, Venezia 1560, pp. 16, 24, 33, 50, 54, 61).
Non si è trovata traccia di altre opere attribuite al G. da G. Colucci e F. Vecchietti.
Fonti e Bibl.: Delle lettere di m. Bernardo Tasso, accresciute, corrette e illustrate…, a cura di F. Seghezzi, Padova 1733, pp. 334, 338 s., 416-418, 487-489; B. Varchi, Opere, II, Milano 1859, p. 976; Lettere inedite di B. Tasso, a cura di G. Campori, Bologna 1869, pp. 177 s.; P. Aretino, Il primo libro delle lettere, a cura di F. Nicolini, Bari 1913, pp. 206 s.; Id., Il secondo libro delle lettere, a cura di F. Nicolini, ibid. 1916, pp. 198 s.; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, II, Firenze 1959, pp. 147 s., 153 s., 319; III, ibid. 1961, pp. 97-99; B. Baldi, Encomio della patria, Urbino 1706, p. 115-117; G.M. Crescimbeni, Della istoria della volgar poesia, IV, Venezia 1730, pp. 48 s.; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, Milano 1741, II, pt. I, p. 239; F. Vecchietti, Biblioteca picena, IV, Osimo 1795, pp. 260-263; C. Grossi, Degli uomini illustri di Urbino, Urbino 1819, pp. 132-135; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi di Urbino, II, Firenze 1859, p. 343; G. Scotoni, La giovinezza di Francesco Maria II e i ministri di Guidobaldo Della Rovere, Bologna 1899, p. 21, 51 s.; G. Zaccagnini, Lirici urbinati del sec. XVI, in Le Marche illustrate…, III (1903), pp. 87-95; C. Stornajolo, Codices Urbinates latini, II, Roma 1912, pp. 325 s. (dimostra errata l'attribuzione al G. da parte dello Zaccagnini di un'opera conservata in Urb. lat. 959).