GADALDINO (Gadaldini), Antonio
Nacque intorno al 1478 da Andrea, di una famiglia originaria di Villa d'Ogna in Val Seriana, nel Bergamasco. Svolse un'intensa attività di libraio prima, libraio e stampatore poi, nella città di Modena.
Il nome del G. compare per la prima volta nel 1515 (nascita del figlio Agostino) in atti pubblici modenesi e, successivamente, nel 1522 in occasione dell'acquisto di una casa nel quartiere del Castellaro per 1400 lire e per la vendita di un'altra abitazione, stipulata anche a nome della moglie Lucrezia, figlia di un Bartolomeo da Varese. Nel giugno 1523, in un processo per eresia contro l'umanista Panfilo Sassi, testimoniava contro di lui un maestro Antonio da Bergamo, identificato appunto nel Gadaldino. Di segno affatto diverso è la documentazione, fornita dalle cronache e dai processi inquisitoriali, sulle opinioni tenute dal G. in materia di religione, probabilmente a partire dalla metà degli anni Trenta. Tommasino Lancillotti, notaio e autore di una dettagliata cronaca di Modena, acquistò il 3 ott. 1537 dal G. per la somma di 8 soldi una copia del Sommario della Sacra Scrittura, che egli riteneva "cosa bona e santa" e che invece scoprì esser libro "lutherano ereticho": Tommasino riportò perciò il Sommario e pretese la restituzione del denaro, a cui il G. acconsentì, anche se "corociotamente", e portò la copia all'inquisitore che intendeva fare un rogo di tutti gli esemplari (Cronaca modenese, V, p. 392). Pochi mesi più tardi il Lancillotti, narrando che il Sommario era stato bruciato pubblicamente in Bologna il 31 marzo 1538, ribadiva la pericolosità del testo e osservava che a Modena era penetrato fra le mura dei conventi e nelle case dei laici grazie alla bottega di mastro Antonio, libraio. Tra il 1541 e il 1543 il cardinal G. Morone venne ragguagliato da Modena di accuse mosse contro il G. da persone arrestate dall'Inquisizione e del pericolo che questi rappresentava: nelle testimonianze rese al processo Morone, il bolognese Giovan Battista Scotti qualificherà il G. come un "gran lutherano", anzi eretico "esso et tutta la famiglia sua" (Firpo - Marcatto, Il processo inquisitoriale, II, pp. 246 e 761; III, p. 1066). Ancora nel marzo 1544 il Lancillotti indicò, fra quanti assistevano alle prediche eterodosse del francescano Bartolomeo della Pergola, il nome del G. e ne ribadì il ruolo di diffusore di testi proibiti in volgare, già bruciati a Roma come ereticali.
Oltre alla vendita di libri di tematica religiosa, ma anche di classici e opere di genere diverso (nel 1557 un "mastro di legname" testimonierà di aver acquistato libri della sua "arte" nella bottega del G.), che attirerà contro di lui prima i sospetti e poi le accuse formali dell'Inquisizione, egli intraprendeva, a partire dal 1544, un'attività editoriale che, passata di padre in figlio, durerà sino al 1629. Negli anni che videro il G. alla guida dell'azienda uscirono dai suoi torchi opere di svariato argomento, dalla Stadera del frumento (1544), dello stesso Lancillotti, a scritti e traduzioni di Carlo Sigonio, a raccolte di atti ufficiali, allo Hercule di G.B. Giraldi. Ora compaiono con le debite indicazioni di stampa, ora sono prive di esse e addirittura dell'autore, come nel caso della Ragione d'alcune cose segnate nella canzone d'Annibal Caro "Venite a l'ombra de gran gigli d'oro", di cui era autore Ludovico Castelvetro, che reca sotto il titolo l'immagine di una civetta su di un'urna rovesciata. Intorno al 1555 uscì un'Operetta utile del costumare i fanciulli - che è la versione italiana del De civilitate morum puerilium di Erasmo da Rotterdam - stampata "in Modona per Antonio Gadaldino" dietro esortazione del vescovo E. Foscarari e nella traduzione di Alessandro Milani. In realtà proprio nel 1555 si apriva l'inchiesta inquisitoriale contro il G.: questi, insieme con altri uomini di spicco della cultura modenese (il Castelvetro, Filippo e Bonifacio Valentini) che, già "infetti" dall'eresia, parevano in grado di "corrompere" la città, venne convocato al Sant'Uffizio a Roma con un breve di Paolo IV al duca Ercole II del 1° ott. 1555. Mentre altri imputati