TRIVA, Antonio Domenico
Nacque a Reggio Emilia il 4 agosto 1626, primogenito di Francesco, pittore, e di Barbara Zanichelli (Longo, 2008, p. 9). Apprese i rudimenti della pittura probabilmente nella bottega paterna, nonostante che la critica, rifacendosi a una notizia riportata dalle fonti storiografiche sin dal Settecento (a partire da Orlandi, 1753), sia rimasta a lungo concorde nell’assegnargli un alunnato presso Guercino a Bologna: assunto, questo, che l’assenza di prove documentarie e le più recenti puntualizzazioni cronologiche nella vicenda biografica di Triva, proposte da Lucia Longo (1990; 2008), inducono a riconsiderare nei termini di una sensibilità stilistica, riaffiorante nelle opere giovanili dell’artista reggiano, piuttosto che in quelli di un’esperienza reale.
Rimandi al tardo Guercino si possono cogliere, infatti, nel Mosè salvato dalle acque e nell’Ester e Assuero, eseguiti da Triva per la chiesa di S. Maria di Campagna di Piacenza fra il 1648 e il 1649. Assieme a Il Sogno di Giacobbe e a Mosè nel roveto, essi costituiscono il primo incarico ufficiale ottenuto dall’artista, nonché le uniche prove documentate della sua attività in terra emiliana.
Nei documenti relativi alla retribuzione per la commessa piacentina Triva viene definito «veneziano» o «viniciano» (Corna, 1908, pp. 193, 196), a rimarcarne la patria d’adozione. A Venezia, infatti, il padre Francesco si era trasferito entro il 31 gennaio 1642 con la famiglia (il 3 aprile del 1629 era nata Flaminia, secondogenita e destinata anch’ella alla carriera di pittrice). A quella data fu registrato nella Fraglia dei pittori locali, nella quale si trova menzionato anche nel maggio del 1644 (Favaro, 1975). A eccezione di una parentesi documentata a Padova nel 1643, Francesco stabilì la propria fissa dimora in Laguna; nel 1661 risultava pagare un affitto annuo di 70 ducati per un’abitazione nella parrocchia di S. Pantalon (Cecchini, 2000). Alla luce di questi dati, è lecito ipotizzare che l’ambiente artistico di formazione del figlio fosse quello lagunare, particolarmente ricettivo agli stimoli ‘foresti’.
Prima di abbandonare Piacenza nel 1650, Antonio Domenico fu interpellato come consulente per giudicare la qualità del dipinto con Gedeone, realizzato da Vincenzo Guidotti per la chiesa di S. Maria di Campagna (Corna, 1908, pp. 195 s.). Si cimentò con successo, inoltre, nell’arte incisoria, quando gli fu commissionata l’esecuzione ad acquaforte del frontespizio del volume Dell’historia ecclesiastica di Piacenza di Pietro Maria Campi (Piacenza, 1651-1652).
Nel 1651 appose la firma e la data sulla pala destinata all’altare maggiore dell’oratorio dei Colombini di Padova, raffigurante la Resurrezione di Lazzaro; menzionata ancora da Pietro Brandolese (1795), la tela andò successivamente perduta, così come il S. Giorgio a cavallo e santi della chiesa patavina di S. Giorgio. Ad attrarre il pittore a Padova, oltre ai precedenti legami paterni con la famiglia Cittadella, dovette essere la presenza in città, fino al 1654, di Luca Ferrari, anch’egli reggiano e appartenente alla folta schiera di artisti emiliani che emigrarono periodicamente nel Veneto, soprattutto dopo la peste del 1630. Il contatto con Ferrari consentì a Triva di rimanere aggiornato sugli sviluppi della pittura emiliana e, quindi, di coniugare i princìpi della tradizione lagunare cinquecentesca con gli innesti della cultura classicista e con i modelli guercineschi e reniani, attualizzati da altri ‘forestieri’ attivi a Venezia (Nicolas Régnier e Michele Desubleo, ad esempio). Contrassegnata da questa inflessione linguistica, frutto di un sapiente amalgama artistico, è una serie di opere venete eseguite da Triva fra il quinto e l’inizio del settimo decennio del Seicento, e ascrivibili sia all’ambito della pittura sacra, sia a quella profana, di quadri ‘da stanza’ con soggetti allegorici (Mancini, 2011). In questi ultimi, in particolare, è possibile intravvedere le consonanze con la produzione di Pietro Liberi, che giustificano i frequenti scambi attributivi cui sono stati sottoposti i cataloghi dei due artisti (Ruggeri, 1996a; 1996b).
