DEL MONTE (Ciocchi Del Monte), Antonio
Nacque a Monte San Savino (Arezzo) nel 1462, primogenito di Fabiano Ciocchi, giurista che esercitava l'attività di avvocato concistoriale a Roma, e che aveva voluto assumere il cognome Del Monte.
Il D., dopo aver compiuti gli studi giuridici, abbracciò lo stato ecclesiastico. Nel 1492 Innocenzo VIII gli diede la prepositura, nella cattedrale aretina e, poco alla volta, il D. iniziò ad accumulare numerosi benefici ecclesiastici, specialmente nelle chiese di Arezzo, Montepulciano, Monte San Savino. Il 27 marzo 1493 divenne auditore di Rota, e, nel 1498, fu preconizzato da Alessandro VI vescovo di Città di Castello e luogotenente della Rota romana. Alla fine di luglio 1502 fu creato, in concistoro, l'ufficio giudiziario della Rota per le terre del Valentino, con sede a Cesena, e alla sua presidenza fu nominato il D., "el qual el Pontefice ora lo crea protonotaro" (Dispacci di A. Giustinian, I, p. 77).
La prima missione del D. al servizio di Cesare Borgia fu quella di recarsi a Urbino, insieme con Paolo Orsini, per trattare la resa del duca Guidobaldo da Montefeltro. Giunto a Imola il 26 nov. 1502 e incontratosi con l'Orsini, partì con lui per Urbino il 29 novembre, dove ricevettero la capitolazione del duca il 9 dicembre.
Dopo essere rimasto a Urbino per tutto il mese di dicembre 1502, il D. tornò in Romagna, dove si trovava nel febbraio 1503- Pur essendo la sua una magistratura essenzialmente giudiziaria, il D. svolse al servizio del Valentino importanti incarichi anche di natura politica e militare, Marin Sanuto lo definisce infatti, a più riprese, "governador zeneral sopra li altri commessarij dil ducha in quella Romagna" (Diarii, IV, col. 834), e "comandante general del ducha Valentino" (ibid., V, col. 180) e similmente l'ambasciatore veneziano a Roma, A. Giustinian, lo definiva "governator general di Romagna" (Dispacci..., I, p. 449). Nel febbraio 1503 il D. curò il rafforzamento militare di San Marino e fu poi impegnato per vari mesi nella lotta contro le rocche ribelli di Maiolo e di San Leo, di cui ottenne la resa nel mese di giugno.
Il 4 ag. 1503 Alessandro VI lo creò vescovo di Città di Castello. In Romagna il D. rimase per tutto il 1503, sempre fedele a Cesare Borgia. Quando questi cadde, nel novembre, si trovava a Cesena, e seppe acquistarsi la piena fiducia anche di Giulio II, che, mentre trattava con i cardinali spagnoli per impadronirsi delle fortezze del Valentino, nel gennaio 1504 lonominò "governatore e capo" della città (Dispacci... Giustinian, II, p. 386).
Il 26 luglio dello stesso anno il D. fu poi nominato auditore di Camera: "costogli quest'ufficio 6.000 ducati, e ben fussero altri che volessero spendere molto più, el Pontefice ha voluto ch' el bon nome di questo vagli più che volevano spender altri", scriveva A. Giustinian (Dispacci, III, p. 189; cfr. Burchardi Liber notarum, II, p. 457). Alla fine di agosto il papa avrebbe voluto anche affidargli la guida di un tentativo dei fuorusciti di Perugia contro G. Baglioni ma il D., verso la metà di settembre lo- dissuase dal proposito, e consigliando, comunque, come eventuale capo della missione Costantino Arniti. Giulio II volle anche confermata la nomina del D. a vescovo di Città di Castello, ma l'insediamento del nuovo vescovo fu quanto mai problematico perché il precedente titolare, Giulio Vitelli, scacciatone da Alessandro VI, non aveva alcuna intenzione di cedere la diocesi, forte dell'appoggio della città. Giulio II nel giugno 1505 giunse allora a minacciare l'interdetto se non fosse stato subito accolto il D., e poco dopo inviò nella città il card. A. Ferrario, legato dell'Umbria. Solo così, nel luglio 1505, il D. poté prendere possesso della diocesi per mezzo di un suo legato.
