ANTONIO di Vincenzo
Nacque, sembra, a Bologna verso il 1350; nulla si sa di preciso della sua attività prima della grande impresa petroniana, ma le alte cariche ottenute nel 1384, quando viene eletto gonfaloniere del popolo, e nel 1387, quando è nominato gonfaloniere di giustizia, attestano la sua già affermata notorietà. All'incirca trentenne, nel 1382, era stato infatti chiamato ai servigi del Comune per opere militari. Nel 1383 lavora alla rocca di Cento, poi a Bologna a Porta Saragozza. Nel 1384 dirige la costruzione del tratto di mura che va da Porta San Mamolo a Porta Pratello; nello stesso anno, come gonfaloniere del popolo, è preposto con Lorenzo da Bagnomarino ai lavori della loggia della Mercanzia, poi proseguita dal solo Lorenzo. Nel palazzo dei Notai, iniziato nella parte più antica verso San Petronio nel 1381 sotto la direzione di Berto Cavalletto e Lorenzo da Bagnomarino, disegna le finestre prospicienti la piazza maggiore. Nel 1385 provvede alle fortificazioni dei castelli del contado verso Imola; nel 1386 innalza nei pressi di Faenza la "bastia di S. Procolo", costruisce nel Palazzo di Re Enzo alcuni locali per la "Camera degli Atti", cioè per l'Archivio pubblico; nel 1387 prosegue i lavori alla rocca di Cento e l'anno dopo rifà i muri caduti intorno alla rocca di S. Giovanni in Persiceto.
Ma la sua fama doveva essere davvero molto alta se il governo bolognese, per celebrare la libertà dai Visconti, decide di affidare a lui la nuova grande chiesa, dedicata a san Petronio, che doveva gareggiare con S. Maria del Fiore a Firenze e con il Duomo a Milano.
Il 31 genn. 1390 il Consiglio generale dei Seicento, delibera di erigere "pulcerrimam et honorabilem ecclesiam". Il 26 febbraio lo incarica di fare il modello secondo le deliberazioni di Andrea Manfredi generale dell'Ordine e forse architetto della chiesa di S. Maria dei Servi, e il modello riesce anche migliore di quanto egli si aspettasse, come dichiara agli ufficiali del Comune.
Il 3 giugno è nominato capomastro della fabbrica di S. Petronio in quanto "subtili ministerio edotatum" e quattro giorni dopo si pone la prima pietra: lavoro veramente improbo perché in soli quattro mesi si era espropriata una vasta area e si erano rase al suolo case, torri, chiese di cui la zona era popolata.
Il 3 giugno 1391 si delibera di accrescergli il salario quale riconoscimento dell'assidua assistenza ai lavori e perché l'opera prosegua sempre più celermente. Ma la costruzione, ideata ampia e maestosa con una navata centrale preponderante, fiancheggiata dalle navate minori e dalle cappelle con piloni e nervature poligonali, archi a sesto acuto e volte (quelle della nave centrale sono del '600) prosegue per oltre dieci anni sotto la sua direzione (il 14 genn. 1393 era stato nominato assoluto direttore).
È probabile, secondo il Toesca, che, nel primo progetto, l'architettura dovesse avere, oltre al coro ed all'ambulacro di carattere bolognese, un'ampia cupola su un ottagono al termine delle navate, secondo uno schema non lontano da quello del duomo di Milano e di S. Maria del Fiore a Firenze dove A. si recò per ispirazione e riferimenti nel 1393, mentre nel 1394 era a Venezia.
Tali contatti spiegano questa misura ampia e solenne degli spazi, marcati dalla robustezza dei pilastri più italiani che di sapore oltra montano e dall'altemato cromatismo: il cotto nei piloni, negli archivolti e nelle paraste, in contrasto al bianco delle pareti ed al grigio dell'arenaria nei basamenti e nei capitelli; ma il gioco d'ombre è più accentuato qui che altrove per il ritmo delle campate della navata centrale e delle minori, a ciascuna delle quali corrispondono due cappelle, per le finestre chiuse da vastissime vetrate a bifore nelle cappelle, a occhio nelle navate, e per lo slancio verso l'alto. A tale slancio dell'interno doveva corrispondere all'esterno quello delle cuspidi ispirate a S. Francesco, S. Giacomo e S. Domenico a Bologna, mentre le movenze composte del basamento, a incavi e sporgenti comici, eseguito nel 1401-02 ad opera dei tagliapietre veneziani Paolo Bonaiuto e Giovanni Riguzzi da lui diretti, si ispirano, dice lo Zucchini "all'aspetto della città stessa, a quell'aura di compostezza e di moderazione che ha sempre circolato per le nostre vie". Il primo valico era compiuto nel 1393, il successivo dal 1397 al 1400.
Di pari passo al suo lavoro proseguono gli incarichi onorifici e di fiducia: il 3 sett. 1390 è nominato ambasciatore a Firenze in compagnia di messer Domenico ricamatore, nel 1392 è chiamato con Andrea Manfredi a far da arbitro tra i Dalle Masegne e i frati di S. Francesco per l'altare di quella chiesa, nel 1396 è destinato a fare a suo arbitrio "l'imborsazione degli anziani in compagnia di altri 11 soggetti", nel 1400 è riformatore dello stato di libertà.
Intanto un altro importante lavoro gli viene affidato: con la sagrestia della chiesa e il chiostro dei morti, il campanile di S. Francesco per il quale l'11 maggio 1397 gli è fatto un primo pagamento, ma forse l'opera fu iniziata solo nel marzo del 1401, sul disegno che "Maestro Anthonio di Vincenzo farà dipingere in la sponda de la sagrestia", e rimase quindi incompiuta alla sua morte.
Esistono tre disegni per il campanile, probabilmente copie da originali di A. di Vincenzo nei quali è evidente il trapasso da un primo progetto in forme veneto-lombarde ad uno derivato da S. Maria del Fiore, ad un terzo in modi più gotici ed affini agli oltramontani.
Ancora un'altra opera gli è ascritta, ma senza sicuri argomenti: due disegni per il Duomo di Milano in un foglio del Museo di S. Petronio a Bologna che rispecchiano forse il progetto primitivo della pianta e della parte absidale della "guglia Carelli", ascrittigli dal Beltrami (1888) e datati al 1390, ma non basta per tale ascrizione la notizia che A. si recò a Milano.
Null'altro si sa di lui se non che nel settembre 1402 Iacopo di Paolo lo sostituì nella fabbrica di S. Petronio, il che induce il Ricci all'ipotesi, del tutto arbitraria, che egli sia morto il 26 giugno di quell'anno alla battaglia di Casalecchio in cui perirono tanti Bolognesi. Si può solo presumere che morì a Bologna tra l'aprile del 1401 e il settembre del 1402.
Della sua famiglia si sa che A. ebbe dalla moglie Agnese Tabolacci un figlio, Vincenzo, dottore in medicina ed arti, che morì nel 1410 e due figlie: Giovanna, che sposò (1402) un Andrea Somenti, e Lucia.
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