DIEDO, Antonio
Figlio di Giovanni di Giacomo e di Fantina di Nicolò Morosini, nacque a Venezia tra il 1390 e il 1393 da antica famiglia patrizia.
Il padre nel 1408 era stato podestà a Drivasto (nell'attuale Albania), nel 1414 capitano delle galere di Beirut e nel 1419 capitano delle galere di Fiandra. L'avo paterno, provato in Maggior Consiglio nel 1349, era stato consigliere a Candia al tempo della ribellione di Creta. Dell'avo materno, del ramo dei Morosini soprannominati "dalla tressa" (araldicamente "fascia"), non si conoscono invece cariche pubbliche sufficientemente documentate e tali da distinguerlo dai numerosi omonimi. Quando aveva sposato il padre del D., Fantina Morosini era alla sua seconda esperienza matrimoniale. Era infatti vedova di Nicolò di Marco Loredan dal quale sembra non avesse avuto figli, almeno maschi. Il D. ebbe sicuramente un fratello, Domenico, di lui più giovane di circa un decennio; provato in Maggior Consiglio nel 1419, Domenico, dopo un'intensa attività politica e militare, nel 1464 fu procuratore di S. Marco de supra; morì nel 1466. Le genealogie del Barbaro, almeno per quanto riguarda la copia conservata presso l'Archivio di Stato di Venezia, ricordano un omonimo del D., di quest'ultimo più anziano di un paio di generazioni: si tratta di Antonio di Vettore Diedo, che fu provato in Maggior Consiglio nel 1376 e consigliere a Candia nel 1405 assieme con Andrea Morosini. Estremamente improbabile appare, per ovvie ragioni d'ordine cronologico, la notizia fornita dallo stesso Barbaro secondo cui Antonio di Vettore Diedo sarebbe stato capitanio di Padova nel 1445: a reggere quella carica, in quell'anno, dovette essere proprio il D., come attestano altre fonti, anche documentarie.
Nel dicembre del 1411 il D. entrò in Maggior Consiglio senza aver dovuto attendere il compimento del venticinquesimo anno avendo estratto la balla d'oro. Nel 1415 sposò Donata di Giovanni Bicarano, dalla quale ebbe sicuramente almeno tre figli maschi: Andrea, provato in Maggior Consiglio nel 1436; Alvise, provato nel 1438 e savio agli Ordini nel 1442; Francesco, nel 1454 avvocato del procurator. Verosimile appare anche l'attribuzione al D. di due figlie, Chiara e Giovanna, la prima andata sposa nel 1442 ad Andrea di Giacomo Barbarigo, la seconda nel 1452 ad Antonio di Gabriele Barbarigo.
Il primo incarico pubblico del D. documentato risale al 1423, quando, il 31 marzo, fu eletto savio agli Ordini per tutto il semestre successivo. Tornò a ricoprire tale carica nel 1426, ma non poté allora completare il mandato perché venne eletto dal Consiglio dei pregadi, l'8 luglio successivo, capitano di una flottiglia di quattro cocche in partenza per la Siria. Compito della spedizione era quello di imbarcare, una volta giunta a destinazione, quanto le galere della "muda", per mancanza di spazio a bordo, erano state costrette a lasciare a terra: soprattutto cotoni e, seppure in quantità minore e con talune limitazioni, spezie e altre merci. Ricevuta la commissione il 2 agosto, il D. salpò da Venezia il 7, conformemente alle istruzioni avute; fece ritorno in patria poco prima dell'inverno. Il D. dimostrò così sin dalle prime prove i suoi interessi marittimi, sia genericamente commerciali sia più specificatamente militari. L'anno successivo, il 29 agosto, venne eletto capitanio delle galere di Modone e di Candia; nel 1430 fu sopracomito del Golfo, militando anche agli ordini di Silvestro Morosini, capitano generale da Mar, in delicate operazioni di polizia marittima. Eletto, il 7 apr. 1431, provveditore dell'armata in Po, rifiutò - forse in previsione di qualche altro incarico più gratificante - il mandato: gli venne perciò inflitta la gravosa ammenda di 200 ducati. Il 28 maggio venne eletto sopracomito di galera nella flotta che si stava armando contro Genova. Agli ordini del capitanio generale da Mar Pietro Loredan, il D. si distinse nella vittoriosa battaglia di Rapallo e in numerosi altri fatti d'arme. Ancora sopracomito di galera l'anno successivo ed attivo soprattutto in operazioni di polizia marittima in Adriatico, il 12 genn. 1434 (1433 more veneto) fu eletto provveditore a Corfù. Assunta la carica e recatosi nell'isola, vi rimase sino ai primi mesi del 1436. Nel febbraio del 1437 (1436 more veneto) fu chiamato al comando di due cocche, armate in appoggio alla flotta mercantile che necessitava di adeguata protezione. Infatti la pirateria, soprattutto catalana, che infestava l'Adriatico inferiore e particolarmente il canale di Sicilia e giungeva perfino a compiere ardite puntate sino alle bocche di Cattaro, creava allora seri ostacoli ai lucrosi traffici marittimi veneziani. Dopo essere stato capitanio delle galere di Fiandra nel 1438, il D. venne eletto, il 18 luglio 1439, savio di Terraferma, ma rifiutò il mandato, dovendo allontanarsi da Venezia. Accettò invece, pochi mesi dopo, la nomina a vicecapitanio e provveditore di Verona, accanto a Vettore Bragadin.
