GABRINI, Antonio
Nacque a Milano nel 1814; per parte di madre era nipote o, "secondo una tradizione non sappiamo quanto fondata" (Cattaneo, II, p. 64 nota), figlio naturale di Giacomo Ciani, ricco discendente, con il fratello Filippo, di una famiglia di banchieri milanesi, nonché uomo di idee politiche molto avanzate che, per la parte avuta nella cospirazione lombarda del 1821, era stato costretto all'esilio.
Lasciata anch'egli la città natale, il G. aveva studiato all'estero e aveva frequentato, fino al conseguimento della laurea, i corsi della facoltà di medicina dell'Università di Parigi; quindi, sulle orme dello zio, aveva preso a simpatizzare per la Giovine Italia che G. Mazzini aveva da poco fondato in Francia.
Era appena ventenne quando, infiammato dalla propaganda rivoluzionaria, prese parte alla spedizione di Savoia il cui esito fallimentare non cancellò comunque in lui la speranza di una prossima rigenerazione della penisola e, con essa, di una liberazione della Lombardia dal dominio austriaco. Più che mai impossibilitato a fare ritorno a Milano, il G. raggiunse i fratelli Ciani a Lugano e con essi, approfittando della svolta liberale verificatasi nel Canton Ticino a partire dal 1839, si inserì negli ambienti della pubblicistica democratica che facevano capo alla tipografia Ruggia e al giornale Il Repubblicano della Svizzera italiana.
Al centro dei suoi interessi erano sempre il rapporto col Mazzini e una collaborazione con i progetti rivoluzionari che la posizione strategica del Cantone rendeva particolarmente attiva e funzionale; altro compito del G. era la diffusione tra gli esuli degli scritti mazziniani, obiettivo che divenne più facile raggiungere allorché, nel 1842, i fratelli Ciani, rilevata l'azienda del Ruggia, diedero vita alla Tipografia della Svizzera Italiana.
Chiamato a esercitarvi le mansioni di direttore editoriale, il G. concepì allora un piano di lavoro che, senza accantonare la cospirazione politica (che egli seguiva con stati d'animo alterni, ora deprimendosi per gli insuccessi, ora esaltandosi per l'apertura di nuove prospettive, e comunque sempre avvertendo l'utilità di un'incessante azione di lotta), dava un forte impulso alla divulgazione di testi storici, politici e letterari capaci di tener sempre viva agli occhi dell'opinione pubblica la questione nazionale. In tale ottica gli sembrava che l'edizione di opere e autori dell'area moderata (ad esempio G. Giusti, M. d'Azeglio, G. Capponi), per quanto imposta dall'alterazione degli equilibri interni al movimento nazionale provocata dall'avanzata del giobertismo, potesse produrre risultati non meno efficaci dei mazziniani Ricordi dei fratelli Bandiera, stampati a più riprese nel 1845: se anche il G. era il primo a essere condizionato dai contenuti di questa pubblicistica che sottolineava la centralità del problema dell'indipendenza rispetto a quello dell'unificazione e se, a partire dal 1846, cominciava a manifestare un certo interesse per il riformismo carloalbertino, riprendeva poi forza in lui l'ideale unitario al cui servizio poneva, oltretutto, una instancabile attività di viaggiatore - in Francia, in Belgio e nell'Italia settentrionale - tesa da un lato a diffondere le pubblicazioni della sua casa editrice, dall'altro a rannodare ai centri direttivi di Parigi e Londra le iniziative dei mazziniani della penisola. Ed era appunto il G. a convincere il Mazzini a preparare per la tipografia luganese la prima selezione dei suoi articoli, apparsi in precedenza su varie riviste italiane e straniere, selezione destinata a vedere presto la luce nei tre volumi degli Scritti letterari d'un italiano vivente, opera tipograficamente ed editorialmente non certo impeccabile, ma di fondamentale importanza per l'imminente rilancio dell'ideologia rivoluzionaria.
