FERRAMOLINO, Antonio (detto dagli scrittori spagnoli Herman Molin)
Nacque tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo probabilmente a Bergamo, dal momento che, nella letteratura che lo riguarda, al suo nome si accompagna spesso tale località di origine.
Fu valente architetto e ingegnere militare, ma la sua formazione è di difficile definizione per la mancanza di supporti documentari. P, possibile ipotizzare un alunnato presso un affermato professionista nel campo dell'ingègneria militare, che molti scrittori hanno voluto individuare in Gabriele Tadino da Martinengo, con il quale il F. ha, tra l'altro, una successione strettamente contigua nelle armate imperiali al servizio di Carlo V (il Tadino si congedò nell'aprile del 1536 e il F. prese servizio nel novembre dello stesso anno).
Pur avendo sicuramente raggiunto lo stesso livello di cultura e di capacità del suo supposto maestro, il F. non fu, come quello, oggetto di onori e ricompense (priorati): non fu infatti ritratto da celebri pittori né godette di lauti stipendi (300-400 ducati l'anno contro i 2.000 del Tadino), ed anzi visse tutta la vita con la costante preoccupazione di potersi "trovare in bianco" nella tarda età, come lui stesso scrisse in una lettera (Bertolotti, 1889).
La sua vita e la sua attività professionale furono dedicate al servizio della famiglia Gonzaga e non solo al seguito di don Ferrante viceré di Sicilia, ma anche, probabilmente in un periodo precedente, del fratello di questo, il duca di Mantova Federico II. Appare infatti verosimile quanto ipotizzato dal Tadini (1977., p. 24; se non diversamente indicato si rimanda a questo studio per ogni riferimento documentario citato all'interno della voce), e cioè che il F. "nella sua giovinezza e comunque molti anni prima del 1536 possa essere stato agli ordini o alle dipendenze di Federico Gonzaga a Mantova od altrove", e per un periodo sufficientemente lungo tanto da fargli auspicare in una lettera, quando era ormai in Sicilia, un suo ritorno per quattro mesi, di fatto mai avvenuto. presso il duca di Mantova. Tramite la stessa missiva il F. inviò anche quattro "desegnetti" di fortificazioni, nella speranza di essere interpellato da Federico per eventuali fortificazioni. Il rapporto con il duca si mantenne per tutta la vita, come testimoniano le numerose lettere, ed i molti doni del F. al duca, di falconi, gazzelle e, soprattutto, di cavalli.
Secondo il Maggiorotti (1939, p. 212), nel 1532 il F. partecipò alla presa della fortezza di Corone in Grecia da parte di Andrea Doria, capitano generale dell'armata imperiale marittima. Non è certo che il F. abbia preso parte effettivamente alla conquista di Corone, mentre è sicura una sua presenza nella località: in una lettera di E. Pignatelli, duca di Monteleone, viceré di Sicilia, al Cattolico, scritta in Messina il 13 nov. 1533, il Gonzaga dichiarava di trattenere in quella stessa città il F., di ritorno da Corone, affinché si recasse ad ispezionare le fortificazioni di Siracusa, Milazzo e Augusta, "onde dare su di ciò il proprio parere" (Tadini, 1977, p. 149). Poco oltre, nella stessa lettera, il duca affermava di ritenere il F. abile ed esperto e in una successiva missiva, del 7 dicembre dello stesso anno, dichiarava a Carlo V tutta la sua soddisfazione sull'operato del F., proponendo di trattenerlo definitivamente al suo servizio in sostituzione dell'ingegnere P. A. Tomasello.
Nella stessa lettera è contenuto anche un sollecito per il pagamento del lavoro svolto in Corone, che evidenzia quella che sarà una costante di tutta l'attività professionale del F, e cioè un forte ritardo nella corresponsione delle retribuzioni dovutegli. Anche nel rapporto di devozione ed impegno espresso nei confronti di don Ferrante Gonzaga, alla fine emergerà la mancanza di gratitudine da parte di quest'ultimo, il quale, una volta lasciata la Sicilia, per assumere il governo di Milano (aprile 1546), non risponderà più alle lettere dei suo devoto servitore (Bertolotti, 1889).
Con il 1534 ebbe inizio per il F. l'attività di ingegnere militare ad esclusivo servizio del viceré don Ferrante ed egli fu immediatamente impegnato nella difesa delle principali città e dei luoghi strategici della Sicilia, soggetta agli attacchi degli uomini di Solimano il Magnifico.
