DE RAHO, Antonio (Raus, de Rago, de Rao, Ralioni)
Nacque a Napoli intorno alla metà del sec. XV, da famiglia di piccola nobiltà, figlio di Medea Cotugno e del causarum patronus prestantissimus, regio consigliere e utriusque iuris doctor Angelo, autore di apostillae sui Capitula Regni. Va distinto da un Antonio di Giovanni morto nella guerra d'Otranto.
Sulle orme paterne divenne dottore di leggi ed avvocato specializzato in controversie feudali. Legum professor, già in giovane età si impegnò nel pubblico insegnamento presso l'università di Napoli, ove nel 1479-80 e ancora nel 1487-88 lesse le Decretales e il Sextus con uno stipendio di 30 ducati annui. Secondo un modello assai frequente fra i giuristi partenopei, l'insegnamento fu per il D. solo un momento transitorio, quasi un trampolino, verso il più redditizio e prestigioso esercizio delle magistrature maggiori e dell'avvocatura ad alto livello, attività nella quale egli primeggiò in un ambiente in cui, nonostante l'esistenza di uno Studium, la cultura giuridica era tradizionalmente dominata dai "funzionari" che, dopo aver dato prova delle proprie doti nell'insegnamento del diritto, erano chiamati nei ranghi dell'amministrazione regia.
Le frammentarie e scarse notizie disponibili non consentono una esaustiva ricostruzione delle vicende culturali e del ruolo politico di quest'alto burocrate vissuto a stretto contatto con gli ambienti di corte e facente parte della schiera dei giuristi che "van a ser los apóstoles de la senoria del principe" (De Teijada, p. 346). Amico di Federico d'Aragona, nel 1492 fu da questo, ancora principe di Altamura, designato uditore per i suoi possedimenti con uno stipendio di 500 ducati. A conferma del prestigio goduto, passò indenne trai rivolgimenti del 1494 e Federico, ora re, lo creò nel 1496 uditore generale del Regno per sette anni e nel 1497 consigliere della Regia Camera di S. Chiara, della quale fungerà anche da presidente. Nel 1496 il D. era anche luogotenente del protonotaro del Regno Goffredo Borgia, principe di Squillace.
Personaggio assai influente a corte sotto Federico (Toppi, p. 248), fu poi in disgrazia durante il dominio francese, quando perse anche parte dei suoi averi e fu allontanato dalle magistrature, ma ritornò alla vita pubblica sotto il regno di Ferdinando il Cattolico. Nel 1503 fu chiamato all'ufficio di consigliere del Sacro Regio Consiglio.
Sposato con Diana, figlia di Floriano Piscicelli e Caracciola Caracciolo (l'atto dotale, del 27 dic. 1485, fu redatto dal notaio napoletano Pietro Ferrantino), ebbe una figlia, Diana, che sposò Fabrizio Di Gennaro, signore di Baraniello, e un solo maschio, Alfonso, suo erede universale. Il Tafuri (p. 17) lo vorrebbe sposato con Laura di Bartolomeo Carafa, moglie invece di Alfonso (Ammirato, p. 167).
Assai ricco sia per i notevoli proventi dell'attività professionale sia per la consistenza del patrimonio familiare, il D. ricevette dal padre un'eredità di oltre 20.000 ducati, anche perché era stato diseredato il fratello Pietro (figlio di primo letto di Angelo e Marta di Giovanni Domini), la cui figlia, Maria, rimasta orfana, fu da lui dotata (Matteo d'Afflitto, dec. 371). Il grado della sua agiatezza e la sua familiarità col sovrano sono attestati dalla circostanza che egli teneva costantemente a disposizione del re, che accompagnava negli spostamenti, un seguito di quattro muli carichi, sei cavalli sellati ed otto servi, tutti equipaggiati a proprie spese.
Il D. morì a Napoli, dopo aver fatto testamento, il 20 maggio del 1504, e fu sepolto nella chiesa di S. Pietro Martire.
Giurista, o meglio, avvocato di gran nome dell'età di Federico d'Aragona, tanto da fare scrivere che "nec in cathedra docendo nec in foro patrocinando parem inveniret" (Toppi, p. 247), troppo poco è noto della sua produzione per poter azzardare un seppure sommario giudizio sulla rilevanza del suo pensiero. Si può ritenere che, oltre che come magistrato ed avvocato, dovette godere di larghi consensi anche come professore dello Studio (pur tenendo presenti tutti i limiti propri dell'insegnamento partenopeo di quegli anni), seppure va osservato che solo il Toppi ci parla di lui come civilista, essendoci altrimenti noto come canonista e "pratico" feudista.
