ELIA, Antonio
Nacque ad Ancona il 3 sett. 1803 da Sante e da Caterina Blasi, in una famiglia dedita ad attività marinaresche. Avviato anch'egli, all'età di quattordici anni, alla vita di mare - alla quale spirito di avventura, coraggio e resistenza fisica lo rendevano particolarmente adatto -, si distinse nel 1825 per un episodio di eccezionale audacia.
Il trabaccolo sul quale egli era imbarcato venne assalito nell'Adriatico da pirati turchi e l'equipaggio fatto prigioniero e rinchiuso nella stiva; l'E., colpito il capo dei pirati con una scure e ucciso il timoniere, riuscì a liberare i compagni, che ripresero il controllo dell'imbarcazione. Questo gesto gli fruttò una medaglia di benemerenza e una ricompensa in denaro, ma soprattutto una grande popolarità.
Venuto a contatto durante i suoi viaggi con esponenti della carboneria, aderì a questa società segreta nel 1829. Il suo contributo all'attività cospirativa non fu certo di carattere ideologico (tra l'altro egli era analfabeta), ma quello tipico dell'uomo di azione, fungendo egli da tramite tra gli affiliati italiani e gli esuli (specialmente in Francia e in Inghilterra) e recapitando talvolta carte compromettenti. Attento all'evoluzione della situazione politica, l'E. partecipò ai moti insurrezionali scoppiati nello Stato pontificio nel 1831; nel 1834 conobbe a Marsiglia G. Garibaldi, con il quale strinse rapporti di profonda stima ed amicizia.
Frattanto si era sposato con Maddalena Pelosi, da cui ebbe numerosi figli. Avanzò nella sua carriera passando da marinaio semplice a nostromo; più tardi ottenne la patente di piccolo cabotaggio. Veniva acquistando sempre maggiore autorità presso la gente di mare; capeggiò tra l'altro una vittoriosa agitazione di natura rivendicativa contro gli armatori.
Sempre acceso sostenitore degli ideali patriottici, per i quali si era lasciato coinvolgere in una rissa in un locale del porto di Trieste scampando poi all'arresto, alla notizia dei moti italiani del 1848 rientrò in Italia insieme con il figlio Augusto -destinato a seguire le orme paterne come uomo di mare e soprattutto come combattente per la causa risorgimentale - per partecipare agli eventi bellici che si svolsero nell'alto Adriatico. Successivamente, nel gennaio 1849, raggiunse Garibaldi - che stava organizzando a Macerata una colonna di volontari - per mettersi a sua disposizione. Questi, tuttavia, ritenne che l'E. potesse rendersi maggiormente utile rimanendo ad Ancona in virtù del suo ascendente sui popolani e sulla gente del porto.
L'E. svolse tale compito con intelligenza ed equilibrio: in particolare evitò che un incidente occorso tra gente del posto e un gruppo di marinai della flotta sarda si gonfiasse fino a divenire un caso politico e alla proclamazione della Repubblica Romana - cui la città di Ancona fece atto di adesione - organizzò pubblici festeggiamenti.
In quei mesi egli, pur fervente repubblicano, si adoperò, collaborando fattivamente con il commissario Felice Orsini, alla repressione degli eccessi antipapalini cui si abbandonarono i più facinorosi (aderenti alla cosiddetta compagnia degli "ammazzarelli"). Allorché, a partire dal maggio, gli Austriaci cinsero d'assedio Ancona, l'E. ebbe una parte di rilievo nella difesa. Comandato sul vapore "Roma" e, quindi, all'artiglieria dei forti, si distinse per ardimento nel corso di diversi episodi. Deciso fautore della difesa ad oltranza, contribuì notevolmente al mantenimento della disciplina fra gli assediati.
Caduta la città, si rifiutò di mettersi in salvo - come quasi tutti i compromessi politici - sul bastimento fatto approntare dal patriota Nicola Novelli, in parte perché sottovalutò i rischi ai quali andava incontro e in parte perché fortemente preoccupato dall'idea di abbandonare la famiglia. La decisione si rivelò fatale. Nella notte del 20 luglio 1849 la sua abitazione fu circondata da gendarmi papalini e soldati austriaci e perquisita: in casa non si trovò nulla di compromettente, ma nel condotto di una latrina che serviva la sua come altre tre abitazioni fu rinvenuta un'arma di incerta provenienza e ciò bastò per far arrestare e condannare l'Elia.
Nella "notificazione" della condanna, accanto all'imputazione relativa al possesso dell'arma, si faceva riferimento a una sua presunta appartenenza alla setta degli "ammazzarelli" e, in forma del tutto generica, a delitti politici commessi nei mesi precedenti. Una tradizione orale, a lungo conservata, lega peraltro la sorte dell'E. a un ennesimo alterco che egli, anticlericale, aveva avuto nei giorni precedenti con i preti della parrocchia della zona nella quale risiedeva.
L'E. affrontò il plotone di esecuzione con grande dignità, riuscendo anche ad avere parole di conforto per un compagno di sventura, il contadino Giuseppe Magini, condannato per resistenza armata ai gendarmi. L'esecuzione avvenne il 25 luglio 1849.
Egli lasciò sei figli e la moglie incinta. Il luogo della sepoltura, rimasto ignoto, fu individuato nel 1875, quando il figlio Augusto e le autorità comunali procurarono ai resti dell'E. una degna sistemazione, in prossimità della quale fu eretto un monumento.
Fonti e Bibl.: G. Garibaldi, E. il marinaio, in Cantoni il volontario, Milano 1870, pp. 157-165; M. d'Ayala, Vite degli italiani benemeriti della libertà della patria uccisi dal carnefice, Torino 1883, pp. 260-263; Aug. Elia, Note autobiografiche e storiche di un garibaldino, Bologna 1898, passim; Id., Ricordi di garibaldino dal 1847-48 al 1900, Roma 1904, passim; G. Giangiacomi, A. E. martire anconetano fucilato dagli Austriaci, Ancona 1907; G. Santini, Diario dell'assedio e difesa di Ancona nel 1849, Aquila 1925, p. 108 e passim; P. Fortini, Leggende e realtà nella vita marinara di A. E., in Riv. di cultura marinara, XXI (1946), 11-12, pp. 11-42; A. Fucili, Le Marche e il Risorgimento, Ancona 1961, p. 20 e passim; M. Natalucci, L'insurrezione delle Marche nel 1831, in Il Risorgimento italiano e le Marche, Fano 1961, pp. 77-90; G. Santini, Gente anconitana, Fano 1969, pp. 168 s.; Diz. del Risorg. nazionale, III, ad vocem.