FIESCHI, Antonio
Figlio di Niccolò, signore di Torriglia, nacque forse a Genova nella prima metà del sec. XIV.
Niccolò (morto prima del 1386) aveva guidato la famiglia nei difficili anni in cui , i Fieschi, usciti sconfitti dalle lotte intestine in Genova, erano stati costretti a rifugiarsi nei loro feudi appenninici, tentando frequenti quanto inutili colpi di mano per riconquistare spazio in città. Il 18 giugno 1345 era stato escluso dalla tregua stipulata tra il doge Giovanni Murta ed i fuorusciti che, con la mediazione di Luchino Visconti, erano stati riammessi a Genova. Nel marzo del 1350 aveva appoggiato le iniziative del fratello Giovanni, vescovo di Vercelli, tese a costringere Biella all'ubbidienza; si era infatti recato a Vercelli, per partecipare alle trattative tra il vescovo ed il Comune, ma aveva abbandonato la città, quando esse si erano concluse con un fallimento. Nel 1358 aveva acquistato dai Malaspina diverse località in Val Borbera.
Il F. è ricordato per la prima volta nel 1366 quando, su ordine dell'Officium robarie genovese, furono confiscati i loca posseduti nelle Compere del Comune da lui e da altri suoi parenti (tra i quali le fonti ricordano anche il padre Niccolò e lo zio Carlo), che si erano ribellati al doge Gabriele Adorno, fornendo con ogni probabilità aiuto a Leonardo Montaldo nel suo tentativo di abbattere, d'intesa con Galeazzo Visconti, quel doge. I primi vent'anni dell'attività del F. sono strettamente legati alle iniziative portate avanti dal padre e dallo zio Giovanni Fieschi, vescovo di Vercelli. Nel 1370 quest'ultimo concesse al padre del F. ed ai suoi discendenti i diritti giurisdizionali che la Chiesa vercellese vantava sui feudi di Masserano. Crevacuore, Moncrivello e su altre località della diocesi.
Per il momento la cessione assicurava ai Fieschi un controllo formale e precario, perché una parte della signoria su tali castelli toccava al Comune di Vercelli, mentre per l'altra quota mancava l'assenso dell'autorità ecclesiastica superiore; tuttavia essa mirava a compensare la famiglia delle notevoli difficoltà che essa incontrava in Liguria, dove la difesa dei feudi diventava sempre più precaria per il dinamismo politico e militare di alcuni dogi, come Antoniotto Adorno. Proprio nel 1370, ad esempio, uno dei centri chiave del dominio dei Fieschi, Roccatagliata, fu occupata dalle truppe genovesi, speditevi dal doge Domenico Fregoso. In difesa delle proprietà della famiglia si mosse lo stesso vescovo Giovanni, che fu però costretto a ritirarsi.
Nel 1372, ad ogni modo, con un colpo di mano Niccolò e il F. riuscirono a riprendere il controllo di Roccatagliata. I rapporti col Fregoso avevano conosciuto anche momenti di minor tensione, come ad esempio nel 1371, quando alcuni uomini del F. furono liberati dal bando. Il 24 sett. 1378, quando il doge Niccolò Guarco, in lotta con Bernabò Visconti, decise di allearsi con le grandi famiglie aristocratiche degli Spinola e dei Fieschi, rappresentati nelle trattative da Giovanni, giurisperito, si giunse ad un accordo, che prevedeva una complessa divisione delle cariche pubbliche in Genova tra popolari e nobili e che permise a Niccolò, al vescovo Giovanni ed al F. di riottenere i loca delle Compere confiscati.
In quegli anni Niccolò ed il F. si adoperarono per rendere effettivo il controllo sul feudo di Masserano, avvicinandosi per questo al conte Amedeo VI di Savoia, anche allo scopo di spingere il conte ad un intervento nelle vicende genovesi. Il 12 ott. 1381 si arrivò ad un accordo, firmato ad Ivrea da Iblet de Challant, rappresentante del conte; i Fieschi si impegnarono ad appoggiare Amedeo, permettendo la mobilitazione dell'esercito sabaudo nei loro feudi. Durante le trattative tra il doge di Genova Guarco ed il dinasta sabaudo (che aveva svolto un ruolo fondamentale nella stipula della pace tra la Repubblica genovese e Venezia), Giovanni, altro fratello del E.1 ebbe l'incarico di incontrarsi con Amedeo, col pretesto di sostenere alcune pretese territoriali e pecuniarie, che suo padre Niccolò avanzava nei confronti del conte. Il 22 marzo 1382 Niccolò scelse a suo procuratore il carmelitano Domenico dei Dominici, per continuare le trattative con Amedeo. Queste iniziative politiche promosse dal F. e da suo padre furono appoggiate dal doge e dagli Anziani di Genova, i quali non si rendevano conto che i Fieschi, guelfi, stavano mirando, in realtà, a convincere il conte ad intervenire militarmente nella città ligure. Amedeo VI fece proprio il progetto, ma la sua morte improvvisa (1º marzo 1383) rese vano il progetto dei Fieschi.