Appena vaghe tracce restano della sua attività "scientifico-letteraria": il suo nome appare in calce ad un responsum sulla c. Quamplurimum (Capasso, p. 116) e sue potrebbero essere delle additiones alle costituzioni del Regno genericamente ricordate dal Sarayna (in Epistola). Gli archetipi delle sue opere erano conservati nell'archivio dei padri teatini in S. Paolo Maggiore (De Raho, p. 290).
Fonti e Bibl.: Napoli, Bibl. nazionale, Mss. IX. C. 1: Notamenti storici tratti da A. d'Afeltro e C. Pacca, ff. 31v, 170v, 172v; ibid. X. A. 2: Notizie diverse di famiglie della città e Regno di Napoli, f. 63r; ibid. X. A. 3: Notizie..., ff. 8v, 32v, 67r, 72r; ibid. X. B. 2: Excerpta authographa ... Afeltrii Antonii, ff. 32v, 34v; G. G. Pontano, De liberalitate, in Opera, I, Venetiis 1512, f. 68v (ora in Itrattati delle virtù sociali, Roma 1965, c. VIII, p. 15); M. de Afflictis, Decisiones Sacri Concilii Neapolitani, Lugduni 1543, dec. 371, f. 311v; Id., In utriusque Siciliae Neapolisque sanctiones et constitutiones novissima praelectio, Venetiis 1588, C. 1, 77, de iudicibus annalibus, n. 14, f. 199vb; G. Sarayna, Epistola in utriusque Siciliae constitutiones, capitula, ritus et pragmaticae, Venetiis 1590, f. IV-V; C. D'Engenio Caracciolo, Napoli sacra, Napoli 1623, p. 505; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, II, Firenze 1651, p. 167; C. De Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, Napoli 1654, I, p. 262; II, p. 55; N. Toppi, De origine tribunalium nunc in Castro Capuano fidelissimae civitatis Neapolis existentium II, Neapoli 1659, pp. 216, 246-250; Id., Biblioteca napoletana con addizioni di L. Nicodemo, Neapoli 1678, p. 31; B. Altomare, Memorie historiche di diverse famiglie nobili così napoletane come forastiere..., Napoli1691, p. 124; M. A. Gizius, Osservationes ad H. Capycilatri Decisiones novissimae sacri Regii Consilii Neapolitani, II, Genuae 1706, oss. 182, n. 22; C. M. De Ralio, Peplus Neapolitanus... patricias illustresque familias continens, Neapoli 1710, pp. 115, 120 s., 145, 189 s., 287, 290 ss.; G. B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, III, 4, Napoli 1719, pp. 16 ss.; G. G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, I, Napoli 1753, pp. 259, 280; L. A. Muratori [ma F. De Fortis], Raccolta delle vite e famiglie degli uomini illustri del Regno di Napoli, Milano 1755, pp. 49, 55; P. Napoli Signorelti, Vicende della coltura nelle due Sicilie, III, Napoli 1810, pp. 321 s.; G. Manna, Della giurisprudenza e del foro napoletano dalla sua origine fino alla pubblicazione delle nuove leggi, Napoli 1839, p. 101; E. Ricca, La nobiltà delle due Sicilie di qua dal Faro, Napoli 1865, III, I, p. 177; B. Capasso, Sulla storia esterna delle Costituzioni del Regno di Sicilia promulgate da Federico II, Napoli 1869, p. 116; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle provincie merid. d'Italia, II, Napoli 1875, p. 105; E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento, Napoli 1895, pp. 51, C, CIII, CVII s., CCXVIII; R. Filangeri di Candida, L'età aragonese, in Storia dell'università di Napoli, Napoli 1924, p. 182; C. De Frede, Note sulla vita dello Studio di Napoli durante il Rinascimento, in Arch. stor. per le province napol., n. s., XXXIV (1955), p. 143; Id., Studenti e uomini di leggi a Napoli nel Rinascimento, Napoli 1957, pp. 23 s.; F. Elias De Teijada, Napoles Hispanico, I, Madrid 1958, pp. 346-350; E. Cortese, Sulla scienza giuridica a Napoli tra Quattro e Cinquecento, in Scuole diritto e società nel Mezzogiorno medievale d'Italia, a cura di M. Bellomo, I, Catania 1985, p. 82, n. 134.