Il 6 febbr. 1506, lasciata la sede di Città di Castello, fu nominato vescovo di Siponto; nello stesso anno fu al seguito del papa nella spedizione contro Bologna. All'inizio di settembre Giulio II, giunto a Viterbo, lo inviò a Bologna per dettare le sue condizioni: cacciata dei Bentivoglio, accoglimento di 500 lance francesi, apertura delle porte al papa. Il D., compiuta la missione e ricevuto risposte negative, dopo aver fatto "preparation di zente" a Imola e Cesena (Sanuto, VI, col. 427), raggiunse nuovamente il papa a Urbino e fu nel suo seguito quando l'11 novembre entrò vittorioso a Bologna. Il D. segui nuovamente Giulio Il nella spedizione dell'inverno 1511; nel concistoro del 10 marzo, tenuto a Ravenna, il papa lo volle creare cardinale. Il 17 marzo ebbe il titolo di S. Vitale, che mutò poi, il 14 luglio 1514, con quello di S. Prassede. L'11 maggio 1511 rinunziò al vescovato di Siponto a favore del nipote Giovanni Maria, e, il 30 maggio, fu creato vescovo di Pavia, con una rendita di 5.000 ducati; ebbe all'inizio la semplice amministrazione della diocesi fino a quando, il 24 luglio 1517, non ne ricevette l'investitura completa. Poco dopo il D. divenne anche protettore dei serviti.
Nel luglio 1511 fu incluso nella congregazione dei cardinali che avrebbe dovuto occuparsi del processo "super privationem." dei cardinali ribelli che si erano fatti promotori del concilio di Pisa; processo che culminò con la scomunica decretata dal concistoro del 24 ott. 1511.
Il D. si distinse come uno degli acerrimi avversari di questi dissidenti; scriveva infatti il cardinal B. Dovizi al cardinal G. de' Medici: "li due pazzi Monte et Ancona ne cacciano più la cosa che non fa S. Santità" (lettera del 21 ott. 1511, in B. Dovizi da Bibbiena, Epistolario, p. 313), e il Dovizi insinuava anche il dubbio che allo zelo del D. non fossero state estranee le sue mire sul palazzo del cardinal Sanseverino, uno degli inquisiti (lettera del 23 nov. 1511 al cardinal G. de' Medici, ibid., p. 359).
II D. comunque, era stato tra coloro che con più decisione avevano spinto Giulio II a convocare il, concilio lateranense (luglio 1511).
L'8 ott. 15 Il fu nominato legato di Perugia, ma, trattenuto a Roma dal papa, si recò in Umbria solo all'inizio dell'anno successivo. Il D. partecipò ai lavori del concilio lateranense (1512-1517), e fu anche inserito nella commissione "pro generali reformatione Curiae et officialium" costituita nella sesta sessione, nel giugno 1513, commissione che, divisasi poi in numerose sottocommissioni, non portò a nulla di fatto. Più tardi, il 25 maggio 1521, Leone X, gli avrebbe dato l'incarico di raccogliere e pubblicare tutti gli atti del concilio. Morto Giulio Il e riunitosi, il 4 marzo 1513, il conclave che avrebbe eletto Leone X, il D., come tutti i "cardinali giovani", si schierò decisamente per il Medici.
Conformemente alla prassi del tempo accumulava, intanto, nelle sue mani benefici ecclesiastici. Il 19 marzo 1513 il D. si vide riconosciuta dal papa una pensione di 2.000 ducati sopra varie diocesi italiarie. Il 19 apr. 1516 ebbe il vescovato di Novara, che conservò fino al 20 nov. 1525. Sempre nel 1516 fu nominato camerario del S. Collegio.
Nel giugno 1517, secondo il Sanuto, si occupò del processo ai cardinali A. Petrucci e B. Sauli accusati di tradimento (Diarii, XXIV, col. 325), ma non cosi per le fonti citate dal Pastor (Pastor, IV, 1, p. III). Cresceva comunque il suo prestigio di giurista. Morto Leone X, il D. fu tra i cardinali che tennero il governo della Chiesa durante la sede vacante. Riunitosi il conclave, il D. si schierò con il partito filofrancese. Fu fatto anche il suo nome per l'elezione e, tra la fine del dicembre 1521 e l'inizio del gennaio 1522, raccolse anche diversi voti; la sua elezione, nel dicembre, veniva data ai banchi al 15%. Il D., poi, finì per aderire per accesso all'elezione di Adriano VI. Pare che sotto questo pontificato fosse grande l'influenza del D. in Curia; L. H. de Cordoba, duca di Sessa e rappresentante imperiale a Roma, scriveva infatti che G. Enkeivort, grande confidente del papa, era completamente dominato dal D. (lettera del 31 ott. 1522 all'imperatore, in Calendar ... Spain, II, p. 501). Nel febbraio 1523 entrò nella congregazione per l'abolizione degli uffici creati da Leone X, un tentativo di riforma, questo, che fallì completamente dopo poco tempo per la generale ostilità incontrata. Nel marzo 1521 il D. aveva lasciato il vescovato di Pavia al nipote Giovanni Maria e, il 24 luglio aveva avuto il vescovato di Albano, che lasciò poi il 18 dic. 1523 per la diocesi di Palestrina.