Al F. si deve la diffusione, nell'area del dominio spagnolo, della architettura bastionata con orecchioni tondi, che esprime l'importante mutamento avvenuto in campo militare sia nell'offesa sia nella difesa. Egli si fece portavoce, delle nuove istanze nel campo dell'architettura militare cinquecentesca, impegnandosi totalmente sia nel ripristino dell'obsoleto sia nella realizzazione di nuove opere di difesa, soprattutto là dove Carlo V doveva render sicure le terre conquistate. In questi anni la minaccia giungeva più facilmente dal mare e ciò spiega la richiesta fatta al F. di consolidare e di rafforzare i bastioni di difesa delle città, di approntare modifiche per aumentare la difesa delle fortezze, oppure di costruirne di nuove ma tuite sempre poste all'imboccatura dei porti.
Tra il 1534 e il 1535 il F. fu impegnato nel ripristino dei castello di Augusta, alla torre Colombaria e alla fortezza innalzata nel monastero di S. Salvatore, ambedue situate sul porto di Trapani; infine si recò a Milazzo, posta in posizione strategica rispetto a un eventuale attacco al porto di Messina, e intervenne sulle sue mura.
Nel 1535 l'imperatore decise una offensiva contro il Solimano e attaccò la città di Tunisi. Il 16 giugno l'armata reale, di cui faceva parte anche il F., giunse davanti alle rovine di Cartagine, poco lontane dal golfo di Tunisi. Dopo solo tre settimane la fortezza della Goletta, posta alla imboccatura del porto, venne presa e Tunisi conquistata. A Bernardino de Mendoza, nominato comandante del presidio, venne affidata la responsabilità di tutti i lavori di miglioria decisi per la fortezza della Goletta e progettati dal Ferramolino. Gli interventi costruttivi si susseguirono per cinque anni circa con alterne vicende, dovute anche alle frequenti assenze del F., contemporaneamente impegnato, per volontà del Gonzaga, in altri importanti cantieri in Sicilia, soprattutto nelle città di Messina e di Palermo, tanto che nel 1540 abbandonò definitivamente in mani diverse il proseguimento dei lavori alla Goletta.
Nulla è rimasto dei disegni originali del R; ciò che si conserva sono due schizzi, di mano di Francisco de Tovar, che rappresentano il progetto del F. secondo due varianti, ambedue con un disegno di fortezza a forma triangolare. Tale soluzione non incontrò il favore del de Tovar, che propose, infatti, un terzo schizzo a forma quadra. Gli interventi nella fortezza della Goletta si rivelarono, sin dall'inizio, estremamente difficili, perché le variazioni di forma complessiva presupponevano cambiamenti sostanziali a livello di fondazioni, determinando così problemi di scavo e, soprattutto, un grosso aumento dei costi. Inoltre le fondazioni della fortezza, data la posizione, dovevano essere realizzate direttamente in acqua, e ciò aumentò sensibilmente le difficoltà di impostazione del cantiere. Nella documentazione ancora esistente si legge chiaramente il grosso disagio incontrato nel lavorare costantemente in presenza di acqua, che fece richiedere al F. galere di appoggio per le attrezzature da utilizzarsi in cantiere quali, ad esempio, i pontoni.
A Messina, dove verosimilmente risiedeva dato che da qui proviene la maggior parte della sua corrispondenza, il F. e Francesco Maurolico vennero incaricati da Carlo V di provvedere alle fortificazioni della città, considerata la chiave di tutto il sistema di difesa del Regno. I lavori iniziarono solo nel 1537 per la difficolta di reperimento delle somme necessarie per l'opera, somme di notevole entità anche a causa del grosso "guasto" richiesto, e cioè l'abbattimento di case, chiese, orti, vigne e di tutto ciò che si trovava in contiguità con le mura su cui si doveva intervenire. Oggi, di quanto realizzato secondo il progetto del F., è ancora visibile il castello Gonzaga.
A Messina è rimasta poi testimonianza anche di una sua attività di architetto civile, e cioè un ospedale, di cui sappiamo aveva dato il modello (Di Giovanni, 1896, p. 15). Inoltre la tradizione dice che, in collaborazione con Domenico Giunti, egli abbia fatto altri interventi di architettura civile, dei quali però non è rimasta traccia nei documenti, e infine che sue siano anche molte torri di avvistamento e fari nei porti un po' ovunque sulle coste siciliane (Capasso, 1906, p. 401).