Intorno alla metà degli anni Cinquanta del Seicento Triva si dedicò anche al genere della ritrattistica; nel 1655 licenziò il Ritratto di fra’ Girolamo Pallantieri (Castel Bolognese, Municipio) e nel 1657 firmò quello del conte Fulvio Franco (Vicenza, coll. privata).
Nel biennio 1656-58 fu chiamato a partecipare alla decorazione pittorica della chiesa di S. Maria del Soccorso a Rovigo (detta ‘la Rotonda’), per cui consegnò due teleri raffiguranti Il provveditore alla Sanità Andrea Molin davanti alla Vergine col Bambino e s. Rocco e Il provveditore Lorenzo Minotto, la Madonna e s. Sebastiano.
Per i primi ragguagli sull’operato veneziano di Triva bisogna attendere Marco Boschini, che ne La carta del navegar pitoresco (1660, pp. 536-538) tesse un lungo e generoso elogio dell’artista, sinonimo del successo e della fama ormai da lui acquisita negli ambienti della committenza e del collezionismo lagunare. Antonio Domenico, inoltre, rientrò nel novero degli autori ammessi a «far moderna galaria» (Boschini, 1660, p. 484) nel «vento» VIII de La carta. I loro dipinti sarebbero stati selezionati per essere esposti nelle sale immaginate da Boschini quali galleria ideale e rappresentativa delle meraviglie della città di Venezia. A questo scopo Triva fu invitato a presentare la prova grafica dell’Armonia col Disegno, di cui resta memoria nell’incisione proposta nelle pagine del testo boschiniano (Boschini, 1660, pp. 594 s.).
Lo storiografo encomia, in particolare, due quadri veneziani: l’Annunciazione dell’oratorio dell’Annunciata in campo S. Angelo, tuttora in situ, e il S. Antonio per il Soragastaldo (magistratura giudiziaria con sede in palazzo ducale), andato perduto.
Sfogliando Le minere della pittura di Boschini (1664; 1674), inoltre, si ha notizia di una serie di opere ‘pubbliche’ veneziane attribuite a Triva, fra le quali risultano reperibili solo le otto tele con gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa, che ornano le cappelle della basilica della Salute a Venezia.
Nella prima edizione del testo (1664, pp. 378 s.) Boschini puntualizza che Triva abitava all’epoca presso il ponte del Gaffaro (Fondamenta dei Tolentini) in una dimora affrescata, sia all’esterno, che all’interno, da Girolamo da Treviso.
Negli stessi decenni in cui furono pubblicate le opere boschiniane svariati quadri di Triva furono accolti in alcune collezioni artistiche veneziane (Il collezionismo d’arte a Venezia, 2007).
Al 1665 risalgono due pagamenti emessi a favore del pittore dalla Camera dei Conti della casa reale di Torino, probabilmente per le pale d’altare destinate alla chiesa di S. Cristina delle carmelitane scalze: l’Immacolata Concezione andò perduta nel 1802, durante le spoliazioni dell’edificio, mentre il Riposo durante la fuga in Egitto fu trasferito dapprima nell’abbazia della Novalesa e poi, nel 1898, nella Chapelle du Sacré Coeur a Lanslebourg-Mont-Cenis (Francia), dove tuttora si conserva.
