ERIZZO, Antonio
Nacque a Venezia, agli inizi del 1502, da Sebastiano del procuratore Antonio, del ramo a S. Moisè, e da Cipriana Trevisan di Andrea di Paolo. La famiglia era assai ricca, e questo spiega come l'E., pur rimasto ben presto unico del suo ramo (il padre morì nel 1509 e il fratello Andrea visse pochi anni), abbia potuto figurare per tempo tra i più brillanti, colti e ricercati giovani esponenti dell'aristocrazia lagunare: "facondo oratore" lo definisce il Priuli, e il Sanuto ne ricorda l'ingresso anticipato in Maggior Consiglio con l'esborso di 100 ducati d'oro (12 nov. 1521), assieme all'attiva partecipazione alle iniziative ed alle feste della compagnia dei Floridi (1529). Accanto agli impegni mondani, le ragioni dell'economia: è del 1527 un lungo processo contro alcuni possidenti di Castelbaldo, presso Este, al termine del quale l'E. riuscì ad ottenere numerosi campi e fabbricati rurali situati nel basso Padovano, che nella condizione di decima, notificata un decennio più avanti, costituiscono la parte più cospicua delle proprietà fondiarie della famiglia.
La necessità di provvedere alla continuità del casato lo indusse a sposarsi per tempo: ventiduenne appena contrasse matrimonio con Caterina Contarini del cavaliere Sebastiano, la quale un anno dopo gli diede l'unico figlio maschio, Sebastiano, destinato a ricoprire un posto notevole tra gli scrittori politici e gli eruditi del suo tempo.
La carriera politica ebbe inizio con il saviato agli Ordini, che sostenne per quattro volte nel semestre ottobre - marzo degli anni 1531-32, 1532-33, 1534-35, e 1537-38, distinguendosi in quest'ultima circostanza per la capacità dialettica esibita nei confronti del collega Giovanni Donà.
Questi, di fronte all'aggressione turca, aveva proposto in Senato che si inviasse una legazione straordinaria a Carlo V e Francesco I, nell'intento di favorire una pacificazione tra i due contendenti, e spingerli contro gli Ottomani in appoggio alla Repubblica; di diverso parere si era invece detto l'E., ricordando anzitutto che era appena partito alla volta della Francia Cristoforo Cappello, ambasciatore ordinario, ma fornito di precise apposite commissioni, e che il medesimo incarico era stato affidato a Pietro Mocenigo, anche questi di fresca nomina alla corte imperiale: alla luce di questa realtà, un'ulteriore pressione da parte veneziana non avrebbe sortito alcun esito concreto, mentre avrebbe potuto essere scambiata dai Turchi per una dimostrazione di paura, inasprendo ancor più gli umori bellicosi del sultano. Senonché - ricorda il Morosini - "dum inter praestantes iuvenes pari eloquentiae, et pietatis in patriam laude disceptatur", la notizia ch'erano ormai stati gettati i preliminari per l'incontro di Nizza giunse a vanificare ogni ulteriore prosecuzione del dibattito.
Ufficiale alla Camera degli imprestidi dal 12 sett. 1538 all'11 genn. 1540, l'E. fu quindi ai Dieci Uffici nello stesso 1540 e nel 1544-45; dal 1544, poi, ebbe inizio una lunga serie di elezioni al saviato di Terraferma, che rivestì sempre nei primi sei mesi degli anni 1544-46, 1548-49, 1551-53, alternandolo di tanto in tanto con altre magistrature, come quella di tansador (1547), di membro del Consiglio dei dieci (1548), di savio sopra i Privilegi (1551), di cassiere del Collegio (1553).
Quindi, il 30 nov. 1553, l'avvenimento più importante della sua carriera politica, consistente nell'elezione al bailato di Costantinopoli, alla corte di Solimano, allora all'apice della potenza, e con il quale la Serenissima si sforzava di intrattenere buoni rapporti. Le commissioni gli furono consegnate il 13 apr. 1554 e di lì a poco partì alla volta del Bosforo portando con sé il segretario Marcantonio Donini, attraverso la via dei Balcani: in Bosnia, infatti, avrebbe dovuto cercare di ottenere dal sangiacco di Clissa la restituzione di alcuni villaggi del territorio di Sebenico, occupati dai Turchi nel corso di una scorreria, ma l'incontro non ebbe luogo (l'incarico sarebbe stato affidato allo stesso Donini, qualche anno più tardi, nell'aprile del 1557) e all'E. non rimase che proseguire per Adrianopoli, dove arrivò il 19 giugno. La sua permanenza nel Bosforo si sarebbe prolungata per due anni e mezzo, sino al dicembre del 1556, ma si trattò di una missione abbastanza tranquilla, dove le maggiori preoccupazioni per l'E. furono costituite dalla politica della lesina attuata dalla Repubblica, nel tentativo di arginare spese che il crescente processo inflattivo sembrava sottrarre ad ogni possibile controllo, e dalla necessità (per alcuni aspetti antitetica alla prima) di assicurare costanti rifornimenti di grano a Venezia ed ai suoi domini, travagliati da un'endemica carestia, conseguente in primo luogo ad un incremento demografico che solo la peste del 1575-77 avrebbe calmierato.
