DELLO SCHIAVO, Antonio
Nacque quasi sicuramente a Roma nella seconda metà del sec. XIV da Giovanni di Pietro.
Appartenente a una famiglia la cui nobiltà supposta dall'Isoldi, non è provata, non è altrimenti noto che come autore di un diario di avvenimenti romani e come beneficiato della basilica vaticana. Non è stato semplice risalire dall'Antonio di Pietro del Diario romano (tale è il suo nome nella raccolta muratoriana) al D. giacché l'opera ci è giunta mutila della prima carta e con essa è caduto il nome completo dell'autore. L'indicazione della famiglia si deve alle ricerche del Savignoni che colse in un particolare interno alla narrazione (nell'accenno a Tommaso dello Schiavo, servo di Guglielino, quest'ultimo congiunto di Antonio) la via da seguire, confermata poi da ulteriori riscontri (in particolare dalle opere del Cafarelli, del Ceccarelli e dello Iacovacci).
Le notizie sul D. non vanno al di là del 1424; l'anno di morte va fissato prima del 1428, giacché nel Liber anniversariorum Soc. Salvatoris ad Sancta Sanctorum, dove è registrato come donatore di una "vineam extra portani Pertusi in loco q[uod] d[icitu]r Marinocta", il suo nome è nell'elenco compreso tra le date 1419 e 1428. I Censuali della basilica vaticana, che invece ne parlano dal 1388 al 12 maggio 1424, in quella data si interrompono e dal momento in cui furono ripresi (1436) non vi si trova più menzione del diarista.
Fu sepolto in S. Pietro (Ceccarelli, p. 180), ma non è rimasta traccia né del sepolcro né della lapide.
Il nome del D. è rimasto legato alla composizione di un Diario romano nel quale sono narrati gli avvenimenti succedutisi dal 19 ott. 1404 al 25 sett. 1417 (ma, dal momento che il racconto inizia e termina ex abrupto, non si può indicare con precisione l'originale estensione del lavoro). Dagli accenni contenuti qua e là nel Diario e dalle indicazioni che si possono ricavare dai Censuali egli appare una persona di secondo piano nel panorama romano, diviso tra la cura dei propri affari (lo vediamo di volta in volta attento alla vendemmia, commensale in casa di altri ecclesiastici, coinvolto in liti) e le incombenze connesse coi ruolo di beneficiato. I Censuali consentono di seguirne la carriera nella scala gerarchica di quella piccola società (in quei registri è nominato dal 1388, quando occupa un posto non infimo, al 1424, momento in cui raggiunge il grado più alto, quello di priore, dopo aver ricoperto gli incarichi di magister hostiarum, dal 1395, e di camerarius excerptorum, dal 1404) e questo secondo il Savignoni - che al riguardo polemizza col Gregorovius - a riprova di una certa cultura del beneficiato. Ma forse il motivo dell'ascesa nella schiera dei beneficiati si deve ricercare, come ipotizzava già l'Isoldi, da una parte nell'anzianità e dall'altra in una certa esperienza professionale. E infatti, stando al Diario, il D. non spicca particolarmente per ingegno e cultura, e se non gli si può di certo rimproverare il fatto che la sua attività di storiografo e la sua scrittura non risentono degli influssi innovatori del primo umanesimo fiorentino, pure bisogna rilevarvi frequenti sgrammaticature ed errori di sintassi, oltre ad un lessico sciatto e privo di ogni tensione stilistica.
Ma è soprattutto il contenuto dell'opera che evidenzia i limiti della figura del Dello Schiavo. Prive di un'impostazione ideologica di fondo, le pagine del Diario pullulano di notizie giustapposte senza alcun criterio ordinatore. La prospettiva particolare secondo la quale il D. osserva e trascrive è quella della propria personale esperienza: il Diario riporta fedelmente quel mondo, e l'eco degli avvenimenti più altisonanti (la narrazione si apre con l'ingresso in Roma del re Ladislao di Napoli) vi si accompagna al racconto di fatti privati di nessuna importanza. E che l'interesse del D. fosse limitato al ristretto ambito personale lo dimostra, insieme al ritorno continuo di espressioni del tipo "me presente", "vidimus", "me Antonio vidente", l'assenza sistematica dei riferimenti agli avvenimenti che esulavano dalla cronaca cittadina e, in questa stessa, di quanto costituiva la cronaca più spicciola. Il Diario sipresenta perciò come un testo a cavallo tra il racconto di carattere autobiografico e il resoconto cronachistico, e in questa prospettiva sono la stessa frammentarietà e ingenuità della narrazione che conferiscono a quelle pagine il loro maggiore interesse storiografico.
Tutto lascia credere però che la narrazione avesse una destinazione strettamente privata, e comunque, così come ci è giunta, essa si presenta nello stato provvisorio di un abbozzo. L'opera del D., pervenutaci in dodici manoscritti (per i quali cfr. Isoldi, Prefazione), fuedita per la prima volta da L. A. Muratori, col titolo Diarium romanum, in Rerum Ital. Script., XXIV, Mediolani 1738. L'edizione più corretta è quella curata da F. Isoldi, col titolo Diario romano di Antonio di Pietro dello Schiavo, per la nuova edizione dei Rerum Ital. Script., XXIV, 5, pp. 973-1066.
Fonti e Bibl.: I Censuali ai quali ci si è richiamati più volte, alla Bibl. ap. Vat., nell'Arch. del Capitolo di S. Pietro (arm. 41-43, vol. I ss., passim); Liber anniversariorum Soc. Salvatoris ad Sancta Sanctorum, in Necrologi e libri affini della provincia romana, I, Necrologi d. città di Roma, in Fonti per la storia d'Italia, XLIV, a cura di P. Egidi, Roma 1908, p. 342. Sempre sulla persona del D. cfr. inoltre quanto detto da G. Marini (Archiatri pontifici, I, Roma 1784, p. 124, nota e). Sulla famiglia, accenni più specifici si trovano nello Spogliodi notizie storico-archeologiche riguardanti famiglieromane diG.P. Caffarelli (Bibl. ap. Vat., Mss. Ferr. 283, IV, ff. 66r-69v) e nel Repertorio di famiglie (Ibid., Mss. Ottob. lat. 2553, p. 473) di D. Jacovacci, mentre nel De nobilitate almae urbis Romae diA. Ceccarelli (Ibid., Mss. Vat. lat. 4911, pp. 169 ss.) vengono ripresi i libri della Compagnia del Salvatore e attraverso di essi si indicano molti esponenti della famiglia Dello Schiavo ed i luoghi ove furono sepolti. Uno studio complessivo sulla figura e sull'opera del diarista in P. Savignoni, Il diario di A. D. Studio preparatorio alla nuova edizione, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XIII (1890), pp. 295-345, e nella prefazione di F. Isoldi alla sua edizione del Diario (in Rerum Ital. Script., 2 ed., XXV, 5).Il giudizio del Gregorovius, nella sua Storia della città di Roma nel Medioevo, Roma 1900, III, pp. 625 s. e 675 (nota 19); VI, p. 671.