Nel 1536 il F. si recò a Palermo, dove realizzò, secondo il Rocchi (1908, p. 338), la sua opera di maggior importanza storica e tecnica. Nell'Archivio comunale di Palermo (cod. Varia I) si trova un manoscritto intitolato L'Ordini di la fortificacioni di quista felichi chita di Palermo dato per lo magnifico ingegnero A. F. Die XX octobris X Indictionis 1536, dove sono descritti dettagliatamente lavori da eseguirsi sui baluardi o sulle cannoniere delle mura della città secondo il progetto del Ferramolino. Come evidenzia il Rocchi (1908, p. 423), nel baluardo dello Spasimo, il primo dell'elenco di quelli su cui si doveva intervenire, il F. adottò i muri con archi di scarico che segnano l'ultimo termine dell'evoluzione delle mura di difesa dell'antichità e del Medioevo.
Tali archi di scarico sono riprodotti anche da A. Dürer (Etliche underricht zur Befestigung der Stett, Schlosz, und Flecken, Nürenberg 1527) proprio intorno agli anni Trenta del Cinquecento, che segnano un importante cambiamento, di cui il F. è indubbiamente un protagonista indiscusso, nei sistemi fortificatori di difesa.
Nel 1538 fu chiamato in Dalmazia a progettare, dopo la caduta della dominazione turca, un nuovo forte più vicino all'acqua, e, quindi, più idoneo alla difesa del porto di Castelnuovo di Cattaro (Maggiorotti, 1939, p. 220). Anche qui il suo soggiorno fu di breve durata; quasi subito venne chiamato nella vicina Ragusa (Dubrovnik), repubblica marinara indipendente che manteneva rapporti amichevoli con gli Spagnoli, ad intervenire sulle fortificazioni: egli realizzò nuovi bastioni nelle mura, la rocca di Menze e un bastione a difesa del porto (a Dubrovnik vi è ancor oggi una fortezza chiamata Rivelin, che la tradizione vuole costruita secondo un modello disegnato dal F.: Dubravka Beretia, I tesori di Dubrovnik, Firenze s.d., p. 20).
Nel 1539 il F. si recò ad ispezionare Bona in Algeria e a fornire suggerimenti in merito alle fortificazioni; nel 1540 venne inviato a Malta, sede dei cavalieri di S. Giovanni, dopo la perdita di Rodi, al fine di migliorare il sistema fortificatorio giudicato insufficiente (Bosio, 1594). Qui intervenne in Castel Sant'Angelo, elevandolo per aumentare le possibilità di difesa del porto di Mazzamusetto, e abbassò il fondo del fossato tra castello e borgo, immettendovi poi acqua di mare. L'aumentata possibilità di pescaggio si rivelò provvidenziale nel 1565, quando, durante l'assedio, fu possibile ricoverare le galere nel nuovo fossato (Promig, 1874, p. 371).
Gli anni Quaranta del Cinquecento furono per il F. estremamente densi di incarichi che lo costrinsero a frequenti spostamenti, non solo in Sicilia ma anche verso la Spagna (Bertolotti, 1881, p. 55). In Sicilia si occupò soprattutto delle fortificazioni di Catania e di Siracusa. Quest'ultime ebbero una evoluzione lenta e travagliata sia per il terremoto del 1542, sia per l'endemica difficoltà di reperimento del denaro necessario.
Nel 1546 Carlo V trasmise al marchese di Licodia, A. Santapace, viceré interino di Sicilia, le proposte del F. per le fortificazioni di Termini, nei pressi di Palermo. La minaccia turca era infatti costantemente presente e, in particolare, si era fatto temibile Dragut. Fu decisa allora un'offensiva e nel 1550 il Doria, con l'appoggio di don Juan de Vega, nuovo viceré di Sicilia, si portò verso le coste africane. Il F., impiegato in qualità di ingegnere militare, partecipò all'attacco della fortezza di Afrodisio (Mahdia, o Mehdia, in Tunisia) e venne ucciso in battaglia il 18 ag. 1550 (Nucula, 1552; Guglielmotti, 1876, p. 225).
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