sfuggivano all'arresto, il G. fu preso e incarcerato a Ferrara tra le proteste dei familiari e la vibrata indignazione dei Conservatori della città, nonché di altri personaggi autorevoli che esercitarono pressioni sullo stesso duca per impedire la consegna del libraio nelle mani dell'Inquisizione romana. Ercole II diede ripetute istruzioni al suo agente a Roma nel gennaio 1556 perché si ponesse fine alla "vessazione" nei confronti del G. e di altri modenesi; con dei buoni "uffici" sul cardinal C. Carafa e sullo stesso pontefice il duca sperava che sfuggisse al rischio di morire nelle carceri (Fontana, Renata di Francia, II, pp. 420 s.). Ma neppure il conte Ercole Rangoni, a suo tempo protettore dell'eretico Camillo Renato, ottenne la liberazione del G. dalla prigione. In questo periodo uscì per i suoi torchi una Breve dichiarazione della messa, compilata dal Castelvetro in accordo con il vescovo Foscarari - forse per una captatio benevolentiae nei riguardi dell'inquisitore - e già completata nel giugno 1556; all'inizio del 1557 le sollecitazioni da Roma si fecero più pressanti e il duca fu costretto a cedere: il 3 febbr. 1557 il governatore di Modena scrisse a Ercole d'Este, comunicandogli l'avvenuta consegna del "libraio incarcerato in Castello" agli uomini del vicelegato di Bologna (Sandonnini, L. Castelvetro, pp. 295 s.).
A Roma il G., quasi ottantenne, fu rinchiuso nella prigione di Ripetta, ove resterà sino alla promulgazione della sentenza e alla recitazione dell'abiura, datate rispettivamente 13 e 14 ott. 1560. I due testi rilevavano gli errori in cui era incorso (inesistenza del purgatorio; inutilità della quaresima nonché della castità da parte del clero; mancata devozione alla Vergine e ai santi; negazione della presenza reale di Cristo nell'ostia). La sentenza assegnò al G. la residenza obbligata in Modena, da cui non poteva allontanarsi senza autorizzazione congiunta del vescovo e dell'inquisitore, ai quali doveva presentarsi una volta al mese per "baciare le mani"; gli fu altresì imposto l'obbligo, ogni venerdì per la durata di tre anni, di recitare orazioni davanti alle immagini di Cristo e della Vergine. Nell'abiura il G., impegnandosi formalmente a non leggere né acquistare né vendere libri proibiti, si pentiva del fatto di averne tenuti nascosti in un luogo appartato perché, senza quel deposito segreto, si sarebbe "sbandito in gran parte il veneno di detti libri dalla città" (Arch. di Stato di Modena, Inquisizione, b. 3, f. 22).
Più ricche di particolari furono alcune testimonianze del processo al G. che risalgono al 1555 e al 1557: i modenesi interrogati, pur dando un giudizio lusinghiero sul personaggio che conoscevano quasi tutti da almeno trenta anni (frequentava le cerimonie sacre, "facea molte elemosine"), non trascurarono fatti e circostanze che si tradussero in elementi a carico del Gadaldino. Così Vincenzo Albani aveva sentito dire che l'imputato aveva pratica col Castelvetro. Alessandro Rossetti, andando a Venezia con il G., osservò che mangiava carne in tempo di quaresima e raccontò che, dopo una sosta per una tempesta, al momento della partenza egli aveva detto: "andassimo pure ad honore di Dio et della Madonna" e il G. aveva replicato che "bastava dar l'honor a Dio". Gaspare Carandini notò che nella bottega del G. s'incontravano "huomini literati" e anche dei "suspetti" in materia di fede; era a conoscenza della vendita clandestina di libri proibiti - ci si poteva procurare anche i "sermones" di Girolamo Savonese, lo pseudonimo con cui circolavano i pericolosi scritti di Giulio da Milano - e rievocava l'episodio del Lancellotti che aveva riportato al libraio il Sommario della Sacra Scrittura. Infine un falegname ricordò di aver visto il G. vendere esemplari del Beneficio di Cristo. Una testimonianza che si affiancava a quella, assai più nota, della confessione resa nel 1557 dal cardinale Giovanni Morone durante il suo processo: quel libro a Modena gli fu dato da "un libraro piccolino, vestito di beretino, del terzo ordine: credo habbia nome mastro Antonio" (Firpo - Marcatto, Il processo inquisitoriale, II, p. 465).