Nel 1669 Triva abbandonò Venezia per trasferirsi a Monaco di Baviera, dove, dal 1° ottobre di quell’anno, fu assunto al servizio dei Wittelsbach come pittore di corte. Fu, quindi, coinvolto sin da subito negli interventi di riallestimento e decorazione degli ambienti delle residenze principesche, che rientravano in un più ampio progetto di evoluzione culturale, esteso all’intera città e conforme alle predilezioni di Enrichetta Adelaide di Savoia, consorte del principe Ferdinando Maria, orientate verso l’offerta artistica italiana.
Il cantiere più impegnativo fu quello dell’appartamento di Enrichetta Adelaide nella Residenz monacense, nel quale Triva lavorò dal 1669 al 1674. A restituire virtualmente la complessità iconografica dell’originale apparato decorativo, notevolmente ridimensionato in seguito ai rimaneggiamenti e alle distruzioni succedutisi nel corso dei secoli, sono i Trionfi (1667) di Ranuccio Pallavicino, puntuale illustrazione periegetica del palazzo.
Per la Galleria il pittore realizzò un ciclo di diciotto tele parietali e di undici dipinti da soffitto, celebrativo delle virtù morali e politiche di Massimiliano I Wittelsbach attraverso alcune significative imprese storiche del principe. Del complesso si conservano tuttora sedici quadri, sparsi fra i depositi dell’Alte Pinakothek di Monaco, la Bayerische Landesbank, il Bayerisches Nationalmuseum e lo Schloß Schleißheim. Recentemente è stato rintracciato in una collezione privata lo Scrigno di Massimiliano I per gli strumenti di penitenza, originariamente collocato nel soffitto (Polati, 2018).
Fra il giugno 1670 e il marzo 1672 Triva licenziò i dipinti per il Gabinetto della Carità, alludenti alle virtù dell’uomo e alla pietà filiale; recano memoria della decorazione, cui collaborò forse la sorella Flaminia, trentasette quadretti allegorici che si trovano nel Bayerisches Nationalmuseum.
Nel soffitto a cassettoni della camera dell’Alcova furono incastonate le cinque tele simboleggianti l’amore coniugale fra Enrichetta Adelaide e Ferdinando Maria e, quindi, la solida unione fra le due casate; in seguito alle ricostruzioni del dopoguerra, esse furono sistemate nell’attuale Grünes Zimmer.
Nell’aprile del 1673 prese avvio il contributo di Triva alla traduzione pittorica del programma iconografico ideato da Emanuele Tesauro per gli ambienti dello Schloß Nymphenburg, eretto fra il 1664 e il 1675 per volontà della principessa consorte. Fra le espunzioni dal catalogo del pittore e le perdite subite dall’apparato decorativo, si preservano attualmente i quadri con la ninfa Aretusa, visibile in situ (ala sud), e il Tempio di Venere, ricoverato presso i depositi dell’Alte Pinakothek di Monaco. Su basi stilistiche, inoltre, vengono assegnate al pittore reggiano le otto tele angolari con Ninfe e putti con decorazioni floreali, che impreziosiscono i soffitti della prima e della seconda stanza a meridione dell’edificio.
Nel novembre 1673 Triva sposò Maria Margareta Vischer (Fischer), dalla quale ebbe due figli, Ferdinando Maria e Ferdinando Gaetano.
Una controversia con l’amministrazione di corte per il versamento delle polizze relative agli ultimi compensi determinò la modifica del contratto di assunzione e nuove modalità di retribuzione per l’artista, che continuò a essere impiegato ufficialmente presso i Wittelsbach almeno fino al 1687, benché solo occasionalmente. Illuminarono questa situazione di stallo alcune prestigiose commesse religiose: nel dicembre 1676 la tela con la Beata Margherita di Savoia fu allogata su un altare laterale della Theatinerkirche di Monaco, mentre fra il 1679 e il 1681 l’artista eseguì la pala per l’altar maggiore della chiesa parrocchiale di Landsberg am Lech, raffigurante la Glorificazione della Vergine, sovrastata da S. Vito. Al 1681 è da datarsi la pala con S. Orsola per la chiesa delle Orsoline di Landshut; nella Frauenkirche di Monaco, inoltre, fino al 1838 rimase visibile il dipinto con i Sette rifugi santi, dell’inizio degli anni Novanta del Seicento, poi disperso.