Soprattutto il 1555 fu un anno durissimo, e la materia dei grani ebbe l'onore di essere affidata a dispacci cifrati; sin dal febbraio, infatti, l'E. avvisava il Senato che "li frumenti vanno crescendo di pretio", a luglio parlava di "universale carestia dell'anno presente", ed in dicembre informava il Consiglio dei dieci che la corte ottomana aveva deciso la "generale prohibitione di poterne estraere pur una minima quantità". Naturalmente il diplomatico non mancava di fornire spiegazioni del fenomeno, alcune certamente credibili, altre un po' meno, come quella - tanto facile quanto suggestiva - di riversare su possibili incettatori l'aggravante dell'accelerazione dei prezzi dei cereali. Se per di più si fosse trattato di ebrei (in un periodo di accentuato antisemitismo, come quello che precedette Lepanto), nessun dubbio avrebbe potuto legittimamente sussistere, né presso i governanti, né tra il popolo: ecco dunque come, in una lettera del 7 febbr. 1555, l'E. ricostruiva l'operato di Gracia Mendes, la potentissima erede di una dinastia di mercanti e banchieri di origine portoghese, da poco stabilitasi a Costantinopoli: "Questa giudea di Mendes ne ha comprato una grandissima quantità, et di questi del Stretto, et di quelli di fuori, delli quali oltra quelli che ha mandati via per Ancona, con quelle nave, et altri navigli che le sono capitati alle mani, ha ancora fatto uno grossissimo deposito al Volo et in altri luoghi, et ha de qui grandissimo favore per li molti danari che ha e che spende. Compra li frumenti da questi magnifici bassà et dagli altri grandi, parte con danari contadi et parte con credito, et ne revende poi a tempo a questi mercanti nostri et altri, che non hanno danari, perché di mercantia non si fa alcuna cosa de qui, et gli mette li frumenti à pretio molto maggiore di quello che lei li ha comprati, et in vero è una peste".
Il problema era comunque grave e urgente, e trova spazio persino nella relazione conclusiva in cui l'E. sottolinea con forza la convinzione, diffusa fra i Turchi, "che Vostra Serenità non potrebbe mantenere il suo stato senza li loro frumenti", e che un eventuale blocco delle esportazioni potrebbe "dar molto travaglio" a Venezia, al punto che "quest'arma penetrandoli fino al core la potrebbe sforzare a cose, che alcuna arma mai non la potrebbe sforzare". Un ulteriore motivo di afflizione - come si è accennato - fu costituito per il bailo dalle incessanti ingiunzioni, che gli giunsero dalla patria, di fare economie: risparmiasse sui servi, sui dragomanni, sui donativi; una richiesta, quest'ultima, che egli si guardò bene dall'eseguire, "poiché" - ricordava nella relazione - i ministri ottomani ed i visir "sono naturali nemici de' cristiani; cosicché se a questa inimicizia non si fosse anco aggiunta l'avarizia, credo che il negoziar in quelle parti sarebbe al tutto impossibile", e siccome - concludeva - "non ho veduto che questi sappiano conoscere il mezzo, ma vogliono li due estremi, la forza o l'oro; però poi che piace a Dio che non possiamo con la prima per ora, ha giudicato sano consiglio l'intertenerci con il secondo".
Forte di questa convinzione, né potendo d'altra parte disattendere del tutto gli ordini dei Pregadi, l'E. pensò bene di procurarsi comunque quelle risorse ch'egli riteneva indispensabili per un dignitoso e proficuo espletamento del proprio compito: le vie del suo procedere ci rimangono ignote, ma gli esiti furono tali da suscitare il plauso ammirato del successore, Antonio Barbarigo, che in uno dei primi dispacci (4 dic. 1556: Senato. Dispacci Costantinopoli) tesse alto l'elogio dell'E., allora in procinto di lasciare Costantinopoli, con "così honorato nome, et tanto grata sodisfattione che, et sia detto giustamente a sua gloria, non è alcun rappresentante Vostra Serenità, che non si dovesse riputar a somma felicità, oltre l'haver ben servito il Principe, il ritornar alla patria anco con così universal consenso di quelli, coi quali habbia lungamente negociato".