Non mancano alcune deposizioni, rintracciate tra i fascicoli processuali contro altri esponenti del dissenso ereticale modenese, che sottolineano la posizione di rilievo del G. all'interno di quel movimento: garantiva sussidi ai membri poveri della "setta lutherana" e non faceva mancare i testi indispensabili alla nuova riflessione religiosa, in primo luogo la versione volgare del Nuovo Testamento (Bianco, La comunità di "fratelli", pp. 645 s. e 653). Del resto il pieno inserimento del G. nei circoli eterodossi cittadini si coglie da un cenno di una lettera del figlio Cornelio, del 3 marzo 1558, al Castelvetro: egli formulava richiesta di un risarcimento finanziario con la motivazione che il padre "era in prigione per la cosa comune a tutti et che il dovere era che ognuno conferisse alla spesa", come era stato significativamente suggerito dal Milani, il traduttore dell'Erasmo stampato dal G. (Vicini, La stampa, p. 509). Infine occorre ricordare che il G., mentre era prigioniero nelle carceri romane dell'Inquisizione, fu chiamato a testimoniare due volte - il 30 giugno 1557 e il 7 febbr. 1558 - nel processo Morone; sono deposizioni brevi ma che toccano un punto cruciale dell'inchiesta contro il cardinale: la circolazione dei libri proibiti e le responsabilità dell'allora vescovo di Modena nella diffusione del Beneficio di Cristo. Il G. dichiarò che almeno due o tre volte aveva ricevuto a Venezia dalle mani di un maestro di scuola, tale Angelo, partite di libri che comprendevano copie de "quelli Summarii della Scrittura, delle Beneficii di Christo et certi cathecismi et expositioni de Pater nostro"; quanto al Beneficio, il Morone, dopo un primo diniego, autorizzò il G. alla vendita dell'operetta, impegnandosi anzi a finanziare la circolazione: "Se ce fosse qualche poveretto che non havesse el modo de pagarseli, li pagarò mi" (Firpo - Marcatto, Il processo inquisitoriale, II, pp. 545 s.). Anche un altro cronista modenese, il Tassoni, inseriva nel 1558 la notizia che l'anziano "mastro Antonio" era detenuto a Roma proprio per l'enorme quantità di libri ereticali che aveva smerciato. Come si è detto, l'abiura portava la data del 14 ott. 1559, mentre la sottoscrizione autografa del G. - nella copia conservata tra le carte inquisitoriali - avvenne nel vescovado di Modena il 21 febbr. 1560. Pochi mesi più tardi, il 4 maggio, il G. stipulò un atto di divisione dei suoi beni - calcolati in lire modenesi 15.172 anche se gravati da una quota debitoria di lire 2637, nella quale erano elencati i crediti vantati da librai di Modena, Venezia e Lione - tra i figli Agostino e Cornelio: questi morì però nel luglio, sempre del 1560, e la stamperia passò nelle mani dei figli: fino al 1565 i libri usciti dall'azienda di famiglia apparvero con l'indicazione "eredi di Cornelio Gadaldino" e dopo quella data con la dicitura di Paolo Gadaldino e fratelli.
Del G., dopo la recitazione dell'abiura e la cessione delle proprietà, non abbiamo più notizie se non la registrazione della morte, avvenuta a Modena il 6 apr. 1568.
Gli sopravvisse di pochi anni il figlio Agostino, nato il 15 marzo 1515 a Modena, medico di fama attivo a Venezia, "ornato ancora della cognitione di molt'altre scientie et di molte et varie lingue" (F. Panini, Cronica della città di Modona, a cura di R. Bussi - R. Montagnani, Modena 1978, p. 169). Per i Giunta tradusse in latino e curò l'edizione dell'Opera omnia di Galeno (Venetiis 1541) e altre opere. Anch'egli fu sottoposto ai procedimenti inquisitoriali, e nell'agosto 1557 fu condannato dal S. Uffizio di Venezia, dove si era spontaneamente presentato, a pene spirituali e a una multa pecuniaria dopo aver confessato la lettura di libri proibiti. Morì a Venezia nel 1575.
