ANTONIO di Padova, santo
Fu così chiamato dalla città dove morì e dove riposano le sue reliquie, nella magnifica e celebre basilica; ma egli nacque a Lisbona, il 1195, e fu battezzato col nome di Fernando. La leggenda cosparse di fiori il suo cammino fin dalla culla, fregiata - a quanto si disse - dello stemma dei Bouillon, glorioso per Goffredo. Però è vera sua grandezza l'eminente virtù di asceta, l'alta sapienza di dottore, l'impareggiabile zelo di apostolo e la mondiale fama di taumaturgo. Oggi soprattutto egli è "il santo dei miracoli" e il suo Liber miraculorum sembra il più letto, nonostante che il fervido discepolo di S. Francesco tenesse costantemente aperto il vangelo nelle sue predicazioni, come poi nell'iconografia.
Intorno al 1210 Fernando di Martino (Fernandus Martini) entrò fra i canonici regolari di S. Agostino nel monastero di S. Vincenzo presso Lisbona, e dopo due anni passò a S. Croce di Coimbra, dove attese per nove anni alla pietà ed alla scienza. Già quivi ebbe contatto con i francescani che si recavano ad evangelizzare il Marocco; e quando le spoglie dei cinque missionarî, che S. Francesco nel 1220 salutava suoi veri figli perché martiri, furono solennemente recate nella stessa chiesa di S. Croce, l'ardente canonico decise di rendersi francescano per essere apostolo e martire. Vestito infatti l'abito minoritico e, preso il nome di Antonio nell'eremo di S. Antonio ad Olivares, partì per l'Africa, donde però condizioni avverse lo respinsero, per la Sicilia, in Italia. Così poté arrivare al capitolo convocato da S. Francesco in Assisi nel 1221.
Allora fu destinato all'eremo di Montepaolo in Romagna; quivi custodiva nell'umiltà i suoi talenti, fatti poi palesi in occasione di un discorso che dovette tenere ai candidati all'ordine sacro. In seguito S. Francesco stesso gli inviò una lettera, indirizzata: "ad Antonio mio vescovo", per autorizzarlo ad insegnare ai frati la teologia. Intorno al 1228 Antonio fu eletto guardiano del convento di Pay-en Velas in Provenza, poi fu custode a Limoges, quindi nel capitolo generale del 1227 fu costituito ministro provinciale d'Emilia e Lombardia, quale rimase fino al 1230.
S. Antonio dedicò alla predicazione gli ultimi nove anni della sua vita, con tale dottrina da essere chiamato per bocca del papa Gregorio IX "arca dell'alleanza", e con sì travolgente zelo da essere considerato "nuova luce della cristianità", "martello degli eretici". Grande era l'efficacia della sua parola e ben si giustifica l'entusiasmo del popolo per lui, dopo che tanto si affaticò ad estinguere le civili discordie, perorando anche nel 1230 a Verona la liberazione dei prigionieri guelfi, detenuti dal Ezzelino da Romano.
S. Antonio morì, a 36 anni, il 13 giugno del 1231, nel convento dell'Arcella presso Padova, ma la devozione per lui sopravvisse e si accrebbe sempre più con la fama dei miracoli seguiti; cosicché appena un anno dopo, nel 1232, egli fu solennemente canonizzato nella cattedrale di Spoleto.
Nel folklore italiano, S. Antonio di Padova è conosciuto appunto come il santo del giglio. Egli è "padrone di 13 cose e può fare 13 grazie"; e per ottenerne qualcuna si crede nell'Abruzzo che basti recitare 13 volte, in silenzio, l'orazione:
Sand'Andonie de Paduve
Che dde Paduve aveniste;
Tridece grazij'a Ddl'cerchiste,
Tutt'a ttridece l'aviste.
Facète 'na grazij'a mmé,
Pe' le cinghe piaghe de Ggesù Criste.
Sono comunissime nelle chiese e in altri luoghi di devozione le collette per il pane di S. Antonio; ma il pane nelle Puglie si prepara in 13 pagnotte da dividere fra i poveri con la farina ricavata dal primo grano dell'annata; ovvero con quella ottenuta coi covoni di spighe benedetti, che si sogliono offrire al santo nel tempo della mietitura.
