FONTANESI, Antonio
Nacque a Reggio Emilia, il 23 febbr. 1818, penultimo di sette fratelli, da Giuseppe, guardiano di caserma, e da Maddalena Gabbi. La giovinezza assai disagiata, provata dalla miseria, segno con una vena malinconica e idealista tutta la sua opera. A quattordici anni, nel 1832, Si iscrisse alla scuola comunale di belle arti di Reggio dove fu subito benvoluto dal professore P. Minghetti, che lo sostenne e incoraggiò anche dopo gli studi. A sedici anni risultò primo pari merito al premio di paesaggio.
Nel 1842 lavorò come scenografo per il teatro Comunale di Reggio Emilia, dipingendo scene della Fausta e della Sonnambula per la stagione lirica del Carnevale. Collaborò per le scene del Giuramento. Il bisogno di lavorare e la passione per l'arte lo indussero a chiedere al podestà incarichi pubblici in qualità di decoratore, ma fu subito osteggiato a favore di A. Aquila e G. Boccaccio, di cui inizialmente aveva subito l'influsso.
In questi anni si adattò a decorare case private, arricchendole di fiorami, paesaggi, prospettive, figure, mettendo a frutto l'esperienza di scenografo e il naturale talento. "Alcune di queste tempere murali sono forse da identificarsi con quelle tuttora visibili a casa Zanichelli e a casa Ghinizzini a Reggio Emilia" (Menozzi, 1952-53, pp. n.n.). Iniziò in lui anche la passione per la politica e trascorreva le sere a discuterne con gli amici al Caffè degli Svizzeri: nacque così l'idea di A. Conzetti di commissionargli cinque paesaggi per rinnovare il locale (i pannelli furono poi staccati e dispersi in collezioni private).
Nel settembre del 1847 presentò un progetto di ristrutturazione ad uso civile dei fatiscenti locali sovrastanti i portici della Trinità: sua intenzione era di farsi carico degli oneri e della responsabilità dei lavori, per poi poteme usufruire come abitazione e atelier per un tempo fissato di quarant'anni; trascorsi i termini, i locali sarebbero tomati a disposizione del Comune. Il podestà rifiutò l'offerta e il F., amareggiato, lasciò Reggio Emilia. Si recò a Torino, entrò nella legione volontari lombardi e partecipò alla prima guerra d'indipendenza. Con la campagna del 1848 restò segnato dalla crudezza della guerra. Riparò allora in Svizzera, a Lugano, ospite di famiglie presso le quali prestò opera d'insegnante e per le quali eseguì alcuni lavori. Ritrovò anche vecchi amici, tra cui il Conzetti, che lo incoraggiò nel cammino artistico.
La notizia della sua partecipazione alla difesa di Roma nel 1849 non trova fondamento: si hanno infatti quarantotto modelli di paesaggio svizzero, datati tra l'aprile e il settembre di quell'anno, nonché un album tascabile coevo, donato dal F. al pittore parigino V. Branchard che sarebbe diventato suo amico (ibid.).
Nel 1850 si stabilì a Ginevra, dove ben presto si guadagnò la stima e l'appoggio di A. Calame e altri: percorse così la strada del pittore "alla moda", riempì album di soggetti "facili", di ritratti ad amici, di pastelli delicati e ameni, una vasta produzione di schizzi a carboncino nei quali però già si nota la forte sensibilità per il chiaroscuro. L'amicizia di V. Branchard gli assicurò contatti influenti; furono gli anni dei viaggi in Svizzera, Francia, Inghilterra: nel 1855 lasciò Ginevra per Parigi, dove si recò, insieme con F.-A. Ravier, all'Esposizione universale, rivelatrice della "scuola di Barbizon", e dalla quale trasse ulteriori conferme al suo interesse per la pittura di paesaggio, sentita come espressione dell'animo. Restò profondamente colpito dall'opera di C. Troyon e J.-B-C. Corot ed entrò in contatto con il movimento romantico-naturalista. Abbandonò il suo passato di decoratore e scenografo, rifiutando il paesaggio storico-architettonico: "ogni sito può essere rappresentato, ché la natura è bella da sé" (ibid.); studiò meglio gli Inglesi, subendo il fascino di J.M.W. Tumer, J. Constable, J. Crome e T. Gainsbourough. È del 1855 Mattino, risultato della maturazione degl'influssi assimilati in questo periodo, elaborati alla luce del proprio spiccato carattere: "mentre nei francesi si nota elegante sicurezza, quasi garbo nella trattazione dei particolari, in F., invece, forza e rudezza elevata da un potentissimo soffio idealistico; inoltre vi è maggior oggettività nei primi contro una originale soggettività nel secondo" (ibid.).
Nel 1856 il F. andò a Portofino, dove rimase per qualche tempo; tornò poi a Ginevra per l'Esposizione permanente di belle arti all'ateneo, nella quale presentò la Veduta di Reigner e alcuni disegni. Nell'estate del 1857 andò nuovamente in Liguria, ad ammirarne la luminosità e i colori, senza riuscire a cogliere dal mare l'ispirazione che si aspettava. Nell'agosto del 1858 viaggiò nel Delfinato, a Crérnieu, dove frequentò il cenacolo del Corot e C-F. Daubigny e si legò di sempre più fraterna amicizia con il pittore F.-A. Ravier: in questi luoghi, fra quegli amici, tornò poi in cerca di pace ogni volta che l'angoscia si fece più cupa.
All'inizio della seconda guerra d'indipendenza, nel 1859, il F. partì per Torino ad arruolarsi volontario, chiedendo l'interessamento personale persino di C. Cavour; fu nominato sottotenente nel 21° di linea, comandato da M. d'Azeglio: dopo qualche mese il reggimento si sciolse e il F., dopo brevi soste nell'Isère e a Bologna, tornò a Ginevra. Nel 1861 espose a Parigi varie opere tra cui il Guado e ottenne il plauso di Corot e G. Courbet: grazie anche all'interessamento di F. Arborio Gattinara marchese di Breme ricevette numerose commesse godendo di una certa notorietà.
