CANTONI, Antonio Gaetano
Nacque a Faenza il 7 ag. 1709 dal conte Giovanni Battista e da Giuditta dei conti Cattoli, in un'antica famiglia d'origine lombarda, un ramo della quale si era trasferito in Romagna alla metà del sec. XVII. Educato dapprima nella casa paterna, ove ebbe degli ottimi precettori, appena adolescente, il C. fu inviato a Bologna per seguire un regolare corso di studi nel Collegio dei nobili; ma la delicatezza della sua costituzione fisica suscitò subito dei timori che si precisarono in una diagnosi di sospetta tisi. Egli fu perciò costretto a ritornare a Faenza e soltanto dopo molti mesi di assidue cure la famiglia decise di fargli riprendere gli studi, facendolo entrare questa volta nel collegio regio-ducale di Parma. Qui compì i corsi letterari e filosofici, distinguendosi nel profitto e nella condotta morale tanto che, appena iniziato il corso di teologia, gli venne affidata la vigilanza su tutti i convittori.
Poco prima di compiere i vent'anni fu inviato a Roma per iniziarvi la carriera prelatizia e conseguire una laurea giuridica che gli consentisse di raggiungere una brillante posizione nella Curia romana, secondo la comune ambizione dei nobili dello Stato pontificio che non avevano rendite molto cospicue. Il C. aveva tutte le qualità per riuscire nell'intento: una viva intelligenza, un'ottima presenza (Fabri, p. XXX: "Un'alta statura, una proporzionata eleganza in tutte le membra, un amabil contorno di volto, una di quelle idee vivaci, che al primo incontro sorprendono, furono gli esterni pregi al co. Cantoni dalla natura compartiti") - che, a detta dei biografi, gli procuravano non poche ammiratrici -, buoni protettori; ma gli mancava la volontà di dare la scalata ai più alti gradi e soprattutto era alieno dalla vita mondana. Spinto da sincera vocazione religiosa ricevette gli ordini sacri il 26 ott. 1738 e divenne poi segretario, per la compilazione delle suppliche, di monsignor Giuseppe Livizzani segretario dei memoriali di Benedetto XIV. Di questo papa, che lo predilesse per la sua moralità rigorosa, il C. divenne nel 1741 cameriere d'onore in abito paonazzo. Ma per brevissimo tempo. Conseguita la laurea in utroque iure alla Sapienza il 7 dic. 1742, il 17 dicembre successivo il C. fu nominato vescovo di Faenza e consacrato dallo stesso pontefice il 23 dicembre, ricevendo anche il titolo di assistente al soglio. In un primo tempo il suo carattere schivo di ogni onore lo aveva portato a compiere il tentativo di rifiutare la carica con la scusa della giovane età e dell'inesperienza, ma Benedetto XIV rimase fermo nella sua decisione dichiarando: "Le mie prime risoluzioni sono sempre le ottime, e godo di rinnovare in voi l'esempio del Magno Gregorio, che mittebat Episcopos de Palatio" (Fabri, p. XXXI).
Fatto il solenne ingresso nella diocesi di Faenza il 7 febbr. 1743, il C. mostrò subito di avere la tempra del vescovo esemplare della Controriforma e di essere un fedele epigono di s. Carlo Borromeo, di cui volle imitare l'esempio nell'attività pastorale, conducendo una vita frugale, indicendo frequentemente le sacre missioni e compiendo numerose visite pastorali in tutta la sua diocesi.
Di questa assidua sorveglianza sul proprio gregge il C. dà testimonianza nelle accurate relationes ad limina, che inviò regolarmente a Roma dal 1746 al 1763.Appena insediato, il C. redasse un nuovo regolamento per il seminario, per il quale scelse egli stesso migliori insegnanti. Né lo distrassero dalle cure pastorali i non rari passaggi degli opposti eserciti franco-spagnolo e austro-sardo impegnati nella guerra di successione austriaca; anzi il C. riuscì a placare l'ira del generale Gages, che intendeva distruggere Faenza rea di aver negato i foraggi alla cavalleria spagnola, e a lenire la conseguente grave miseria della popolazione. Tra le istituzioni caritatevoli migliorate durante il suo episcopato è da segnalare la costruzione del nuovo ospedale di Faenza, iniziata il 27 giugno 1753 e condotta a termine il 16 luglio 1762. Nel 1765, in una difficile situazione di carestia, il C. fece comprare a Trieste grano per 7.000 scudi e lo distribuì a basso prezzo; nel 1766, scoppiata una tremenda epidemia nel contado, organizzò un efficiente intervento sanitario, inviando medici e medicinali.
Ma della sua attività pastorale a Faenza non va dimenticata la convocazione del sinodo diocesano (25-27 giugno 1748), cui parteciparono più di mille ecclesiastici e che, se non si distinse per originalità di decisioni (poiché, in sostanza, confermava rigorosamente le costituzioni emanate un secolo prima dal predecessore Carlo Rossetto), almeno ebbe il merito di mostrare fino a qual punto a metà del sec. XVIII potesse ancora esser viva la tradizione borromeiana. Le Constitutiones dioecesanae ab Ill.mo et Rev.mo Domino D. Antonio Cantoni… (Faventiae s.d.) si distinguono perciò per il tipico, inscindibile intreccio di rigore morale e spirito di indulgenza, deprecazione del male presente e speranza nel bene futuro; né stonano in questo contesto controriformistico le gravi e inumane disposizioni contro gli ebrei, cui si nega ogni possibilità di contatto con i cristiani e di sopravvivenza culturale.