Il 6 ott. 1382 il F. aveva nominato suo padre procuratore, per acquistare da Violante di Branca Doria il castello di Lerma, per 8.500 libre di genovini. Ritornato al potere in Genova Antoniotto Adorno nel giugno del 1384, il F. ed i suoi ripresero la lotta contro di lui riuscendo ad occupare, ma non sappiamo quando ed in quale modo, tutte le piazzeforti nella Riviera di Levante (tra cui Lerici, Portovenere, Arcola, Moneglia e Corvara) che costituivano il sistema difensivo costruito dalla Repubblica per controllare il retroterra appenninico in mano ai Fieschi. In quegli stessi anni, comunque prima del 1386, morì Niccolò, la cui eredità anche politica passò al F., cui toccò guidare la famiglia. Il 26 ott. 1386, il F. ed il fratello cardinale Ludovico, in quanto proprietari di quote su Varese Ligure, Caranza e su altri luoghi della Valdivara, cedettero al doge Adorno i loro diritti su quei castelli per 3.000 fiorini, accettando integralmente l'accordo stipulato il 1º settembre da Carlo Fieschi, anche a loro nome. Poco dopo il F. ottenne il controllo del feudo di Masserano e di Crevacuore in diocesi di Vercelli. Il 29 maggio 1394 Bonifacio IX concesse al F. ed ai suoi discendenti legittimi il feudo, separandolo dalla Chiesa di Vercelli e ponendolo alla diretta dipendenza della S. Sede. La complessa situazione giuridica del feudo, su cui il Comune di Vercelli vantava diritti, provocò negli anni seguenti continui attriti tra il F. e i suoi sudditi, attriti che furono eliminati solo dai suoi successori. La lotta contro l'Adorno continuò a caratterizzare le vicende del F. anche negli anni successivi.
Nel 1392 il vescovo di Savona, Antonio Viale, e suo fratello Benedetto, sospettati di aver cospirato contro il doge, furono costretti ad abbandonare Savona; mentre Benedetto venne catturato, il vescovo trovò rifugio nelle terre dei Fieschi. Nell'aprile, il Viale organizzò un colpo di mano su Genova, che fallì e costò il carcere al vescovo.
Per reazione il F. ammassò trecento uomini nel suo feudo di Torriglia, occupò il monte Fasce sovrastante Genova e cercò di fare insorgere la città. Il tentativo non ebbe successo;Raffaele Adorno guidò la controffensiva, che portò alla conquista di Savignone, centro di un altro ramo della famiglia, e ad un violento attacco su Torriglia. Fallito quest'ultimo, tra il doge ed il F. si venne ad un accordo, che, tuttavia, non durò a lungo, perché il F. appoggiò un colpo di mano tentato da Antonio Montaldo per occupare Genova.
L'insuccesso costrinse il Montaldo a trovare rifugio a Torriglia. Il tentativo successivo ebbe, invece, fortuna, perché nel giugno del 1392 l'Adorno fu costretto alla fuga e sostituito nella carica di doge dal Montaldo stesso, che si affrettò a restituire ai Fieschi i castelli che l'Adorno era riuscito a strappare loro, ma non fu in grado di impedire le iniziative che i guelfi stavano attuando per ottenere l'alleanza francese in vista di un ritorno in città. Carlo VI, benché impegnato nella campagna napoletana a favore di Luigi II d'Angiò, accolse le insistenti richieste dei guelfi, che non si fidavano del debole controllo, che il doge Montaldo ed il suo successore Niccolò Zoagli potevano garantire su Genova. Il re decise di affidare al duca di Orléans il compito di organizzare la spedizione per conquistare la città.
Nei convulsi avvenimenti successivi, che ebbero a protagonista l'Adorno, ritornato al potere, il F. si impegnò risolutamente al fianco della monarchia francese, che aveva spedito in Italia Enguerrand (VII) signore di Coucy; nel 1394 al Coucy giurarono fedeltà il F. e lo zio Carlo, ottenendo una pensione mensile, finché il duca di Orléans non si fosse impadronito di Genova. In cambio essi cedettero alla Francia il controllo di quelle piazzeforti che avevano occupato in precedenza nella Riviera orientale. Nel novembre, Gonnon de la Balme, scudiero dell'Orléans, fu incaricato di prendere possesso di tali castelli, ricevendone il giuramento di fedeltà. Il 30 novembre il F. fu presente all'atto in cui il Coucy ottenne il controllo di Savona. L'Adorno, tuttavia, seppe reagire abilmente alla morsa che si stava stringendo intorno a lui e riuscì ad ottenere che il duca di Orléans venisse sconfessato dal re e costretto ad abbandonare l'impresa. Questo creò gravi difficoltà ai Fieschi, che videro ritornare in mano a Genova (grazie alla campagna militare guidata da Giorgio Adorno, fratello del doge) i castelli da loro occupati nel Levante ligure. Tuttavia queste manovre non furono sufficienti a rinsaldare il potere del doge. L'Adorno tentò dapprima di trattare personalmente la cessione di Genova alla Francia; poi, nel 1396, chiese ed ottenne l'intervento di Bonifacio IX perché favorisse un accordo col F. e col cardinale Ludovico, in modo da salvare il suo controllo su Genova. Fallito anche questo tentativo, l'Adorno si arrese. Il 6 ottobre, a Quinto, egli incontrò i capi del partito guelfo, per concordare il passaggio della città a Carlo VI. Quest'atto segnò l'inizio della dominazione francese su Genova, che ebbe nel F. e negli altri membri della sua casata i più caldi sostenitori. Nell'assemblea cittadina che il 23 ottobre sanci solennemente la dedizione, fu presente anche un Antonio Fieschi, da idenfificare, però, col figlio di Benedetto.
Nel 1402, secondo il Federici, il F. partecipò alle esequie del duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti. Nel 1405 acquistò dal vescovo di Verona, Iacopo dei Rossi, e da suo fratello Pietro la metà di Pontremoli, che si andò ad unire agli altri castelli da lui controllati: tra essi, oltre a quelli già ricordati, devono essere citati anche Borgotaro, Montoggio, Calestano e Vigolone.
li F. morì nel 1412.
Aveva sposato Ginevra, di cui ignoriamo il casato: suoi figli furono Ibleto, vescovo di Vercelli, Niccolò, Giovanni, Ludovico e Gian Luigi.
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