FATATI, Antonio
Nacque ad Ancona nei primi anni del sec. XV da una famiglia nobile che nei secoli XIV-XV ebbe un certo ruolo nello svolgersi delle vicende municipali.
Figlio di Simone e di Buzia dei Lavaroni, nobile teramana, ebbe due fratelli, Marino e Iacopo, dei quali il secondo si unì in matrimonio con Cassandra Venieri di Recanati. Poco si sa della sua infanzia e adolescenza: studiò a Bologna, e la sua rapida ascesa ad importanti cariche fa credere che egli si distinguesse assai presto nell'ambiente bolognese, come confermano anche la familiarità e la fiducia di prelati e pontefici di cui egli godette fin da giovanissimo.
I documenti d'archivio ci conservano informazioni precise sulle tappe della vita pubblica del F., che si svolse sotto sei pontificati diversi e che fu ricca di incarichi civili ed ecclesiastici. Il 5 nov. 1431 il vescovo di Ancona Astorgio Agnesi lo nominò canonico e arciprete della chiesa cattedrale di S. Ciriaco. Nel 1440 andò a Ragusa come vicario generale per sostituire l'arcivescovo Antonio Venieri, zio di sua cognata, nell'amministrazione di quella diocesi, e vi rimase fino all'arrivo di quello, nell'ottobre dell'anno successivo. Nel 1440 il papa Eugenio IV lo nominò abate commendatario del monastero di S. Pietro al Conero, vicino ad Ancona, e gli concesse i benefici di S. Maria di Nazareth ad Ancona e di S. Giacomo a Paterno; nel 1444 divenne arciprete della cattedrale. Nello stesso anno prese possesso del vescovato di Siena come vicario generale del nuovo vescovo, il vicentino Cristoforo di S. Marcello, che morì poco dopo. Nel 1446 divenne familiare di Eugenio IV, poi, il 27 giugno, commissario e collettore apostolico della decima universale nei domini di Siena, Lucca e Piombino.
Godette anche del favore del successore di Eugenio IV, Niccolò V, e da lui fu nominato il 4 giugno 1447 vicario e canonico della basilica vaticana, il 21 settembre canonico di S. Pietro, poi suo cappellano maggiore e nel 1449 chierico della Camera apostolica. Nello stesso anno veniva designato tesoriere della Marca di Ancona e infine, il 20 nov. 1450, vescovo di Teramo, nonostante le sue perplessità sulla possibilità di adempiere fedelmente ai propri doveri di pastore a causa del numero delle cariche che ricopriva: fu obbligato infatti a risiedere fuori della diocesi, a Macerata, per assolvere alle sue funzioni di. tesoriere.
Comunque Niccolò V lo nominò ugualmente, nel 1454, governatore e vicario generale della Marca di Ancona e della Massa Trabaria e tesoriere di Bologna.
Delle numerose cariche ricoperte dal F. non ci rimane alcuna documentazione, ad eccezione di quella di tesoriere di Ancona: di essa sono stati conservati i cinque registri relativi al quadriennio che va dal 1º sett. 1449 al 31 ag. 1453. La tesoreria del F. comprendeva la Marca di Ancona, il Presidato farfense e la Massa Trabaria, estendendosi su un territorio più o meno corrispondente all'attuale regione marchigiana, contrariamente a quanto invece venne indicato con Marca di Ancona nei secoli successivi: il solo territorio corrispondente press'a poco all'attuale provincia di Macerata.
I registri illustrano efficacemente le condizioni della Marca durante questo quadriennio denso di avvenimenti. Si era da poco definitivamente conclusa l'impresa di Francesco Sforza, che nella Marca appunto aveva costituito dal 1443 al 1447 la sua vasta signoria: le figure del mondo politico marchigiano che trovano eco nei registri di entrate e uscite della tesoreria sono quelle rivali di Federico da Montefeltro e di Sigismondo Malatesta.
Cospicue risultano essere state le spese militari della Marca, fioridissima del resto in campo agricolo come dimostrano le esportazioni di grano effettuate non solo da parte dei cittadini dei Comuni marchigiani, ma anche dai mercanti di Venezia e di altre città italiane e del Levante, compresa quella che si può definire la filiale anconitana del fiorentino banco dei Medici.
Dei tredici anni del vescovato di Teramo, dal 1450 al 1463, anno in cui il F. venne trasferito alla diocesi di Ancona e sostituito dall'umanista Giovanni Antonio Campano, non rimangono molte tracce negli archivi locali. La lontananza dalla sede e la conseguente discontinuità nel governo della diocesi non ostacolarono comunque la messa in atto di diversi provvedimenti, tra i quali quelli relativi al numero e alla rendita dei canonicati, divenuti esorbitanti, nel suo clero. Il progetto venne approvato dal papa Niccolò V con la bolla del 15 maggio 1451 e il numero dei canonicati fu appunto ridotto a sedici. Per risanare inoltre la precaria condizione finanziaria del Comune di Teramo il F. impose una tassazione anche al clero della diocesi, che pure godeva di immunità: il provvedimento suscitò proteste tali da far convocare il vescovo in Curia per giustificare il suo operato (documento n. XXVII dell'Archivio comunale di Teramo).