Il 28 sett. 1767 il C. fu trasferito all'arcivescovado di Ravenna e decorato del palio. Giunto nella diocesi il 22 ottobre in un momento di grande disagio economico seguito alle alluvioni e alla carestia degli anni precedenti, egli seppe affiancare efficacemente l'azione del Consiglio generale della città, tesa ad imporre la tassazione anche agli ecclesiastici; soltanto le quattro abbazie non accolsero gli inviti dell'arcivescovo.
Per il resto la sua attività pastorale si svolse secondo le ormai consuete abitudini. Da un lato svolse una rigorosa opera di repressione nel campo morale, ottenendo tra l'altro nel 1771 l'abiura pubblica di due supposti quietisti, l'abate G. B. Pinzi e Angelo Valzania. Dall'altro sviluppò al massimo le istituzioni caritatevoli, restaurando gli ospedali; istituendo due conservatori, uno degli orfani detto dei Figli della Misericordia, l'altro delle pericolanti detto delle Figlie della Provvidenza (1769); distribuendo ai poveri frequenti elemosine (in quattordici anni vi impiegò 73.000 scudi). Inoltre istituì una accademia ecclesiastica e tenne un sinodo diocesano (20-22 luglio 1774) che ricalcò le orme di quello faentino.
Non va dimenticata, però (e questo è un tratto poco coerente all'austera personalità del C.), la sua attività di mecenate, per la quale spese al di là delle possibilità della mensa arcivescovile. Nel 1772 donò alla cattedrale un nuovo organo, opera del veneziano Giovanni Chinei; nel 1774 volle restaurare la metropolitana, già ricostruita dal 1734 al 1745 su progetto di G. F. Buonamici da Rimini, affidandone l'incarico a Cosimo Morelli che eresse le colonne e gli archi, e al concittadino Giuseppe Pistocchi che innalzò una grandiosa cupola a base circolare. Alla morte del C. il suo patrimonio non fu sufficiente a pagare le spese sostenute in questi lavori.
Il C. fu stimato sempre da tutti i papi (Pio VI, tra l'altro, lo nominò dal 9 ag. 1776 al 21 maggio 1777 vicario apostolico della diocesi di Comacchio), che apprezzarono in lui lo scrupolo nel sottoporre a Roma la soluzione di ogni problema pastorale e amministrativo straordinario. Morì a Ravenna il 2 nov. 1781.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Archivio dellaSacra Congregazione del Concilio,Relationes adlimina,Faventin.; Ibid., Relationes ad limina,Ravenn.;Ibid., Segreteria di Stato,Lettere di vescovi e di prelati, 244, f. 215; 245, ff. 77-123; 247, f. 36; 249, ff. 91-92; 253, ff. 7, 314-315; 254, ff. 277-280; 255, f. 319; 257, ff. 203-204, 436-452; 264, f.264; 267, f. 90; 271, ff. 445-446; 273, f. 310; 274, ff. 204-210, 256-270; 276, ff. 116-127; 277, ff. 192, 231; 279, ff. 39-43; 282, f. 288; 284, ff. 297-306, 316; 295, ff. 64-65; 296, ff. 149-151; 298, ff. 355, 411; 299, ff. 287-302, 323, 357-359; 301, ff. 100-121, 167, 184; 306, ff. 62, 172-176; 307, ff. 39-43, 415-417; Notizie perl'anno 1742, Roma 1742, p. 241; Notizie perl'anno 1767, ibid. 1767, p. 180; Notizie perl'anno 1770, ibid. 1770, p. 210; Notizie per l'anno 1781, ibid. 1781, p. 217; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, I, Firenze 1928, p. 165; F. T. Fabri, In occas. delle solenni esequie celebrate in suffragio dell'anima di Sua Ecc. Rever.Mons. A. C. Patrizio faentino arcivescovo diRavenna…, Faenza 1781; G. Zucchini, Nellesolenni esequie di A. C. …, Ravenna 1781; Oraz.funebri recitate nelle solenni esequie di A. C. , Ravenna 1781; B. Righi, Annali della città diFaenza, III, Faenza 1841, pp. 314, 319, 323, 328, 335; A. Strocchi, Serie cronologica storico-critica de' vescovi faentini..., pp. 237-242; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia..., II, Venezia 1844, pp. 171 s., 298 s.; A. Tarlazzi, Mem. sacre diRavenna..., Ravenna 1852, pp. 28, 34, 94, 144, 165, 169, 203, 290, 500, 585-592; A. Montanari, Gli uomini illustri di Faenza, I, 1, Faenza 1887, pp. 41-44; A. Sammaritani, Cronotassi dei vescovi di Comacchio, Roma 1965, p. 75; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, II, p. 276; App., I, p. 494; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia cath.medii et recentioris aevi, VI, Patavii 1958, pp. 213, 353.