Sempre filofrancese, nel concistoro del 23 luglio 1523 si oppose all'idea di una lega difensiva da stringersi con Carlo V, contro il pericolo costituito dalla Francia. Conseguentemente, anche nel conclave che seguì la morte di Adriano VI, apertosi nell'ottobre 1523, il D. si schierò con il partito filofrancese che si opponeva alla fazione imperiale di Giulio de' Medici.
Il 22 ottobre i filofrancesi tentarono di eleggere il Dei Monte. C'era stato un accordo con Giulio de' Medici che aveva assicurato quattro voti per l'elezione del D., ma, quando questi ottenne sedici voti più tre d'accesso, e aveva quasi raggiunto il traguardo, il Medici non mantenne la parola. Nel prosieguo del lungo conclave il D. fu chiamato a far parte della commissione scelta dai cardinali "vecchi" perché trattasse una soluzione con la fazione medicea.
Eletto Giulio de' Medici, che assunse il nome di Clemente VII, il D. lo sostituì nel protettorato dell'oratorio del Divino Amore, incarico che ricoprì fino al 1529. Nel 1524, dopo la Dieta di Norimberga, fu incaricato, insieme con L. Numai, di stendere un parere per il papa sui casi di Germania. Il 20 maggio 1524 il D., lasciando la diocesi di Palestrina, assumeva quella Portuense, che avrebbe conservato fino alla morte; in quell'occasione lasciò pure la legazione di Perugia. In seguito avrebbe avuto ancora l'amministrazione ad interim della diocesi di Rimini, dal 7 marzo al 24 maggio 1529, di cui si lasciò riservati i frutti; similmente accadde per la dipcesi di Alatri dal 4 gennaio al luglio 1530.
Conclusa la Lega di Cognac, il D., tra la fine del 1526 e l'inizio del 1527, partecipò alle congregazioni incaricate di curare i preparativi di guerra e nel 1527 fu protagonista di primo piano nelle drammatiche vicende di Roma.
Secondo il Sanuto il D. sarebbe arrivato ad accordarsi, nell'aprile-maggio 1527, con Pompeo Colonna e Ugo de Moncada che si trovavano allora a Siena, promettendo di favorire un colpo di mano che avrebbe fatto aprire le porte di Roma alle loro truppe il 10 maggio (Diarii, XLV, col. 39). Il D., comunque, fu insieme a Clemente VII nel drammatico assedio a Castel Sant'Angelo, durante il sacco di Roma; fu tra i firmatari della capitolazione del 5 giugno, e fu sempre tra coloro che dissuasero il papa dallo scendere a precipitosi accordi alle durissime richieste degli Imperiali. Fu tra i delegati dal papa a trattare con i vari rappresentanti nemici. Già nel gennaio si era incontrato con F. Quiñones. Dopo il sacco ci furono numerosi incontri, nuovamente col Quiñones, con G. Morone, B. Alancon e P. de Veyre. Specialmente quest'ultimo, inviato da Carlo V nel settembre, era fautore di una linea molto dura nei confronti di Clemente VII. Si riuscirono ad evitare condizioni troppo gravose con l'ingraziarsi alcuni rappresentanti imperiali: al Quiñones fu promessa la porpora, al Morone fu data una forte somma e gli si promise un vescovato per il figlio. Si giunse così all'accordo del 31ott. 1527, preliminare per il futuro accordo di Barcellona. Il papa avrebbe versato una grossa somma e avrebbe dato in pegno Ostia, Civitavecchia e altri castelli, e tre cardinali in ostaggio.
Trasferitosi il papa in Orvieto, il D. lo raggiunse partendo da Roma il 6 dicembre. Nel corso del viaggio, insieme col card. L. Pucci, fu catturato da Mario Orsini, che, tuttavia, lasciò liberi i prelati dopo ventiquattro ore. Nel 1528 restò col papa in Orvieto, e, nel settembre, fu da lui inviato a Roma per precederlo come legato al momento del suo ritorno.
All'inizio del 1529, caduto malato Clemente VII, il D. fu tra i cardinali incaricati di occuparsi degli affari di Stato. L'11 settembre di quell'anno prese possesso, in nome del papa, della città di Perugia, capitolata di fronte agli Imperiali. Nell'ottobre rimase legato in Roma quando Clemente VII si recò a Bologna per incontrarsi con Carlo V.
Il D. intanto era divenuto uno dei più accesi fautori del concilio, attirandosi, peraltro, la simpatia dei rappresentanti imperiali. Nel concistoro del 28 nov. 1530, insieme con E. Canisio e A. Farnese, e di fronte a un papa ancora abbastanza dubbioso, il D. difese calorosamente l'idea del concilio.