Momenti difficili e delicate responsabilità lo attendevano nella città scaligera. Era in atto fra Venezia e Milano il conflitto che si era aperto in seguito alla rivolta antiviscontea scoppiata a Genova il 13 dic. 1425, ed il D. dovette fronteggiare, insieme con Vettore Bragadin, la controffensiva scatenata da Niccolò Piccinino, uno dei condottieri al servizio del duca di Milano, subito dopo la sconfitta patita presso Riva del Garda (9 nov. 1439). Investita Verona dalle truppe del Piccinino e del marchese di Mantova, il D. ed il Bragadin furono costretti ad abbandonare la città al nemico e a ripiegare con i loro soldati sulle fortezze dell'interno, in attesa dei rinforzi promessi. Chiusosi in San Felice, il D. oppose agli avversari un'accanita resistenza, sino a quando non si presentarono sul teatro delle operazioni lo Sforza ed il Gattamelata alla testa del grosso dell'esercito veneziano. Unitosi a loro, il D. partecipò attivamente alle operazioni militari che recuperarono al dominio della Serenissima la stessa Verona (20 nov. 1439) ed il suo territorio.
Pur essendo stato eletto, nei primissimi mesi del 1440, in zonta al Consiglio dei pregadi, il D. continuò a rimanere a Verona, dove conservò l'ufficio di vicecapitanio e di provveditore per un periodo insolitamente lungo (sedici mesi, nonostante il mandato fosse originariamente limitato a un semestre), sino alla primavera dell'anno successivo: solo il 22 marzo 1441, infatti, i Pregadi gli dettero un successore nella persona di Francesco Barbaro. Il felice esito della missione veronese valse al D. l'elezione al Consiglio dei dieci (24 giugno 1441), che rappresentò un notevole salto di qualità nel suo cursus honorum. Non poté tuttavia partecipare per molto tempo al lavori del Consiglio. Eletto tra i tre capi di quella magistratura e membro del suo collegio istruttore per il mese di agosto del 1441, il 20 di quello stesso mese venne nominato governatore alle Entrate.
Anche in questa magistratura il D. si distinse per capacità e vigore, soprattutto quando, tra l'ottobre e il novembre del 1442, vendette al pubblico incanto in Rovereto e in Verona i beni - notevoli per entità - dei ribelli, beni che il governo veneziano aveva confiscato per rifarsi delle perdite subite in seguito ai rovesci militari di qualche anno addietro.Il 10 marzo 1443, appena scaduto dall'incarico di governatore alle Entrate, venne eletto capitano del Golfo con il compito di conquistare Antivari e di devastare per rappresaglia i centri costieri dell'Albania, ricettacolo di corsari. Nel giugno riuscì ad impadronirsi di Antivari e del castello di Dulcigno con l'appoggio del capitanio di Scutari, Francesco Querini. Scortò quindi, conformemente agli ordini ricevuti, sino a Zara le galere che, cariche di preziose mercanzie, stavano ritornando da Alessandria. Si mise poi alla caccia dei pirati catalani che infestavano il basso Adriatico e che nei momenti di bisogno riparavano negli accoglienti porti della Puglia. Infine, in novembre, portò un attacco contro Barletta. Rimasto vittima di un naufragio mentre si trovava al largo di Bestizza, cercò rifugio nel porto di Brindisi, città di dominio del sovrano aragonese di Napoli. L'arrivo della squadra veneziana fu male interpretato dalle autorità locali: il D. venne fatto prigioniero insieme al suoi sopracomiti, e con loro tradotto a Napoli sotto buona scorta. Solo l'intervento dell'ambasciatore della Serenissima presso il re Alfonso, Zaccaria Bembo, valse a chiarire l'equivoco e far rimettere in libertà il D. ed i suoi ufficiali.