La tipografia dei Gadaldino restò sotto la vigile sorveglianza degli inquisitori: nell'ottobre 1568, a pochi mesi dalla morte del G., una improvvisa visita portò al sequestro di libri proibiti, fra cui quattro copie del Nuovo Testamento in volgare, un commento in volgare sopra le Epistole e i Vangeli, un testo grammaticale di Erasmo (il De recta Latini Graecique sermonis pronuntiatione), e al pagamento di un'ammenda che si tradusse nel sequestro di un grosso quantitativo di carta. Di nuovo il 29 luglio 1571 Timoteo, fratello di Paolo Gadaldino, venne richiesto di spiegazioni per la stampa delle Rime spirituali raccolte dalla Scrittura, uscito però tre o quattro anni prima e di cui aveva ricevuto copia da un venditore ambulante veronese ("va vendendo per lo mondo cose tali, e particolarmente i sette salmi": Archivio di Stato di Modena, Inquisizione, b. 7). Infine, ancora nel 1594, a Francesco Gadaldino, figlio di Paolo, erano comminate pene spirituali e gli veniva temporaneamente ritirata la licenza di stampa, per aver pubblicato orazioni considerate superstiziose.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Inquisizione, bb. 3, 7; Arch. di Stato di Venezia, Sant'Uffizio, b. 13, f. "A. Gadaldino"; T. de' Bianchi detto de' Lancellotti, Cronaca modenese, V, Parma 1867, pp. 389-393, 455; VIII, ibid. 1871, p. LXIV; XII, ibid. 1884, p. 65; A. Tassoni, Cronache modenesi, in Mon. di storia patria per le prov. modenesi, XV (1888), pp. 341, 343; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, I-V, Roma 1981-1989, ad indicem; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese…, II, Modena 1782, pp. 371-376 (finora la biografia più ampia sul figlio Agostino: raccoglie acriticamente tutte le fonti coeve di questo e l'elenco delle opere); C. Cantù, Gli eretici d'Italia, II, Torino 1866, p. 168; T. Sandonnini, Ludovico Castelvetro…, Bologna 1882, pp. 295 s.; B. Fontana, Documenti vaticani contro l'eresia luterana in Italia, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XV (1892), pp. 434 s.; Id., Renata di Francia…, II, Roma 1893, pp. 419-421; G. Cavazzuti, L. Castelvetro, Modena 1903, ad indicem; L. Frati, Di alcune lettere ad E. Foscarari, in Arch. stor. ital., LXXIV (1916), pp. 142-144; L. v. Pastor, Storia dei papi…, VI, Roma 1927, p. 494; D. Fava, Alfonso II d'Este raccoglitore di codici greci, in Rendiconti dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, LI (1918), 2, pp. 490-493 (per Agostino); E.P. Vicini, La stampa nella provincia di Modena, in I tesori delle biblioteche d'Italia. Emilia e Romagna, a cura di D. Fava, Milano 1932, pp. 507-513; C. De Frede, Tipografi, editori, librai ital. del Cinquecento coinvolti in processi d'eresia, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXIII (1969), pp. 28 s.; A. Biondi, Streghe ed eretici nei domini estensi…, in Il Rinascimento nelle corti padane, Bari 1977, p. 187; S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi nel Cinquecento modenese, Milano 1979, ad indicem; C. Bianco, La comunità di "fratelli" nel movimento ereticale modenese del '500, in Riv. stor. ital., XCII (1980), pp. 646 s., 653; A. Rotondò, Anticristo e Chiesa romana…, in Forme e destinazione del messaggio religioso, a cura di A. Rotondò, Firenze 1991, pp. 19-164; S. Pagano, Il processo di Endimio Calandra e l'Inquisizione a Mantova nel 1567-1568, Città del Vaticano 1991 (s.v.Agostino G.); M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma, Bologna 1992, pp. 44, 110; E. Milano, La stampa a Modena nel '500, in La stampa in Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno, Roma… 1989, a cura di M. Santoro, I, Roma 1992, pp. 500-511; G. Fragnito, La Bibbia al rogo, Bologna 1997, p. 131; S. Peyronel Rambaldi, Dai Paesi Bassi all'Italia. Il Sommario della Sacra Scrittura, Firenze 1997, ad indicem.