FOGAZZARO, Antonio
Romanziere, nato a Vicenza il 25 marzo 1842, da Mariano e da Teresa Barrera, morto ivi il 7 marzo 1911. Ebbe un'educazione religiosa e patriottica; guidato negli studî ginnasiali dallo zio don Giuseppe, ebbe poi a maestro Giacomo Zanella; nel 1858 lasciò il liceo per l'università di Padova, dove restò poco, per una lunga malattia prima, per la guerra poi: riprese gli studî a Torino, dove il padre esule si era trasferito, e vi si laureò in legge nel 1864: l'anno prima aveva pubblicato nell'Universo i suoi primi tentativi poetici. Nel novembre 1865 la famiglia si trasferì a Milano, dove il F. continuò malvolentieri la pratica legale iniziata a Torino. Il 31 luglio 1866 sposò Margherita Valmarana, dalla quale ebbe tre figli, Gina, Mariano, col quale, morto il 16 maggio 1895, il casato si spense, e Maria.
Dalla laurea alla composizione di Miranda (Firenze 1874) corre circa un decennio di piana vita familiare, turbata però da inquietudini e rammarichi, non placati dalla fede religiosa che aveva perduta sin dall'adolescenza, e della quale un temperamento come quello del F. doveva soffrire la mancanza, pur senza rendersene conto. È un decennio in cui il F., nel fiore degli anni, senza preoccupazioni economiche, tace completamente. Tuttavia, il discorso che nel 1872 lesse all'Accademia Olimpica di Vicenza Dell'avvenire del romanzo in Italia (ripubblicato, dagli Atti di quell'accademia, solo nel 1918), è frutto delle meditazioni con cui in quegli anni il futuro romanziere andava cercando la sua via. Ma nel novemhre 1873 cade la lettura di La philosophie du Credo del Gratry che fu, come dice lo stesso F., di decisiva importanza per il suo ritorno attivo alla fede cattolica. Ora, il periodo che immediatamente precede questa lettura è quello stesso in cui il F. va scrivendo il suo poemetto Miranda, che infatti mandò manoscritto al padre con lettera del 3 dicembre 1873. Questo è dunque l'anno in cui si matura la personalità del F. uomo e artista: da ora in poi la sua fede, pur tanto travagliata, non subirà più eclissi, e l'arte procederà, di volume in volume, per la sua via.
A Miranda, tentativo di poesia realistica, borghese, conforme alle tendenze di quegli anni, seguì un volume di versi, Valsolda (Milano 1876), accolto freddamente non senza ragione: temperamento analitico, scarsamente dotato di fantasia, come lo Zanella osservava nel F. giovanissimo, e come lo stesso scrittore ammetteva, egli aveva bisogno di ampie tele variamente composite per potersi esprimere a pieno: tornò perciò con Malombra (Milano 1881) al romanzo, al quale sin dal principio aveva pensato, e da esso sostanzialmente non si staccò mai più.
Le troppo complicate vicende attraverso cui passa il protagonista, Corrado Silla, non hanno riscontro nelle vicende del F. uomo: ma è certo che il F. intese in Silla dipingere sé stesso, negli anni della peggiore incertezza spirituale: e forzando le tinte finì col calunniatsi, ché Silla è, per dirla con lo stesso F., un "misto strato di creta e di spirito mal temprato". Tuttavia Malombra preannunzia i successivi e migliori romanzi, non soltanto per questa ispirazione fondamentalmente autobiografica che è più o meno propria di tutte le opere del F., ma anche per quell'acuto spirito d'osservazione, che gli fa cogliere dal vero e rendere felicemente tipi e macchiette. Un'osservazione generale è da fare: di nessun altro romanziere è stato possibile rintracciare nella vita reale i modelli dei personaggi, come del F., che anzi incoraggiò e aiutò le identificazioni. Il F. ebbe sempre dinnanzi a sé personaggi reali: e talvolta si propose ex professo di riprodurli nei suoi libri. Che alcuni di essi siano poi nel corso della narrazione trasfigurati profondamente; che altri risultino dalla contaminazione di due o più figure della vita reale, è naturale: resta tuttavia caratteristico del modo di comporre del F. il fatto che egli per dipingere ha bisogno di partire da una fotografia.