Allo scoppio dell'insurrezione milanese del 1848 il G., che l'anno prima aveva combattuto da volontario nella guerra del Sonderbund e, rimasto ferito, era stato internato per qualche mese ad Airolo, rientrò in patria ma, viste ben presto deluse le speranze di una vittoria - cui aveva cercato di contribuire anche militarmente assumendo il comando della brigata comasco-ticinese inquadrata nella I legione lombarda - riparò di nuovo in Svizzera, per stabilirvisi definitivamente.
Restò ancora per qualche anno nelle file della democrazia mazziniana adoperandosi molto per la riuscita del prestito nazionale, senza tuttavia celare la crescente sfiducia in un metodo che giudicava sempre più isolato nelle sue scelte insurrezionali e come tale votato a un insuccesso sicuro. Così l'attaccamento personale al Mazzini - un attaccamento che nel 1849 lo aveva indotto a rifiutare la pubblicazione della Guerra combattuta in Italia… di C. Pisacane e a censurare i pesanti attacchi rivolti all'ex triumviro da G. Ricciardi nei suoi Cenni storici intorno agli ultimi casi d'Italia, editi dalla Tipografia con la falsa indicazione Italia 1849 - politicamente non resse più di fronte al moltiplicarsi delle sconfitte.
Il G. si accostò allora a C. Cattaneo, anch'egli esule a Lugano dopo il ritorno degli Austriaci a Milano, e prese a frequentarlo con assiduità; nel frattempo, naturalizzatosi cittadino svizzero, entrava nella vita pubblica luganese come deputato del Gran Consiglio ticinese (1859-63), membro del Consiglio cantonale dell'istruzione pubblica e rettore del liceo cantonale di Lugano (1870-77). Il sempre solido patrimonio familiare gli consentiva inoltre di dare corso alle sue tendenze di filantropo: "L'ospedale italiano di Lugano deve in gran parte la sua esistenza alle 25.000 lire date dal dott. Gabrini", ricorderà alla sua morte il necrologio dedicatogli dal Secolo di Milano. Il ricordo dell'Italia e della parte anche da lui avuta nelle prime lotte per l'unificazione restava nelle preziose testimonianze che, vero "archivio storico vivente" dotato di una "portentosa memoria" (Manzoni, pp. 16, 21), offriva ancora nella tarda vecchiaia a studiosi e ricercatori.
Il G. morì a Lugano il 5 nov. 1908.
Fonti e Bibl.: Necr. in Il Secolo, 7 nov. 1908. La maggior parte delle notizie sul ruolo avuto dal G. all'interno del movimento democratico italiano prima del 1848 si ricava da G. Mazzini, Ed. naz. degli scritti, dove si leggono anche le poche lettere scrittegli dal Mazzini che si siano conservate (per la consultazione si veda il vol. II degli Indici a cura di G. Macchia, ad nomen) e dal Protocollo della Giovine Italia. (Congrega centrale di Francia), I-VI, ad indicem; per il 1848 e per gli anni successivi qualche informazione in C. Cattaneo, Epistolario, a cura di R. Caddeo, I-IV, Firenze 1949-54, ad indicem, e in Id., Tutte le opere…, V, 3, Archivio triennale della cose d'Italia, Milano 1974, ad indicem; un breve carteggio è edito da L. Marchetti, Di alcune lettere di A. G. e di Giuseppe Ricciardi, in Scritti storici e giuridici in memoria di A. Visconti, Milano 1955, pp. 259-267. Sull'attività editoriale si veda R. Caddeo, La Tipografia Elvetica di Capolago, Milano 1931, ad indicem, e Id., Le edizioni di Capolago. Storia e critica, Milano 1934, ad indicem; su momenti particolari della sua vita cfr. R. Manzoni, Gli esuli italiani nella Svizzera (da Foscolo a Mazzini)…, Milano 1922, pp. 16, 21, 127 s. Poche righe di biografia sono dedicate al G. dal Dict. histor. et biogr. de la Suisse, s.v.