Dal 1688 la situazione professionale di Triva declinò; in seguito perse la moglie e fu costretto a vendere la sua casa.
Morì il 18 agosto 1699, infermo e in povertà, nel villaggio di Sendling, alle porte di Monaco, dove si era trasferito nel 1696, dopo che, tre anni prima, era stata respinta la sua richiesta di rimpatrio in Italia (Longo, 2008, p. 49).
M. Boschini, La carta del navegar pitoresco, Venezia 1660, pp. 484, 536-538, 594 s.; Id., Le minere della pittura, Venezia 1664, pp. 72, 117, 121, 301, 360, 378 s.; Id., Le ricche minere della pittura, Venezia 1674, pp. 55, 94 (sestier di San Marco), 43 (sestier di San Polo), 51 (sestier di Dorsoduro); P.A. Orlandi, Abecedario pittorico: contenente le notizie de’ professori di pittura, scoltura ed architettura, Venezia 1753, p. 73; L. Westenrieder, Beschreibung der Haupt- und Residenzstadt München, Monaco di Baviera 1782, pp. 383 s.; P. Brandolese, Pitture, sculture, architetture ed alte cose notabili di Padova, Padova 1795, p. 61; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano 1795-1796, pp. 277 s.; A. Corna, Storia ed arte in S. Maria di Campagna, Bergamo 1908, pp. 193, 195 s.; E. Andreaus Bortot, Per Antonio Triva, in Arte veneta, XX (1966), pp. 262-265; A. Riccoboni, Zanchi e Triva nel castello di Nymphenburg, ibid., XIII (1969), pp. 232-235; E. Favaro, L’arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, pp. 184 s., 191; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, I, Milano 1981, pp. 234 s.; L. Longo, Antonio Triva pittore (1626-1699): vita e opere, Trento 1990; U. Ruggeri, Nouvelles peintures d’Antonio Triva (1626-1699) en France et en Italie, in Revue du Louvre, XLVI (1996a), 2, pp. 43-48; Id., Pietro e Marco Liberi: pittori nella Venezia del Seicento, Rimini 1996b, p. 64; I. Cecchini, Quadri e commercio a Venezia durante il Seicento. Uno studio sul mercato dell’arte, Venezia 2000, p. 183; A. Craievich, in La pittura in Veneto. Il Seicento, a cura di M. Lucco, II, Milano 2001, p. 882; Il collezionismo d’arte a Venezia, a cura di L. Borean - S. Mason, Venezia 2007, pp. 246, 268, 300; L. Longo, A.D. T. Un artista tra Italia e Baviera, Bologna 2008; Ead., “Tentazioni d’amore?”: due pitture inedite di A.D. T., in Studi trentini di scienze storiche, LXXXIX (2010), pp. 187-192; V. Mancini, Antonio Triva: un pittore reggiano tra Padova e Venezia, in Padova e il suo territorio, XXVI (2011), 154, pp. 15-19; Pinacoteca Tosio Martinengo. Catalogo delle opere. Seicento e Settecento, a cura di M. Bona Castellotti - E. Lucchesi Ragni, Brescia 2011, pp. 265-267; H. Weißhaar-Kiem, Drei Zeugen wittelsbachischer Stadtherrschaft in der Stadtpfarrkirche Mariae Himmelfahrt in Landsberg, in Landsberger Geschichtsblätter, 110 (2011-2012), pp. 47-64; A. Polati, Un dipinto sconosciuto di Antonio Triva per la Residenza di Monaco, in Paragone, s. 3, XLXIX (2018), 142, pp. 56-63.