Nel marzo 1884 il F. finì il romanzo che doveva segnare la sua piena affermazione: Daniele Cortis. Il nuovo protagonista è malato della stessa sensualità di Silla, sebbene più sottilmente; e la stessa rinuncia all'amore, per la forma e le restrizioni mentali e sentimentali con cui avviene, è ben lontana dal purificare l'atmosfera torbida del romanzo. Tuttavia la lettura del Cortis fece un'impressione profonda su uomini spiritualmente assai lontani dalle torbidità fogazzariane, come Giulio Salvadori, e anzi sulla conversione di questo essa non fu senza efficacia.
Seguono al Cortis alcune cose mediocri: oltre a qualche poesia, Fedele ed altri racconti (Milano 1887), il più fiacco dei suoi romanzi, Mistero del poeta (Milano 1887). Ma il F. andava intanto meditando dal punto di vista cattolico alcuni problemi scientifici e sociali (e traccia di questa meditazione è già nel Cortis), primo tra i quali quello della teoria dell'evoluzione. Parve al F. che quella teoria non solo non fosse in contraddizione con l'insegnamento religioso, ma anzi conferisse a esso un valore più alto, un significato più "poetico". Ora, l'errore fondamentale di tutte le teorie del F., filosofiche e politiche e religiose, consiste appunto nel considerare dal punto di vista estetico - che poi non è altro che il punto di vista della sua personale concezione della bellezza poetica - ciò di cui invece bisognava vagliare rigorosamente la verità religiosa, logica o storica che essa fosse. "Nel disegno divino dell'universo - egli diceva - il fine della legge di evoluzione è di svolgere nelle creature intelligenza e amore, onde glorifichino Iddio". L'evoluzione gli si palesava come una creazione divina che dura in eterno, sempre più perfezionandosi in sé stessa. Di queste idee, sulla cui "bellezza" non si stanca mai d'insistere, il F. si fece propagandista e apostolo, in una serie di comunicazioni e di conferenze, poi raccolte sotto il titolo Ascensioni umane (Milano 1899). Diceva il F. che "più è forte l'impulso dell'animalità inferiore, più s'innalza il sentimento morale che la tien soggiogata, più grandeggia l'umanità": il conflitto tra senso e spirito non sarebbe dunque in fondo che il conflitto stesso tra l'uomo inferiore e l'uomo di grado in grado sempre più perfetto che si va evolvendo da quello. I suoi romanzi non sono in fondo che le storie di alcune di queste evoluzioni.
Già nel 1885 troviamo nella corrispondenza del F. i primi accenni a quello che sarà il suo capolavoro, Piccolo mondo antico, che allora pensava d'intitolare Storia quieta; ma il romanzo è condotto a termine solo nel 1895. "La mia coscienza - scrive il F. a mons. G. Bonomelli, che gli fu costantemente amico - non era del tutto tranquilla circa due almeno dei miei romanzi precedenti, e ho desiderato scriverne uno da potervi riposare sopra in pace". In effetti Piccolo mondo antico, del quale è stata giustamente notata l'impostazione manzoniana, è il più sano, spiritualmente e artisticamente, dei romanzi del F.: il dualismo tra senso e spirito è sostituito da quello tra ragione e fede.