Lo stesso anno andò a Firenze., per un primo contatto con i macchiaioli; nel 1862 fu presente all'Esposizione dì Torino, con La sorgente, Dopo la pioggia, Il piccolo stagno, La quiete, La strada dei campi (Torino, Galleria Sabauda) e Un mattino d'ottobre (Roma, Galleria naz. d'arte moderna). Nel 1862 raccolse alcune sue incisioni all'acquaforte in un album, che dedicò all'amico e allievo Arborio Gattinara, incisore egli stesso, con queste parole: "Primi saggi d'acquaforte dedicati al mio nobile collega ed ill.mo Signor Marchese Di Breme" (A. F. L'opera grafica, 1979, p. 131 n. 66). Nel 1863 chiese una cattedra in Italia sperando nelle raccomandazioni del marchese: viveva ancora a Ginevra, compiendo viaggi a Crémieu. Verso la fine del 1865 andò a Londra, dove si fermò per circa un anno, avendo così la possibilità di ammirare e studiare Tumer e Constable: racchiuse il frutto delle osservazioni in un album di eliografie e acqueforti, intitolato Sketches of London; tra le opere londinesi si ricordano Ingresso nella cattedrale di S. Paolo e Strada con arco, entrambe realizzate con la tecnica del cliché-verre (ibid., p. 186 n. 108).
Dopo quest'esperienza il F. ritornò in patria per soggiornare di nuovo a Firenze, fermandosi in questa città per tutto il 1867; qui frequentò il circolo del caffè Michelangelo: entrò dunque in contatto con i macchiaioli, dai quali fu apertamente ammirato e stimato, pur divergendo per sensibilità e maniera. Organizzò il suo studio dapprima presso C. Banti, con cui strinse sincera amicizia, e nei locali del quale dipinse tra l'altro Tramonto sull'Arno e Lavoro della terra. In seguito si mise in proprio e condusse a termine quattro ovali: Crepuscolo sul Mugnone, Stagno lungo il Mugnone, Fontana nei pressi di Signa, Ricordo di viaggio (Bernardi, 1932, pp. 45-48). Il 22 maggio 1868 ricevette la nomina a direttore e professore di figura presso l'Accademia di belle arti di Lucca, ma finalmente, l'anno seguente, l'8 genn. 1869, ottenne la cattedra di paesaggio alla Reale Accademia Albertina di Torino. In questa città trovò la sua ultima sede stabile e dipinse i suoi maggiori capolavori. Una breve parentesi fu costituita dalla mostra universale di Vienna nel 1873, alla quale partecipò con l'opera Aprile (Torino, Galleria civica d'arte moderna): una tela dalla cupa pastosità, giocata abilmente sui toni caldi e freddi da apparire a tuttaprima monocroma. Nel 1874 all'esposizione Promotrice di Torino presentò Bufera imminente.
Fu un memorabile trionfo; i critici, sempre avari con lui, furono costretti ad un elogio senza riserve. Come in molte sue opere, gli unici esseri viventi a comparire sono gli animali (qui due buoi): la gravità e la potenza dei loro corpi fanno risaltare tragicamente l'incombere minaccioso della bufera, colto nell'istante di cupo e drammatico silenzio che la precede.
Del 1875 è Solitudine (Reggio Emilia, Museo civico): in essa troviamo espresso, in piena maturità dell'artista, quello stato d'animo malinconico volto ad un oscuro trascendente che caratterizzò sempre più gli ultimi tempi della sua tormentata carriera. Nello stesso anno ricevette l'offerta di una cattedra a Reggio Emilia e di una all'Accademia imperiale di Tokyo; scelse di partire per il Giappone. Insegnò qui per due anni (dal 1876 al 1878), non trovando, lui pittore intimista e soggettivo per eccellenza, feconda ispirazione dall'esotismo dei luoghi nuovi, eppure lasciando un segno incisivo della sua permanenza nella corrente detta "all'occidentale" di un gruppo di pittori del periodo Meiji. Ormai la sua salute era minata dall'idropisia e dovette rientrare a Torino per riprendere, sempre più stanco, l'insegnamento all'Albertina. Già sul finire del 1879 si vide costretto dal male a farsi aiutare dall'allievo R. Pasquini a terminare l'imponente tela Le nubi (Torino, Galleria civica d'arte moderna). Compì, però, tentando uno svago, un viaggio a Reggio e uno a Ginevra, dove aveva mantenuto i contatti con i vecchi amici. Nel maggio del 1880 andò a Morestal dal Ravier. Lo stesso anno fu presente alla Esposizione nazionale di Torino con Bufera imminente, Mattino, Le nubi e sei studi dal vero, ma non ebbe il successo sperato. Deluso, partì per il Delfinato, tornando dapprima a Morestal; si fermò poi alle terme di Vichy. Alla fine di quell'anno rientrò a Torino, dove frequentò assiduamente la casa di G. Giacosa.
Sono del 1881 gli ultimi viaggi a Ginevra e in Francia, poi per motivi di salute si recò a Cannobbio. Il 27 luglio dello stesso anno ottenne la commenda della Corona d'Italia: tornato a Torino morì l'anno seguente, il 17 apr. 1882.
Una mostra commemorativa del F. fu organizzata nel 1932 nella Galleria civica d'arte moderna di Torino, dove si trova un gruppo molto numeroso di sue opere, a cura di V. Viale; in quell'occasione fu pubblicata la monografia di M. Bernardi sull'artista.
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