Iconografia. - Nel sec. XIII S. Antonio di Padova si rappresentò vestito d'un lungo saio, con un libro nella sinistra e con la destra alzata con gesto oratorio (cfr. i mosaici di G. Torriti nelle absidi di S. Maria Maggiore e di S. Giovanni in Laterano di Roma). Il suo aspetto è spesso quasi identico a quello di S. Francesco, dal quale si distingue solamente per la mancanza delle stimmate (v. la tavoletta del "Mostro di S. Francesco" e il dittico della scuola del Berlinghieri nella Pinacoteca di Perugia). Nel 1359 Giovanni da Milano lo raffigura su un pilastro della sacrestia di S. Croce a Firenze, vecchio, coi capelli grigi, il volto solcato da rughe, un libro aperto nelle due mani. Similmente è rappresentato nell'affreseo di Agnolo Gaddi (fine del sec. XIV) sul pilastro del coro della stessa chiesa, dove tiene per la prima volta una fiamma sulla destra. Vecchio, con un libro e un cuore fiammeggiante nelle mani, lo si vede nell'affresco di Benozzo Gozzoli nella chiesa di S. Maria d'Aracoeli a Roma. A partire dalla metà del '400 si diffonde sempre più l'immagine di S. Antonio, di aspetto giovanile, senza barba, con l'attributo del giglio. Negli ultimi decennî del '400 comincia a diffondersi la raffigurazione del santo cui appare sulle nubi la Vergine col Bambino, tipo iconografico che più tardi fu prediletto soprattutto dagli artisti fiamminghi e spagnuoli (Rubens, Van Dyck, Murillo). Secondo la leggenda, il Bambino appare nel sec. XVII anche da solo al Santo, di cui poi diventa, alla fine del sec. XVIII, ritto su un libro che il Santo regge in mano, l'attributo costante. Abbondantissima è l'iconografia dei diversi momenti della vita di S. Antonio, che la leggenda aveva circondato d'una ricca fioritura di racconti. Della metà del sec. XIII data un ciclo di quattro scene su una vetrata della chiesa superiore di S. Francesco in Assisi, e del XIV la grande vetrata con nove scene nella cappella di S. Andrea della stessa chiesa. Al sec. XV appartengono gli affreschi rappresentanti alcuni fatti della leggenda, della scuola di Lorenzo da Viterbo nella chiesa di S. Francesco a Montefalco, di Benvenuto di Giovanni nel duomo di Siena, di Loventino d'Arezzo nella chiesa di S. Francesco in Arezzo, di Domenico Morone in S. Bernardino a Verona. Il ciclo più celebre illustrante i miracoli riferiti dalla leggenda è costituito dai bassorilievi di Donatello che decorano l'altar maggiore di S. Antonio a Padova, cui si aggiungono, nel sec. XVI, i bassorilievi scolpiti da diversi artisti della cappella di S. Antonio, gli affreschi del cosiddetto ambulatorio e quelli di Tiziano della Scuola del Santo. Del sec. XVI sono pure gli affreschi nell'Oratorio di S. Antonio a Camposampiero e in S. Petronio di Bologna. Vastissimo è poi il numero di dipinti e di sculture che rappresentano i singoli fatti miracolosi del santo. Alla fine del '400 e al principio del '500 ebbero molta diffusione alcune stampe popolari con S. Antonio seduto su un albero in atto di leggere - soggetto trattato anche da L. Bastiani - e tutt'intorno entro tredici vani rettangolari i miracoli più importanti compiuti dal santo. (V. tavv. CXXIX e CXXX).
Opere e bibl.: Di S. Antonio interssano i Sermones Dominicales et in solemnitatibus, Sermones in laudem B. M. Virginis, Sermones in Psalmos, editi da A. M. Azzoguidi, Bologna 1747, e da A. Josa, Padova 1888. Vengono quindi le antiche leggende: Legenda Prima od Assidua e Legenda Benignitas, ed. L. De Kerval, Parigi 1904; Legenda Secunda, in Acta Sanctorum Iunii, III; Dialogus de vitis Ss. Fratrum Minorum, ed. L. Lemmens, Roma 1892; Legenda Raimondina, edita con la Prima da A. Josa, Padova 1883; Legenda Rigoldina, ed. F. Delorme, Bordeaux 1899; Liber Miraculorum, Leggenda di Sicco Polentone. Inoltre: A. Lepître, St. A. de P., Parigi 1901; L. de Kerval, L'évolution et le développement du merveilleux dans les légendes de S. A. de P., Parigi 1906; V. Facchinetti, A. da P., Milano 1925; C. De Mandach, Saint A. de P. et l'art italien, Parigi 1899; L. Bracaloni, in Arte Cristiana, IX (1921); K. Künstle, Ikonographie der Heiligen, Friburgo in B. 1926; Il Santo, Rivista Antoniana, 1928 segg.