Le vicende in esso narrate si svolgono tra il 1852 e il 1859: grandi avvenimenti politici sono già conchiusi e altri non meno grandi e decisivi si vanno preparando; ma quieto e meschino è il piccolo mondo provinciale della Valsolda. Il F. ci presenta una folla di personaggi minori, per la massima parte presi dal vero, osservati acutamente, resi con vivo senso di comicità, per lo più con indulgenza, alcuni di essi con affetto: ché la simpatia per il personaggio non impedisce mai al F. di sottolineare sorridendo le sue debolezze. Ma mentre questo spirito di osservazione minuta turba più o meno l'economia degli altri romanzi, qui i particolari episodici trovano un loro centro nella vicenda dei protagonisti, Franco e Luisa, nel loro amore e nel loro dissidio. Luisa sembra la più forte, intesa a raggiungere la giustizia in questo mondo, senza nessuna preoccupazione dell'altro, mentre Franco vaga incerto nel suo cattolicesimo sognatore, che sembra escludere ogni contatto pratico. Ma quando le circostanze, urgendo con le loro necessità, non gli consentono più dilazioni, e il dissidio con la moglie si è dichiarato, Franco trova l'energia di adattarsi, nell'esilio di Torino, a una dura vita di privazione e di lavoro; e quando poi una grande sciagura si abbatte sui due coniugi, con la morte della loro piccola Ombretta, ecco che Franco trova nella sua religione la possibilità di esser forte, mentre Luisa si accascia e dispera. Infine, nel fervore patriottico della guerra del '59, i due coniugi si ritrovano e forse finalmente si comprendono: la fede dà forse la prima luce allo spirito di Luisa, ma anche Franco ha ormai compreso che il cristianesimo non è sogno, ma vita; che bisogna "mirare all'altro mondo attraverso questo". Si sana così il dualismo; e il problema religioso, vissuto qui dai protagonisti nella loro attuale esperienza sentimentale, costituisce il motivo centrale del romanzo senza aduggiarlo con disquisizioni teoriche, come avviene in troppe altre pagine del Fogazzaro.
Piccolo mondo antico, a cui non mancarono larghi e profondi consensi anche ufficiali (il F. fu nominato senatore il 25 ottobre 1896), è una felice parentesi di sanità. Jeanne di Piccolo mondo moderno, pubblicato dapprima nella Nuova Antologia (fasc. 16 dicembre 1900 segg.) ripete invece nelle sue linee essenziali, pur nella frigidità sessuale che lo scrittore le attribuisce, l'Elena del Cortis. E Piero Maironi, figlio di Franco e di Luisa, è anche lui un sensuale che non solo il rispetto per la moglie pazza e le convinzioni religiose, ma anche le convenienze pratiche che gl'impone la piccola città di cui è sindaco clericale, allontanano dal soddisfacimento dei suoi desiderî. E da desiderio, più che dall'amore, egli è tratto verso Jeanne. Romanzo ambiguo, anche Piccolo mondo moderno si conchiude con una rinunzia che non purifica. Piero ha una visione, riacquista la fede perduta, scompare e lo ritroveremo poi nel Santo (Milano 1906), il terzo romanzo della trilogia.
Erano gli anni del movimento cosiddetto modernista. Che il F. abbia in certo modo precorso i modernisti e più che tale egli sia stato, come dice un suo biografo particolarmente autorevole nello speciale argomento, T. Gallarati-Scotti, un cattolico liberale che derivava dal Rosmini il suo desiderio di rinnovamento ortodosso della Chiesa cattolica, è affermazione non priva di verità: ma certo è che il F. partecipa in un secondo tempo con ardore alle vicende dei modernisti, di cui accetta in pieno, tra l'altro, il punto di vista circa la possibilità di sottoporre a critica storica i testi biblici; e che egli si prepara al Santo, che vuol essere una battaglia a favore del rinnovamento cattolico, leggendo assiduamente George Tyrrell. E il rinnovatore è Piero Maironi, che ha assunto il nome di Benedetto, e che per seguire la sua missione respinge definitivamente Jeanne riapparsa. La predicazione, l'esercizio della carità, i miracoli diffondono tra il popolo la fama di lui, ma ben presto subentra la diffidenza e il popolo si rivolta contro l'"impostore". Egli riprende a Roma la sua azione; ha colloquî col pontefice, che sembra consentirgli, e con le autorità politiche: ma la fine è ormai vicina. Jeanne ricompare all'ultimo istante, all'ultimo istante convertita da Piero alla sua fede.
Artisticamente falsato, nonostante particolari bellezze, dall'intento polemico-religioso che svela la sua fredda origine letteraria e retorica, il Santo non ebbe, né poteva avere (e proprio per le stesse ragioni per cui è mancato dal punto di vista dell'arte) influenza, come il F. sperava, sulle coscienze dei cattolici. Troppo incerto e morboso per essere un santo, Benedetto non poteva dire una parola decisiva e duratura in materia così alta. La condanna all'Indice del romanzo (5 aprile 1906) prelude all'enciclica Pascendi dell'8 settembre 1907, con la quale Pio X condanna il modernismo. Il F. si sottomise, anche pubblicamente (lettera a Filippo Crispolti del 18 aprile 1906), ma ciò non gli risparmiò attacchi da parte dei cattolici più intransigenti, e d'altra parte gli cagionò clamorosi e assurdi attacchi anticlericali. L'ultimo suo romanzo, anch'esso messo all'Indice, Leila (Milano 1911), coi suoi personaggi "cattolici all'antica" vuol segnare l'allontanamento del F. dagl'intellettuali riformatori glorificati nel Santo: ma batte artisticamente, con stanchezza, le vie precedenti, e concettualmente si risolve, con la sua polemica contro i "farisei" del cattolicesimo, in una satira del mondo clericale.