Savio di Terraferma dal gennaio del 1444 (1443 more veneto) sino a tutto il marzo successivo, a partire dall'aprile fu in Minor Consiglio; successivamente, venne chiamato a far parte di diverse zonte al Consiglio dei dieci. Rifiutò pertanto, il 13 novembre, la nomina a capitano di una squadra di due cocche destinata a scortare convogli mercantili. Creato, il 21 febbr. 1445 (1444 more veneto), capitanio di Padova, accettò l'incarico. Ancora in Consiglio dei dieci a partire dal luglio del 1446, ne fu capo per il mese di settembre e membro del collegio istruttore, entrando, a far tempo dal 1º ottobre dello stesso anno, nuovamente in Minor Consiglio e rimanendovi per lo meno fino al marzo dell'anno successivo. Scaduto dall'incarico, venne creato duca di Candia e inviato in quell'isola a sostituire Francesco Zane, capitanio e duca ad interim dopo la rimozione di Andrea Donà. Trattenutosi nell'isola almeno sino al novembre del 1450, il D. fece ritorno in patria all'inizio dell'inverno. Ancora in Minor Consiglio tra l'aprile e il settembre del 1451, per tutto il primo trimestre del 1452 fu savio del Consiglio, incarico che lo poneva così ai massimi vertici della struttura politica veneziana e coronava le sue ambizioni di protagonista di primissimo piano.
Alquanto turbinosa e articolata la successiva presenza del D. nei Consigli e nelle magistrature veneziane, non priva di una certa frenesia nell'alternanza e nella successione degli incarichi e dei mandati, difficilmente spiegabile ove non si voglia far ricorso alla singolare eccezionalità del momento storico-politico che vedeva la città lagunare impegnata allo stremo delle sue risorse nel massimo sforzo espansionistico che la storia le assegnò, e considerare con la dovuta attenzione la particolarità di un disegno costituzionale continuamente infieri, ma proprio in questi frangenti messo alla prova dalla ricerca di soluzioni che meglio sapessero adeguarsi alle esigenze contingenti senza necessariamente sconvolgere l'intima struttura di un dettato teorico, che pure abbisognava di ritocchi anche di un certo rilievo. Nella fattispecie è di estremo interesse seguire la sequenza degli incarichi assolti dal D. tra l'aprile del 1452 e il giugno del 1453.
Eletto tra i Pregadi il 23 apr. 1452, gia ai primi di giugno dovette allontanarsi da Venezia in quanto inviato oratore al duca di Modena Borso d'Este (è, questo, l'unico incarico diplomatico, che le fonti consentano di attribuirgli); nominato il 19 dello stesso mese provveditore a Brescia, insieme a Giacomo Loredan e ricevuta il 22 la relativa commissione, entrò il 28 nella città lombarda. Eletto il 30 giugno savio del Consiglio per sei mesi, fino al 31 dic. 1452, non ebbe modo di assumere la carica in quanto l'11 luglio, ancora una volta insieme con Giacomo Loredan, fu spedito in Lombardia quale provveditore all'esercito. Solo il 15 dicembre gli fu consentito di far ritorno a Venezia, probabilmente per seguire il matrimonio della figlia Giovanna. Eletto il 1º gennaio 1453 (1452 more veneto) ancora una volta savio del Consiglio per tutto il semestre successivo, il 7 dello stesso mese fu pure eletto in Consiglio dei dieci. Ampiamente documentata la presenza del D. nell'uno e nell'altro organo - nell'ambito del Consiglio dei dieci rivestì più volte l'incarico di capo e di inquisitore - secondo una prassi certamente insolita e inusitata, anche se a quel tempo niente affatto incostituzionale dal momento che solo una legge del Maggior Consiglio del 23 aprile successivo sancì l'assoluta incompatibilità fra le due altissime cariche, entrambe di "primo loco" secondo la terminologia veneziana.