Un ruolo importante ebbe il D. anche nelle trattative per il divorzio di Enrico VIII. Nell'aprile 1528 partecipò agli incontri tra il papa e gli inviati inglesi S. Gardiner. G. Casale e E. Foxe. Da quegli incontri scaturi la bolla dell'8 giugno, che demandava l'istruzione del processo al card. E. Wolsey e a un legato papale, che sarebbe stato poi L. Campeggi. Nel 1529 ebbe vari incontri anche con i nuovi inviati inglesi F. Bryan e P. Vannes; nel corso del 1532 si incontrò diverse volte con W. Benet, E. Carne ed E. Bonner. In pratica, della questione il D. s'occupò costantemente dal 1528 al 1533; come esperto giurista, infatti, fu uno di coloro ai quali il papa ricorse più frequentemente in quelle circostanze.
Fu, pertanto, costantemente presente in tutte le varie congregazioni costituite dal papa per occuparsi del caso inglese dalla settimana santa del 1533 fino all'estate successiva. Da notare che gli Inglesi pensarono sempre di avere in lui un amico. Quando nel giugno 1533 si diffuse la notizia che Enrico VIII aveva fatto sciogliere il suo matrimonio, e si levarono le proteste della Curia, il D., scriveva W. Benet al re, xldefended your part in the Consistory very earnestly" (lettera 14 maggio 1533, in Letters... Henry VIII, VI, p. 293); del resto già nel dicembre 1527 il Wolsey pensava di poter sperare in D. e non sarebbe spiaciuto agli Inglesi come legato papale nel 1528; nel marzo 1532 e ancora nell'estate 1533 Enrico VIII pensò al D. come possibile nuovo protettore d'Inghilterra.
Il 9 sett. 1533 Clemente VII partì per incontrare Francesco I a Marsiglia e lasciò il D. come legato in Roma; durante questo periodo, il 20 settembre, il D. morì.
Era stato per due decenni uno dei principali protagonisti della politica papale e uno dei massimi esperti di diritto della Curia; "uomo dottissimo" lo definiva Machiavelli (Opere, VII, p. 133), "virum iuris civilis scientia egregium, doctrina et rerum experientia illustrem" scriveva O. Panvinio (in Concilium Tridentinum, Diaria, II, p. 146), e "iuris scientia illustrem" ne scriveva P. Giovio (De vita..., p.129), "praticho di Stato" lo considerava l'ambasciatore veneto A. Gradenigo (in Relazioni..., a cura di E. Alberi, p. 68).
Innumerevoli furono i benefici ecclesiastici, che possedeva in Italia e all'estero. Della sua posizione approfittò per favorire largamente tutti i suoi parenti e, in modo particolare, per avanzare il nipote Giovanni Maria, il futuro Giulio III. Prelato rinascimentale, il D. aiutò, e si servì largamente dell'opera di grandi artisti dell'epoca. Da Antonio da Sangallo il Vecchio si fece costruire un palazzo a Monte San Savino e un altro a Montepulciano, tra il 1515 e il 1518; nello stesso periodo affidò i lavori per il suo palazzo in Agone ad Antonio da Sangallo il Giovane e a F. Dell'Indaco; da I. Sansovino e S. Peruzzi si fece costruire l'altro palazzo romano all'Acqua Vergine. Fu inoltre protettore di N. Soggi; Raffaello ritrasse le sembianze del D. nella Disputa del Sacramento.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano: specialmente per i documenti inerenti alle numerose sedi vescovili possedute dal D. si veda Schedario Garampi, Vescovi, ad nomen; Arm. XXIX, 62, f. 78r; LVII, f. 111r; LXIV, ff. 70v-71r; LXXXVI, ff. 54r-55v; A. A. Arm. I-XVIII, nn. 3018, 3732; Bibl. ap. Vaticana, Borg. lat. 257, ff. 7r, 17r, 28v, 109r; Ferrajoli 424, ff. 350r-351r; Reg. lat. 386, ff. 165v, 166v; Vat. lat. 3742, f. IIIv; 7182, ff. 106v, 118v-119r; 8461, ff. 506-509; I. Burchardi Liber notarum, in Rerum Ital. Script., 2 ed., XXXII, 1, a cura di E. Celani, ad Ind.;P. Giovio, De vita Leonis Decimi pont. max., Florentiac 1551, pp. 40, 129; A. Fortunio, Cronichetta del Monte San Savino di Toscana, Firenze 1583, pp. 39 ss.; G.B. Cantalmai, Selectanea Sacrae Rotae Romanae, Romae 1639, ad Indices;J. Hardouin, Acta conciliorum, IX, Parisiis 174, col. 1561-1840; Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, s. 2, III, a cura di E. 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