Troppo glorificato per alcuni anni sia come artista, sia come pensatore e quasi come apostolo di una nuova religione, era naturale che una volta venute in chiaro le deficienze della sua arte e le debolezze delle sue idee, la reazione contro il F. dovesse passare i limiti dell'equo. In verità, se si deve abbandonare a sé stesso tutto il bagaglio fogazzariano d'idee scientifiche, religiose, politiche, che ebbe tuttavia nel movimento d'idee di quegli anni una certa importanza; se occorre riconoscere il fondamentale sensualismo del suo temperamento che tanto più gli alienò le simpatie in quanto il F. volle essere maestro di morale e di austere rinunce, e che in ogni modo, tenuto a freno da considerazioni esterne, non ebbe modo di esprimersi liberamente nelle sue pagine, e la più gran parte di esse falsò e intorbidò; è necessario tuttavia notare che il F. concepì, assimilò, predicò quelle dottrine con profonda sincerità, e che fu nella vita assai migliore di quello che non si dipingesse nei vari personaggi. Ma bisogna soprattutto ricordare che egli seppe creare con pochi tratti inconfondibili figure e figurine; che alcuni ambienti dell'Italia borghese e provinciale hanno trovato in lui un pittore finora insuperato; che penetrò a fondo nelle anime complesse dei suoi personaggi, e insomma è, accanto al Verga, il più grande romanziere che abbia dato l'Italia nell'ultimo Ottocento. I due grandi contemporanei, che partono dalla stessa preparazione naturalistica, volgono la loro attenzione a mondi diversi: al mondo dei contadini il Verga, alle classi superiori, alle educazioni raffinate il F.: l'uno scruta l'istinto, l'altro i giuochi e i tormenti dell'intellettualità. Quell'intellettualità, esteriorizzata ed esasperata, è propria dei protagonisti dei romanzi del D'Annunzio, a cui in alcune pagine il F. è assai vicino.
Opere: Oltre alle opere citate, sono a stampa del F. un volume di racconti, Idilli spezzati (Milano 1901) e uno di Discorsi (Milano 1898; 2ª ed., Milano 1905), oltre ad alcuni volumi di scritti varî: Sonatine bizzarre (Catania 1899); Minime (Milano 1901; nuova ed. ivi 1908); Ultime pagine (Milano 1913). I versi son raccolti in Poesie (Milano 1908). Il F. tentò anche il teatro, con El garofolo rosso, rappresentato a Milano il 9 febbraio 1902, in dialetto veneto, e con Il ritratto mascherato, rappresentato a Venezia il 26 febbraio di quell'anno: ambedue accolti assai freddamente dal pubblico. Vedi questi bozzetti, insieme con Nadejde, mai rappresentato, in Scene (2ª ed., Milano 1903). I romanzi sono stati più volte ristampati e tradotti in varie lingue. P. Nardi ha curato una ristampa critica delle opere del F. (Milano 1930-31). Una scelta delle più belle pagine con notevole introduzione, ha pubblicato F. Crispolti (Milano 1928).
Bibl.: S. Rumor, A. F., nuova ed., Milano 1920, con ampia bibl.; P. Nardi Fogazzaro, 2ª ed., Vicenza 1930, con aggiunte bibl. al Rumor; B. Croce, Lett. della nuova Italia, IV, 3ª ed., Bari 1929, pp. 129-140; E. Donadoni, A. F., Napoli 1913; T. Gallarati-Scotti, La vita di A. F., Milano 1920; U. Leo, Fogazzaros Stil und der simbolistische Lebensroman, Heidelberg 1928.