Il 15 giugno 1453 - quando era prossima la scadenza del suo semestre di saviato, ma ben lungi dal ritenersi concluso il suo mandato nel Consiglio dei dieci - il D. fu eletto avogadore di Comun e riuscì - è il caso di dirlo - a conservare la carica sino al luglio del 1455. Non ebbe così seguito alcuno la sua elezione (20 apr. 1455) a luogotenente della Patria del Friuli, anche perché il 27 dello stesso mese, probabilmente a motivo di un esplicito rifiuto del D., alla medesima carica venne chiamato Gerolamo Barbarigo, che accettò la nomina. Accettò invece il D. l'elezione (20 luglio) alla podestaria di Padova e, fatta il 28 dello stesso mese la prova d'età in Avogaria, partì per prendere possesso del suo nuovo ufficio. Poté allontanarsi da Padova solo nel dicembre dell'anno seguente quando, a motivo di certi affari che richiedevano la sua presenza, ricevette licenza di tornare a Venezia per alcuni giorni. Eletto il 31 marzo 1457 savio del Consiglio per tutto il semestre successivo, fu tra il 27 e il 30 ottobre dello stesso anno tra i quarantuno che elessero doge Pasquale Malipiero. In sostituzione dello stesso Malipiero fu, il 6 novembre, nominato procuratore di S. Marco de ultra. Ancora savio del Consiglio dal 1º luglio 1458 per tutto il secondo semestre dell'anno, rinunziò all'incarico prima di aver concluso il mandato: il 19 ottobre venne infatti nominata la persona che doveva sostituirlo in quella magistratura.
È l'ultima notizia relativa alla vita pubblica del D. che sia a noi nota. Circa i motivi delle sue dimissioni le fonti tacciono, ma non è arbitrario ritenere che esse possano essere state causate da una malattia o comunque da non buone condizioni di salute, che poterono allora creare ostacoli alla sua attività politica. Una simile ipotesi sembra avvalorata dal fatto che il D. sopravvisse di poco alle sue dimissioni.
Morì infatti a Venezia, tra il 22 e il 23 marzo 1459. Venne sepolto in S. Domenico di Castello, chiesa oggi non più esistente; sulla sua tomba fu posto un epitaffio riportato dal Cicogna.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. codici I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, III, cc. 209, 211, 215, 221, 233; V, c. 305; Ibid., Miscell. codici, I, Storia veneta 59: Cronaca Veniera, cc. 170v, 173; Ibid., Miscell. codici III, Codici Soranzo 32: G. A. Cappellari Vivaro, Il Campid. veneto, II, p. 4; Ibid., G. Giomo, Indice dei matrim. patrizi per nome di donna, I, pp. 125, 379, 382; Ibid., Avog. di Comun, reg. 106, c. 46; reg. 107, c. 103; reg. 178, cc. 18v, 94v-100v, 101v-115, 116-119v; Ibid., Avogaria di Comun, Raspe, reg. 10, cc. 112-113v, 122, 128, 135, 143v, 153, 154v-155;Ibid., Collegio, Notatorio, reg. 8, cc. IV, 2v, 5v, 6v-8, 9v, 10v-12, 14v-15, 47v-50, 51, 53, 135rv, 137v-138, 141v-142, 143-147; Ibid., Consiglio dei dieci, Misti, reg. 12, cc. 85, 86-87, 151v, 155v-156v, 161v; reg. 13, cc. 35v-38, 40v-44v, 47v, 52rv, 53v, 56, 58v, 59v; reg. 14, cc. 141, 143-145v, 149, 151v, 153v-157v, 159, 161v, 165v-166, 167, 169, 177v, 180, 190; Ibid., Duca di Candia, b. 2, fasc. 21; b. 9: fasc. 2; b. 32, fasc. 44; Ibid., Governatori alle Entrate, reg. 170, passim; Ibid., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 22, Liber Ursa, cc. 149v-150, 151-152v, 159v-160, 170-178v, 189v; reg. 23, Liber Regina, c. 17v; Ibid., Segretario alle Voci, Misti, reg. 4, cc. 56, 65v, 66v, 87v, 50v, 91, 103-103v, III, 113v, 126v, 142v, 145v, 153, 163v, 164v, 166, 169v; reg. 5, c. 