Come governatore della Marca lo zelo del F. nell'assolvimento dei suoi doveri amministrativi è ben noto: liberò la regione daibriganti e istituì un efficiente sistema monetario (due lettere e tre editti, datati 1454 e relativi alla riorganizzazione delle monete, sono pubblicati dal Peruzzi).
Nel 1455, con l'avvento di Callisto III, il F. tornò alla sua diocesi, allora assai turbolenta, per fistabilire la pace. Nel 1456 il re di Napoli Alfonso d'Aragona lo designò suo consigliere perpetuo e commissario; con un diploma del 3 luglio 1458 inoltre confermò tutti i privilegi giudiziari del vescovato teramano.
L'11 marzo 1459 il F., nell'interesse della diocesi, indisse un sinodo diocesano dopo aver tra l'altro riformato il capitolo di Teramo imponendo nuovi statuti (Palma, IV, pp. 54-61). Anche Pio II apprezzò il suo operato, e si servì di lui per portare a compimento delicate missioni. Nel 1459 il F. si recò con il papa al congresso di Mantova, riunito in vista della crociata contro i Turchi; venne poi nominato collettore delle decime nel territorio di Siena. L'anno seguente fu vicario e suffraganeo del giovane vescovo di Siena Francesco Todeschini Piccolomini, nipote del papa, nominato a soli venticinque anni amministratore apostolico.
Pio II elesse il F. nel 1463 vescovo di, Ancona, città dove venne trasferito il 3 novembre e dove, nello stesso anno, fece erigere la chiesa di S. Maria del Canneto, oggi S. Maria della Piazza. Egli si adoperò con successo presso Pio II affinché i privilegi di cui Ancona aveva fino allora goduto non venissero soppressi. L'anno seguente ospitò il pontefice nella stessa città, da dove il papa avrebbe voluto partire con i crociati alla volta della Turchia, e dove invece morì, nell'episcopio di S. Ciriaco, il 14 ag. 1464.
Altri segni di fiducia ed altre missioni ricevette il F. dai successori di Pio II: Paolo Il lo nominò tesoriere di Bologna per il periodo 1466-70; Sisto IV lo considerò suo intimo commensale e lo esentò con il seguito, dal pagamento delle dogane durante i frequenti spostamenti.
Pur gravato da importanti cariche sembra che il F. desse ugualmente esempio di vita austera con spirito di umiltà, di penitenza e di preghiera: generoso con i poveri, fu prudente ed equo in ogni momento del suo complesso e attivo ministero. Morì ad Ancona il 9 genn. 1484, e fu sepolto nella cripta della cattedrale, accanto al muro del vescovado.
Il suo corpo quasi intatto fu esumato nel 1529 dal vescovo B. Baldovinetti e venne deposto nell'altare delle reliquie presso la chiesa cattedrale. Sembra che in seguito a questo avvenimento, la peste che devastava la città cessasse immediatamente: la memoria del F. divenne quindi di particolare venerazione. La beatificazione avvenuta successivamente costituì dunque la conferma di una tradizione già esistente. Nel 1652 il vescovo L. Gallo intraprese e portò a termine il processo di beatificazione del Fatati. Il vescovo P. Lambertini, più tardi Benedetto XIV, fece deporre il corpo in un'urna preziosa e rese testimonianza del culto nel trattato De servorum Dei beatificatione (II, 18). Nel 1795, anno in cui venne dichiarato beato per intercessione del cardinale vescovo, del capitolo e del magistrato di Ancona, dell'arcivescovo di Siena e del capitolo della basilica Vaticana, venne deposto nella cripta dei Ss. Protettori, , ove si trova ancora oggi. La congregazione dei Riti, per decreto del 9 maggio 1795, concesse il suo officio e la messa "de communi confessofis pontificis" con rito doppio maggiore alla basilica Vaticana e alle diocesi di Ancona e di Siena, stabilendone la festività il 2 settembre.
Fonti e Bibl.: Brevi notizie spettanti alla vita del beato A. F. ..., Roma 1796; P. Lambertini, Opus de servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, in Benedicti XIV P.O.M. Opera omnia, Prati 1839, p. 114; A. Peruzzi, Storia d'Ancona, II, Pesaro 1835, p. 318 (che pubblica i bandi sulle monete relativi al 17 settembre, 22 novembre e 13 dic. 1454); G. Cantalamessa Carboni, Vita del b. A. F., Ancona 1851; Memoria sul b. A. F., Ancona 1884; N. Palma, Storia di Teramo, II, Teramo 1979; IV, ibid., 1981, ad Indices. I riferimenti al F. contenuti nelle diverse storie della città d'Ancona sono riassunti in modo esaustivo nel Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., III, coll. 770-772. Una documentazione precisa sulle fonti archivistiche si ricava dai seguenti contributi: E. Lodolini, I libri di conti di A. F. ... nell'Archivio di Stato di Roma, in Atti e memorie della Deputaz. di storia patria per le Marche, s. 8, IV (1964-65), 2, pp. 137-176; M. Natalucci, Mostra di docc. e cimeli riguardanti il papa Pio II e il vescovo A. F., ibid., pp. 177-184; M. Monaco, Due eminenti prelati della diocesi aprutina al servizio della Curia romana nel XV secolo: S. de Lellis da Teramo et A. F. da Ancona, in Abruzzo, XII (1974), pp. 55-72.