GALEANI, Antonio
Nacque a Piacenza nell'ultimo quarto del '500. Scarsissime risultano le notizie sulla sua vita. Dottore in teologia, fu canonico decano della cattedrale di Piacenza.
Il primo fatto databile che lo riguardi è riferibile al 1610, anno in cui scrisse un componimento poetico celebrativo: Ad Raynumtium FarnesiumPlacentium, Parmae ducem serenissimum (Placentiae 1610). Nel 1613 una sua canzone a s. Corrado venne inclusa nella Vita di s. Corrado eremita (Piacenza 1613), redatta da Piero Maria Campi, noto e stimato erudito e archivista locale, anch'egli canonico della cattedrale piacentina. Nel 1630 la terribile pestilenza che colpì la sua città lo costrinse a rifugiarsi sulle colline circostanti, presso la residenza dell'amico Bernardo Morando, celebre rimatore marinista. Fu anche in stretta relazione con Giacomo Gaufrido, potente segretario di Stato dei Farnese, uomo di grande erudizione e corrispondente tra gli altri di Galileo Galilei.
Oltre ai versi d'occasione, la sua produzione poetica si riduce a pochi sonetti sparsi, di cui si conosce un'unica edizione del 1623, peraltro contenuta all'interno di una Raccolta di sonetti d'autori diversi ed eccellenti dell'età nostra (Ravenna 1623) curata da G. Guaccimanni.
È in questi pochi sonetti, piuttosto che nei componimenti celebrativi, che si rintraccia una disposizione poetica più sincera e riuscita. La suggestione marinista e concettosa risulta in essi tutto sommato moderata. Così ad esempio in Festeggiano le squille, Egle, a vicenda, in Diman che festo è 'l dì, col crin ripieno, e anche in Lilla, i' mel veggio, il cittadino Aminta, si riconosce una vena di erotismo delicato e allusivo; mentre in Là tra i giunchi palustri e l'alga immonda e in Questo bel leprettin, ch'a me dal braccio il riferimento, nell'uno allo stato della rana e nell'altro a quello della lepre, esprime con estrema delicatezza i tratti d'una sofferta e fuggevole condizione d'amore. Non mancano inoltre aperture a ulteriori tematiche e caratterizzazioni tipiche della poetica barocca. In particolare si ricorda Crespo e segnato il viso a maraviglia, sonetto concentrato sul bizzarro e meraviglioso amore tra il decrepito Mopso e la giovane Lilla, tutto giocato sul contrasto tra l'effetto orrido della decadenza fisica, descritto in modo quasi morboso, e la florida e fresca apparenza della giovinezza.
Il G. morì a Piacenza il 28 apr. 1649.
Fonti e Bibl.: Opere scelte di G.B. Marino e dei marinisti, a cura di G. Getto, Torino 1954, II, pp. 50, 184 s.; L. Mensi, Dizionario biografico piacentino, Piacenza 1899, p. 192; B. Croce, Lirici marinisti, Bari 1910, pp. 179-182, 532; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1929, p. 78; Marino e i marinisti, a cura di G.G. Ferrero, Milano-Napoli 1954, pp. 813-816; B. Martinoni, Lettere di Bernardo Morando a Gian Vincenzo Imperiale, in Studi secenteschi, XXIV (1983), pp. 201-203; F. Giambonini, Bibliografia delle opere a stampa di G.B. Marino…, III, Raccolte di opere singole di vari autori…, ibid., XXXVII (1996), pp. 318, 320 s., 326, 328, 342, 349.