41;Ibid., Senato, Deliberazioni Mar, reg. 1, cc. 197v, 212v-213, 224, 226, 230v-231; reg. 2, cc. 5v, 7, 8, 10v- 11, 13v, 21, 22v, 23v, 28-29, 33, 34v, 80, 101, 177, 179rv, 182v, 184; reg. 3, cc. 2, 7v; reg. 4, cc. 47, 53v, 54v, 59, 60, 65v, 76, 80v, 81v-82, 83, 84, 87r-v, 89v, 106v, 170, 171, 178v, 185v; reg. 5, cc. 30v; reg. 6, cc. 26, 27v-28v, 80, 82v, 84, 93; Ibid., Senato, Deliberazioni miste, reg. 54, cc. 97, 100, 102, 106, 109v-115v, 117v, 121v, 123, 130, 134; reg.56, cc. 5v, 8rv, 11v, 16v, 26, 32, 41, 119v, 124v; reg.59, cc. 23rv, 80, 161, 180v-181, 190; reg. 60, cc. 2v, 13rv, 26, 27, 34, 163, 173v; Ibid., Senato, Deliberazioni secrete, reg. 8, c. 110v; reg. 9, cc. 125, 126v, 131v; reg. 11, cc. 86, 105v, 177v; reg.12, c. 77; reg. 14, c. 29v; reg. 15, cc. 73rv; reg. 16, cc. 10, 15, 25, 36, 53-54, 57v, 58v-509, 60, 61-62, 63-65, 66, 67, 68, 69rv, 72, 74, 75-76, 79v, 80v, 82, 83v, 106v, 121; reg.19, cc. 113v-114v, 116, 117, 118-119v, 120v-121v, 122v, 124, 125rv, 126, 128-129v, 145, 148, 149, 151v, 163, 164, 165, 180, 182, 186, 187-188, 189v-190, 191-192v, 195v-196v, 197v, 198v-200v; reg. 20, cc. 126v, 128, 134; Ibid., Senato, Deliberazioni Terra, reg. 1, cc. 18, 113v, 117, 118, 122, 123, 124, 125rv, 129v, 132, 133, 135v-136v, 137v-139; reg. 2, cc. 6rv, 8, 9r-v, 10v, 14, 15v, 17v, 20v-21v, 26, 182-183, 185v-186, 193v-194, 195, 196v, 197v, 199, 203, 204-204v, 205v-206v; reg. 3, cc. 1rv, 15rv, 16v-17, 18, 19, 20, 21, 22rv, 31v, 51-52, 54rv, 57rv, 61-62, 65, 66, 67v, 69v; reg. 4, cc. 22v, 35, 45, 81v, 88;Venezia, Bibl. naz.Marciana Mss. It., cl. VII, 197 (= 8383): Reggimenti della Repubblica veneta secc. XV-XVIII, cc. 1v, 5v; Ibid., Ibid., 24 (= 8379): Copia tratta dal primo libro delle prove di S. Barbara esistente nell'offido dell'Avogaria de Comun, c. 12; A. Sabellico, Historiae rerum Venetorum ab Urbe condita libri XXXIII, Basileae 1556, pp. 795 s.; Cristoforo da Soldo, Memorie delle guerre contro la Signoria di Venezia dall'anno MCCCCXXXVIIfino al MCCCCLXVIII, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXI, Mediolani 1732, pp.816-873;M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum, ibid., XXII, ibid. 1733, coll. 1015, 1084, 1112 s.; A. Navagero, Storia della Repubblica veneziana, ibid., col. 1108; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1883, pp. 54, 81, 108; Documenti per la storia della cultura in Venezia, a cura di E. Bertanza, Venezia 1907, p. 325; Cronaca di ananimo veronese, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, pp. 41 n. 2, 96; Acta Albaniae Veneta, a cura di G. Valentini, II, 11, Monaci inBaviera 1971, pp. 217, 241, 245, 250, 265, 284, 293, 377, 390; II, 12, ibid. 1971, pp. 211, 317, 331; II, 14, ibid. 1972, pp. 33, 71, 179, 238, 253; II, 15, ibid. 1972, p. 213; III, 18, ibid. 1974, pp. 40, 53 s., 58, 91, 93 s., 96, 100 ss., 106, 110, 114, 127, 135 s., 138, 194, 238, 302, 313 ss.; III, 19, ibid. 1973, pp. 75 s., 130, 221, 224, 226, 254, 305, 309, 326; III, 20, ibid. 1974, pp. 174, 305; III, 21, ibid. 1975, pp. 70, 85, 90, 152, 160, 282, 294; III, 22, ibid. 1975, pp. 27, 29, 32, 53, 77, 205, 223, 226 s., 229, 270, 307; III, 23 ibid. 1976, pp. 1, 24, 48 s., 247; Relazioni dei rettori veneti, IV, Podestaria e capitanato di Padova, Milano 1975, pp. XLIX, LIII;F. Manfredi, Degnità procuratoria di S. Marco di Venetia, Venetia 1602, p. 62; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1724, pp. 118 s., 418; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 238, 271.