Di diverso parere si dissero però i provveditori sopra i Conti, che al rientro del bailo in patria ritrovarono nella sua amministrazione "molte partide poste a gravissimo danno dell'Illustrissimo Dominio" (Mss. P. D., 511 C, fasc. IV).
Da queste accuse l'E. si discolpò con fatica, rammentando tra l'altro la partenza da Adrianopoli "che fu alli tre di decembrio, cosa mai più fatta per alcun altro clarissimo mio precessore, se ben poteva star almeno mesi tre in quel loco con il salario solito, per partir a miglior tempo. Et niente di meno, mi partii di subito, come ho detto, con mio gravissimo interesse, per la excessiva spesa, che fui sforzato far nel viaggio, qual oltra li molti incommodi della persona, che sostenni in quel così horrido inverno, convemmi spender molto più di quello havrei speso, se fossi venuto a miglior tempo" (ibid.).
Ma è proprio questa fretta eccessiva di lasciare il Bosforo, a rendere perplessi, unitamente al processo intentatogli post mortem, nel 1558, per l'acquisto di una partita di stoffe, effettuata tramite consegna di pubblico denaro a mercanti ottomani.
Più che alla specchiata onestà del suo procedere, dunque, la causa del prestigio che circondò sempre la figura dell'E. va probabilmente ricercata nella splendida relazione dell'impero di Solimano, da lui letta in Senato nel marzo del 1557 e che noi conosciamo attraverso il compendio fattone dal figlio Sebastiano; in tal modo l'E. poté evitare ogni incriminazione ed essere eletto savio di Terraferma per il semestre aprile - settembre 1557, per poi entrare a far parte (6 novembre dello stesso anno) dei provveditori sopra Beni inculti, la magistratura allora istituita in sede permanente, con l'arduo, ma grandioso, ma esaltante compito di procedere alla bonifica di vaste zone paludose del Veneto, al fine di incrementare la produzione cerealicola. Era un problema che l'E. ben conosceva e con il quale si era lungamente confrontato proprio nel corso del bailato: assieme ai colleghi Francesco Barbaro e Nicolò Zen si recò dunque a visitare i luoghi fra Este e Chioggia, là dove sarebbe stato realizzato il "retratto" del Gorzone, cui anche i suoi possedimenti padovani erano direttamente interessati. Fece a tempo solo ad avviare i primi studi, ad esaminare calcoli e progetti che ad altri sarebbe toccato di realizzare: morì di febbre, la notte del 12 ott. 1558, nel suo palazzo a S. Moisè.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti…, III, c. 415; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, cod. Cicogna 3782: C. Priuli, Pretiosi frutti…, II, cc. 7v-8r; Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Indice dei matrimoni con figli, sub voce; Ibid., Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 798, sub 14 ott. 1558; Ibid., Dieci savi alle Decime. Redecima del 1537, b.93/521; documenti relativi all'amministrazione domestica, ivi compreso il processo subito al termine del bailato, in Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D., 511 C, fasc. I, III-IV: Scritture famiglia Erizzo; in particolare, il processo per l'acquisto di stoffe a Costantinopoli, in Arch. di Stato di Venezia, Miscell. di atti diversi manoscritti, b. 146/17; per la carriera politica, Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 1, c. 84; reg. 2, c. 22; reg. 3, c. 173; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni dei Pregadi, reg. I, cc. 13 s., 26, 53, 73, 83, 88; reg. 2, cc. 7, 73; per l'attività di savio agli Ordini, Ibid., Senato. Mar, reg. 32, cc. 1r-23r, 59v-86v, 132v-133r; sul bailato, Ibid., Senato. Dispacci Costantinopoli, f. 1-A, nn. 19-92, 94 s., 97-100, 102-134, 137-142; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di ambasciatori, b. 2, nn. 46-109; Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, s. 3, III, Firenze 1855, pp. 123-144; per la missione presso il sangiacco Clissa, Commissiones et relationes Venetae, a cura di S. Ljubić, in Monumenta spectantia historiamSlavorum meridionalium, III, Zagrabiae 1880, p. 92; M. Sanuto, I diarii, Venezia 1892-1902, XXXII, XLIX-L, LII, LIV-LV, LVII, ad Indices; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 280, 285.
Si vedano inoltre: A. Morosini, Historia veneta..., in Degl'istorici delle cose veneziane..., Venezia 1719, V, p. 465; VI, p. 104; E. A. Cicogna, Delle inscriz. veneziane, VI, Venezia 1853, p. 653; Calendar of State papers... relating to English affairs existing in the Archives ... of Venice, VI, a cura di R. Brown, London 1884, p. 1012; P. Preto, Venezia e i Turchi, Firenze 1975, p. 64; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Erizzo, tav. II; Diz. biogr. degli Italiani, VI, Roma 1964, p. 59, s.v. Barbarigo, Antonio.